Il tritolo per far saltare in aria il giudice antimafia Antonino Di Matteo è nascosto a Palermo: a confermare questa notizia è l’ex boss di Borgo Vecchio Francesco Chiarello.
Dopo quest’ennesimo dettaglio sul piano di morte ( certo) ideato per il pm Di Matteo, il giudice non ha resistito e durante la presentazione del suo libro “Collusi” si commuove davanti ad una folla che non smette mai di incitarlo. Di Matteo, esattamente come Falcone e Borsellino in quel tempo, è istituzionalmente isolato, nonostante il susseguirsi di minacce da coloro che hanno occupato e che occupano tutt’ora i vertici di “Cosa Nostra“. Ha dato il via alle danze il leggendario boss Totò Riina, che dal carcere “Opera” di Milano disse al suo compagno d’aria che Di Matteo andava fatto fuori poiché “sta andando oltre”.
Le rivelazioni che potrebbero uscire dal processo sulla Trattativa Stato-Cosa Nostra, hanno fatto spaventare anche uno dei latitanti più ricercati al mondo e che oggi è il boss indiscusso dell’organizzazione mafiosa siciliana: Matteo Messina Denaro. Da quest’ultimo provengono numerose lettere ai suoi collaboratori “fidati”, dove è espressa chiaramente la volontà di far diventare Di Matteo l’erede di sorte dei giudici Falcone e Borsellino. La strategia di Messina Denaro è tutt’ora in atto e di questo ne danno conferma anche noti pentiti come Carmelo D’Amico e Vito Galatolo: entrambi affermano che i 200 kg di tritolo sono stati per un primo momento fermi in Calabria, ma che ora sono giunti a destinazione e nascosti accuratamente. Un crollo emotivo e fisico è più che comprensibile dopo minacce del genere, ma cosa provoca così tanto dolore a Di Matteo? Dopo averlo ascoltato diverse volte è chiaro che in quella commozione c’è la consapevolezza di essere isolato dalle istituzioni ed avvolto in un silenzio che in Italia ha già ucciso molti eroi dell’antimafia.