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Il marketing dietro le pizze regalate ai senzatetto

Postato il Ottobre 25, 2015 Germano Milite 0

Per leggere questo articolo ti servono: 4 minuti

Noto, con non poco fastidio, che vanno sempre più di moda i video con gente che compra una pizza ad un barbone e si siede a mangiarla con lui, magari fingendo di commuoversi quando il senzatetto decide di dividere il suo già magro pasto. Sul web si trovano molte varianti di questa pratica che, se ben congegnata, assicura vagonate di like, share, visualizzazioni, visibilità e quindi soldi. Tra questi nuovi speculatori della solidarietà spot, c’è di sicuro Karim Metwaly, producer che è divenuto una piccola star di Youtube (con un milione di fan su Facebook). Il furbo Karim, lo scorso mese di giugno, ha girato un breve video molto “emozionale” in cui si ferma a parlare e a mangiare con un clochard e racconta: ”Volevo dargli dei soldi, ma lui voleva qualcosa di più: un amico”. Metwaly non ha mai nascosto neppure per un secondo il suo unico, vero intento: utilizzare quel povero senzatetto, evidentemente tanto solo ed emarginato, per guadagnare enorme visibilità. Il suo primo commento visibile sotto al video caricato su fb, non a caso, parte subito dal conteggio delle visite: “Wow, 20 milioni di visualizzazioni”. Immediatamente dopo, presente anche nella didascalia del video, l’invito ad iscriversi sul suo canale Youtube. Il furbetto è stato dunque eletto nuovo eroe solidale da una folla troppo irrazionale e facilmente manipolabile per leggere oltre l’apparenza e capire che, queste, sono mere operazioni commerciali.

Il povero emarginato infatti resta tale, dopo i 3-4 minuti di compagnia strumentale ricevuta (e opportunamente filmata), mentre l’autore del video fa soldi ed accoliti in maniera semplice ed esponenziale. Al momento il video ha oltre 40 milioni di visite e un milione di share, Metwaly probabilmente ancora si masturba pensando a quanto sia diventato famoso grazie a quell’anonimo senzatetto ed il fenomeno delle pizze e delle chiacchierate acchiappaclik con i clochard si espande, senza che i poveretti possano trarne alcun reale beneficio. E’ un sorta di reality con formula collaudata: un ragazzo o un gruppo di ragazzi, opportunamente filmati, si mostrano gentili e solidali con alcuni emarginati, giusto il tempo necessario a strappare la facile approvazione e condivisione di chi, probabilmente, non ha mai fatto volontariato vero e continuativo. Eppure, nel momento in cui la carità, anche piccola, diviene show biz, che tra l’altro non porta alcun beneficio reale e duraturo a chi lo subisce inconsapevolmente, allora i conati di vomito dovrebbero avere la meglio sui vari “ohhhhh, che dolce”.

Anche Dock Tv ha prodotto un filmato simile, riscuotendo grande successo e guadagnandosi titoli su giornali e blog. L’ultimo esempio più “casareccio” è stato realizzato da un paio di ragazzi napoletani che, alla stazione di Piazza Garibaldi, hanno comprato della pizza al metro e l’hanno offerta gratuitamente ad alcuni clochard. Almeno in questo caso, però, non ci sono reiterati inviti ad iscriversi a canali youtube, il video non ha pubblicità pre-roll e sembra essere stato realizzato per documentare un sincero, per quanto semplice e non risolutivo gesto di solidarietà ed aiuto.

IL TUO LIKE ED IL TUO SHARE NON SERVONO A NULLA

Una fotografia metaforica particolarmente eloquente che mostra l'inutilità di un like dinanzi al dolore ed al bisogno

Una fotografia metaforica particolarmente eloquente che mostra l’inutilità di un like virtuale dinanzi al dolore ed al bisogno reali e ricorda:”Il mi piace non è un aiuto”.

Trovo però penosi e stucchevoli, oltre che patologicamente esibizionistici, gli altri esempi citati e sempre più emulati, con Il tipo che fa la voce afflitta e regala pensieri profondi sul senso della vita, che ci parla di quanto sia buono e generoso il barbone, di quanto lui si senta un po’ una merda per tutto ciò che ha e di quanto la nostra società sia sorde ed egoista nei confronti dei più poveri. Poi però il gioco a fare l’amico del barbone finisce, si torna a coca, play e Maserati. E tanti fessacchiotti lì a commuoversi ed applaudire, a diffondere questo mercimonio che ha oramai coinvolto anche l’etica e la morale ed ha trasformato ogni cosa in un’operazione più o meno consapevole di marketing auto-referenziale.

Perché ad esempio Metwaly non ha utilizzato tutta la sua visibilità per promuovere una raccolta fondi per aiutare non solo il senzatetto che ha incontrato ma anche altre persone in difficoltà? Perché tutto ciò che sembra interessargli quando parla anche di islam ed “integrazione” sono in maniera così smaccata le visite, i commenti, gli share e le iscrizioni al suo canale? Chiariamoci: a qualsiasi giornalista e reporter o video-produttore piace ovviamente avere seguito ed essere letto/visto/condiviso, ma qui pare che non esista più alcuna reale missione divulgativa più alta di quella che bada solo al counter. “Per favore condividete” è divenuto molto più importante del “Per favore, agite”.

E abbiamo capito che un’agenzia di comunicazione o uno youtubers possono farsi pubblicità sulla pelle dei poveretti al costo di una pizza, ma almeno chi incappa in simili iniziative dovrebbe avere la capacità di discernere quanto l’azione solidale (vera) sia di per sé intima, quasi timida, non urlata, non propagandata se non in casi specifici e con intenti utili a migliorare concretamente e definitivamente la situazione dei bisognosi.  

Ho organizzato raccolte fondi, gare di solidarietà, crowdfunding solidale e l’aiuto ai più deboli fa parte della mia attività quotidiana. Chiunque mi conosca e mi frequenti un minimo fuori dal web, può testimoniare con quale facilità e sistematicità io faccia beneficenza a persone ed associazioni. Sono stato sottoscrittore per due anni di Medici Senza Frontiere, ho realizzato un fotoreportage solidale in Africa. Eppure non parlo praticamente mai di queste mie attività, né tanto meno le filmo per guadagnare click. Lo sto scrivendo con non poco imbarazzo in questo posto solo per farvi capire che parlo, come sempre, in coerenza con ciò che pratico ed avendo provato certe cose in prima persona.

Non trasformiamo l’attività solidale in mero spettacolo autoreferenziale. Se vogliamo metterla sotto i riflettori, almeno facciamo in modo che ci sia un fine non così sfacciatamente egoistico e che l’effetto benefico vada ben oltre l’appagamento del nostro narcisismo ed investa anche le persone che ci fanno sembrare più buoni e generosi.

#clochard#Marketing#povertà#solidarietà#viral

Pubblicato da

Germano Milite

Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".


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