La sinistra in Europa non sta vivendo uno dei suoi momenti più brillanti, ma là dove è in crescita deve affrontare ostacoli che vanno ben oltre la semplice competizione politica. È quanto sta sperimentando in questi giorni Jean-Luc Mélenchon, leader carismatico de La France Insoumise, che, con altri membri del suo partito, ha subito di recente una serie di immotivate perquisizioni, alle quali ha fatto seguito un forte attacco mediatico.
Andando con ordine, Mélenchon è reduce dall’ottimo risultato delle elezioni presidenziali dello scorso anno, dove aveva ottenuto quasi il 20% delle preferenze, superando la soglia dei sette milioni di voti, e soprattutto sorpassando a sinistra il candidato del Parti Socialiste, Benoît Hamon, fermo al 6.36%. Questo riscontro ha portato Mélenchon a divenire automaticamente uno dei leader della sinistra continentale, lanciando il movimento Maintenant le Peuple (MLP, Adesso il Popolo) in vista delle prossime elezioni europee, insieme a partiti quali il Bloco de Esquerda portoghese, lo spagnolo Podemos, l’Alleanza Rosso-Verde danese (Enhedslisten – De Rød-Grønne), l’Alleanza di Sinistra finlandese (Vasemmistoliitto) ed il Partito di Sinistra svedese (Vänsterpartiet).
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Questo fino allo scorso 16 ottobre, quando una quindicina di perquisizioni organizzate dall’Office central de lutte contre la corruption et les infractions financières et fiscales (OCLCIFF) hanno colpito in contemporanea diversi circoli de La France Insoumise ed alcune abitazioni di militanti del partito, compreso lo stesso Mélenchon. Perquisizioni avvenute, secondo i testimoni, senza il rispetto della legge, vietando ai diretti interessati per diverse ore l’accesso ai locali. La ragione di una tale azione, con il dispiegamento di oltre cento poliziotti armati (come se si trattasse di un’operazione anti-terrorismo), starebbe in alcune irregolarità nei conti de La France Insoumise in occasione della campagna elettorale per le presidenziali dello scorso anno, conti che però era stati convalidati dall’autorità competente, la Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques (CNCCFP), che invece aveva notato alcuni problemi nei conti presentati da En Marche!, la lista del presidente in carica Emmanuel Macron, contro il quale invece non è partita nessuna indagine.
Piuttosto che il mancato rispetto della legge da parte delle autorità giudiziarie, a fare discutere è stata soprattutto la reazione di Mélenchon: certamente poco composta, ma assolutamente giustificata dall’ingiustizia subita. Mélenchon, la cui violenza non è andata oltre le parole, è stato poi accusato di non rispettare la polizia ed il potere giudiziario, e contro la sua persona è stata messa in scena una vera e propria campagna mediatica, con il chiaro fine di screditare una delle poche voci dal coro nella politica che conta. Oltretutto, le perquisizioni sembrano ulteriormente ingiustificate visto che la campagna elettorale de La France Insoumise è stata la meno dispendiosa tra quelle dei cinque candidati più votati alle scorse presidenziali.
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A denunciare l’aspetto mediatico della campagna anti-Mélenchon, tra gli altri, è stato Antoine Léaument, responsabile della comunicazione per La France Insoumise, ed ospite di una trasmissione televisiva sull’emittente LCI, nella quale è stato messo in essere un vero e proprio processo contro Mélenchon. Léaument ha condannato il linguaggio utilizzato nella trasmissione televisiva sia in diretta che attraverso un video su YouTube, pubblicato sul proprio canale personale “Le Bon Sens”: in effetti, nel corso dell’emissione si sentono gli ospiti utilizzare epiteti quali “paranoico”, “sanguigno”, “ulcerato”, ed altri vocaboli chiaramente tendenti a dare un’immagine negativa del leader politico.
Ancora Antoine Léaument ha ricordato come l’operazione sia stata lanciata da veri e propri uomini di Macron, ponendo il problema dell’indipendenza della giustizia nei confronti della politica: il procuratore di Parigi, François Molins, che per alcune ore era stato indicato come possibile ministro dell’Interno di Macron, ed il viceprocuratore Christophe Perruaux, nominato nel gennaio di quest’anno dal governo in carica, e presente di persona in occasione delle perquisizioni.
Semplicemente una coincidenza, oppure un attacco giudiziario pianificato a tavolino contro uno dei pochi leader scomodi che rompe il dualismo tra ultraliberisti europeisti e nazionalisti finti antieuropeisti, proprio nel momento in cui viene lanciata la fondamentale campagna elettorale in vista delle prossime elezioni per il parlamento europeo, quasi come è stato fatto con Lula alla vigilia delle presidenziali brasiliane?