Le elezioni legislative dello scorso 3 giugno hanno dato un responso che potrebbe gettare la Slovenia in una crisi ancora più profonda e di difficile risoluzione rispetto a quella vista in Italia negli ultimi mesi.
GOVERNO DIMISSIONARIO E RISULTATI ELETTORALI
Previste per il 10 giugno alla regolare scadenza della legislatura, le elezioni slovene sono state anticipate di una settimana in seguito alle dimissioni presentate dal primo ministro Miro Cerar al presidente Borut Pahor. Dopo aver perso diversi membri della maggioranza parlamentare ed aver visto il blocco del suo progetto della linea ferroviaria da Koper a Divača da parte della Corte Suprema, infatti, il capo del governo non ha avuto altra scelta se non rimettere il proprio mandato nelle mani di Pahor.
Le conseguenze della crisi della vecchia maggioranza si sono viste proprio in occasione di queste elezioni anticipate, le terze consecutive nell’ex repubblica jugoslava, che hanno visto un’affluenza alle urne pari al 52.01% degli aventi diritto. Il Partito del Centro Moderno (Stranka Modernega Centra, SMC), quello europeista di Cerar, infatti, ha pagato il proprio fallimento vedendo i propri seggi scendere dai trentasei delle elezioni del 2014 fino a quota dieci, piazzandosi solo al quarto posto tra le forze politiche del Paese, con il 9.75% delle preferenze.
A sorridere, invece, è stato soprattutto il Partito Democratico Sloveno (Slovenska demokratska stranka, SDS), forza conservatrice considerata “populista” ed anti-immigrazionista, risultato che si presenta in linea con quelli di molti altri Paesi europei negli ultimi anni. La formazione di Janez Janša, che ha già ricoperto il ruolo di primo ministro in passato (nei periodi 2004-2008 e 2012-2013), ha ottenuto il 24.96% delle preferenze, conquistando venticinque dei novanta seggi che compongono l’Assemblea Nazionale (Državni zbor Republike Slovenije).
Nell’area del centro-sinistra, il Partito del Centro Moderno ha subito il sorpasso da parte della Lista di Marjan Šarec (Lista Marjana Šarca, LMŠ), partito di recente formazione e fondato proprio dall’attore e giornalista di cui porta il nome. Per la loro prima volta alle elezioni legislative, gli uomini di Šarec hanno conquistato tredici seggi, pari al 12.66% dei suffragi.
In ripresa anche i Socialdemocratici (Socialni demokrati, SD) di Dejan Židan, che salgono da sei a dieci seggi, con il 9.92%. A sinistra importante anche il risultato degli anticapitalisti di Levica (che significa proprio “Sinistra”), condotti da Luka Mesec, capaci di ottenere nove rappresentanti con il 9.29% delle preferenze.
Nel quadro assai frammentario del parlamento unicamerale sloveno, troviamo poi sette rappresentanti di Nuova Slovenia – Cristiano-democratici (Nova Slovenija – Krščanski demokrati, Nsi), cinque per i centristi del Partito di Alenka Bratušek (Stranka Alenke Bratušek), altrettanti per il Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia (Demokratična Stranka Upokojencev Slovenije, DeSUS) e quattro del Partito Nazionale Sloveno (Slovenska Nacionalna Stranka, SNS), fortemente euroscettico, oltre ai due seggi riservati alle minoranze etniche italiana ed ungherese.
POSSIBILI SCENARI FUTURI: GOVERNO O NUOVE ELEZIONI?
Terminato il processo elettorale, si sono aperte le contrattazioni per la formazione di un nuovo governo, compito che però non sarà di facile risoluzione per il presidente Pahor. Il capo di stato, infatti, aveva manifestato, prima della tornata elettorale, la propria intensione di assegnare la guida dell’esecutivo al leader del partito che avesse raggiunto il maggior numero di consensi. In questo caso, dovrebbe essere dunque Janez Janša ad ottenere il mandato.
I numeri, tuttavia, dicono che un eventuale governo Janša non potrebbe ottenere la maggioranza in parlamento. Oltre ai venticinque seggi dei suoi uomini, il leader di SDS potrebbe contare sull’appoggio dei deputati delle altre due forze di centro-destra, NSi and SNS, raggiungendo dunque quota trentasei, ma restando assai lontano dalla maggioranza assoluta, pari a quarantasei rappresentanti. Tutti gli altri partiti, infatti, hanno già manifestato il proprio rifiuto di appoggiare un governo capeggiato dal leader “populista”.
Quali prospettive si aprono dunque per il futuro politico della Slovenia? Secondo alcuni, Pahor dovrebbe mantenere la parola data ed affidare lo stesso il mandato a Janša, aprendo dunque la strada ad un governo di minoranza che però metterebbe a repentaglio la governabilità del Paese. L’altra opzione, invece, potrebbe vedere una grande coalizione composta da tutti i partiti di centro e di centro-sinistra, guidata da Marjan Šarec. A parte Levica, che vorrebbe evitare alleanze, infatti, gli altri partiti sembrano favorevoli a questa soluzione, che arginerebbe così l’ascesa di Janša.
Non pochi analisti, infine, hanno previsto addirittura il fallimento di ogni contrattazione per la formazione di una maggioranza, eventualità che condannerebbe il Paese ad andare a nuove elezioni, probabilmente nel mese di novembre.
Dall’alto in basso: Janez Janša, vincitore delle elezioni con il suo Partito Democratico Sloveno; Miro Cerar, primo ministro dimissionario; Borut Pahor, presidente della Slovenia.