C’era una volta una maschera che per riprendersi la sua identità impugnava lame rosse e correva al chiarore della luna.
Milioni di stelle osservavano preoccupate il sale bruciare ferite invisibili, celate dietro una coltre di cenere nera.
Nascondeva il suo volto non per vezzo, ma per vergogna
Conosceva la strada e l’aveva perduta consapevolmente tempo fa.
Una briciola, una fiammella trasportata dal vento, girava intorno alla realtà.
Troppo tempo a consumarsi dietro ai desideri e ai sogni.
Non c’era niente che potesse eguagliare la bellezza che aveva dentro. Temeva le ombre, sentiva freddo, sempre… perché il gelo ce l’aveva dentro da quando era andata via dalla sua terra.
Il non-sense non l’abbandonava mai.
Sempre lì, senza perdere di vista gli intrecci delle vite di chi aveva nella luce del cuore.
Lasciò un’invisibile traccia lungo la strada perché il suo amore, io, potessi trovarla.
E ci ritrovammo.
“Pulcinella non correre, aspettami, voglio venire con te”.
“Tu non puoi venire, non capiresti e poi avresti paura, come ne avevo io”.
“Paura? Perché mai? Ora non hai più paura?”
“Fa parte di me, ma non la temo”.
“Dove vai?”.
“Vado a pranzo da amici”.
“Voglio venire, portami con te!”
Iniziammo a incamminarci, a passo svelto, a testa alta, nascondendo i nostri pensieri tra i capelli.
Mentre Pulcinella sorrideva al paesaggio, io mi guardavo intorno.
Passammo accanto a strani edifici, somiglianti alle vele di una grande nave che solca mari nascosti da un cielo grigio.
Sembrò quasi non vi fosse nessuno in giro, ma sulla nostra pelle sentimmo gli sguardi spezzati a metà tra i desideri e la realtà.
Ogni tanto si intravedeva qualcuno in lontananza.
Nell’ aria si respirava energia, forza, vitalità, miste a desolazione e paura.
Estrema periferia nord di Napoli.
“Stai tranquilla, ti piacerà, non hai mai visto un Carnevale così!” – mi disse.
Quanta gente, quante persone felici, stanche, ma allegre.
I loro sorrisi erano pieni di speranze e le loro bocche piene di parole.
Avevano tra le mani sogni e volontà di fare.
Ebbi l’impressione che fosse proprio la festa della rinascita e del risveglio.
Le allegorie dei carri non fecero altro che nutrire gli spiriti e gli esseri umani, purificando la città troppo spesso denigrata e sconosciuta.
“Ridendo sconfiggiamo la morte e la disperazione – mi urlò Pulcinella, mentre si allontanava ballando – Balla! Balla! Ricordati di ballare sempre. Scaccia i demoni della terra dei fuochi.”
Pensai che Scampia fosse viva, fosse vita, fosse gioia.
La musica riuscì a coinvolgermi e a trasportarmi in un’altra dimensione.
Pulcinella, alle prese con le preoccupazioni legate alla sopravvivenza, aveva impegnato tutto il suo tempo a sfuggire alle sopraffazioni e all’ ingordigia dei ricchi e dei potenti.
Li aveva presi in giro, risolvendo i problemi con un sorriso.
“Gli stivali dei maiali non infangheranno i loro cuori. Tu ti muovi e in ogni respiro salvi un po’ di memoria di noi, anche se non lo sai. Ricordatene”.
Dopo molte ore trascorse a danzare mi resi conto di non aver pranzato e di non avere affatto fame.
Il tempo aveva perso valore, rincorrendosi nei ricordi e negli abbracci nascosti e fuggitivi.
Lo avevamo bloccato solo per brevi attimi nei nostri baci.
La maschera aveva scoperto i segreti della felicità; il senso dell’attesa, del valore, del silenzio; i gesti amorevoli e compassionevoli; la completezza, la comprensione, l’appartenenza.
Pulcinella tolse la maschera e tornò a casa sua, con me.
Da allora i miei occhi non si sono più chiusi di fronte alla realtà.
C’è bisogno di vedere chi è accanto a noi e poi ci si può abbandonare, con le mani in tasca, nel profumo del siamo qui.
Esistiamo nell’infinito, in bilico.
Ho imparato che nel pezzo di cielo in più che riesco a guardare dal soffitto della mia stanza ho più di quanto io possa contenere.
Ho imparato a ringraziare.
Porterò questo breve cammino nelle prossime vite, senza distruggere nulla.
Respiro profondo.
Salto.
Andrà tutto bene.