Immaginate una popolazione di oltre 165 milioni di abitanti concentrata su una superficie inferiore alla metà di quella italiana: se ci siete riusciti, avete appena fotografato il Bangladesh, ottavo Paese più popolato al mondo, con una densità superiore ai 1.100 abitanti per chilometro quadrato e la sola capitale, Dacca, in grado di superare i diciassette milioni di persone.
Quello che, prima dell’indipendenza del 26 marzo 1971, veniva chiamato Pakistan Orientale è andato al voto per le elezioni legislative lo scorso 30 dicembre, in un clima tutt’altro che pacifico. Già prima del conteggio elettorale, infatti, chiunque avrebbe potuto prevedere l’esito della consultazione, con la Lega Awami – ovvero la Lega Popolare Bengalese – della premier Sheikh Hasina in grado di ampliare ulteriormente la maggioranza assoluta detenuta presso la Jatiya Sangsad, la Casa della Nazione, composta da 300 seggi.
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Nonostante l’avallo degli osservatori internazionali, che, forse troppo ottimisticamente, hanno definito le elezioni bengalesi come “democratiche” ed “esemplari per gli altri Paesi”, sottolineando l’utilizzazione del voto elettronico in sei dei trecento collegi elettorali, non sono mancate le proteste da parte delle opposizioni, prima, durante e dopo il voto. Già nel 2014, del resto, le urne erano state disertate dal Partito Nazionalista del Bangladesh (Bangladesh Jatiotabadi Dôl, BJD) di Khaled Zia, che ha ricoperto il ruolo di primo ministro per ben tre mandati in passato.
Nonostante il ritorno delle forze di opposizione, ciò non ha impedito alla Lega Awami di passare da 234 a 257 seggi, ai quali vanno aggiunti altri trentuno rappresentanti che sono stati eletti dalle liste degli altri partiti che sostengono la premier Hasina all’interno della Grande Alleanza. L’opposizione parlamentare sarà guidata invece da Kamal Hossain del Gano Forum (o Forum Popolare), alleato del Partito Nazionalista all’interno del Fronte di Unità Nazionale (Jatiya Oikya Front), anche se le due formazioni hanno conquistato rispettivamente due e cinque seggi.
Sono inoltre stati eletti tre candidati indipendenti, mentre due seggi non sono ancora stati assegnati. Resta invece esclusa dal parlamento l’Alleanza della Sinistra Democratica, composta da forze quali il Partito Comunista del Bangladesh, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori del Bangladesh e la Lega Comunista Unita del Bangladesh, che sicuramente rappresentano potenzialmente una forma di opposizione più solida al governo della Lega Awami rispetto alla coalizione di centro-destra. Mentre il Partito Nazionalista, infatti, è stato a lungo al governo del Paese (1978-1982, 1991-1996, 2001-2006), i comunisti hanno sempre subito la repressione sia durante i governi del centro-sinistra che in occasione di quelli del centro-destra.
[sostieni]
Secondo il presidente del Partito Comunista del Bangladesh, Mujahidul Islam Selim, il Paese è governato da un “malvagio regime sostenuto dall’imperialismo”, suddiviso in due partiti sulla carta opposti ma di fatto convergenti su tutti i punti nodali, la Lega Awami ed il BNP. Selim ha poi affermato che, brandendo il mito di un presunto sviluppo, il Paese è precipitato nella fame, nella disoccupazione e nella corruzione, denunciando poi le numerose forme di repressione nei confronti dei contestatori del regime. Le elezioni, secondo quanto affermato dal leader del CPB, sarebbero solamente una farsa basata sulla finta opposizione dei due partiti citati in precedenza, senza una reale possibilità di scelta per i cittadini.
Il governo di Sheikh Hasina ed i suoi sostenitori si nascondono dietro alcuni dati macroeconomici, che in effetti sembrano raccontare una storia del tutto diversa, come una crescita del PIL che negli ultimi anni si è attestata oltre il 7% (7.3% nel 2017). Tuttavia, la distribuzione delle ricchezze resta un gravissimo problema in un Paese che è stato trasformato in un grande fornitore di manodopera a basso costo per le multinazionali occidentali – soprattutto di abbigliamento -, tanto da far registrare uno dei tassi più alti di lavoro minorile, mentre l’85% della popolazione viene considerato povero ed il 15% in stato di povertà assoluta (meno di 1.90 dollari al giorno, secondo la definizione della Banca Mondiale).