Mentre i media nostrani ed occidentali in generale continuano la campagna mediatica contro il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ed il suo governo, spesso riportando notizie false, noi vogliamo soffermarci sulle opere poco lodevoli di due capi di stato dei più importanti Paesi del Sud America: stiamo parlando del presidente brasiliano Michel Temer, di fatto salito al potere con un colpo di stato ai danni di Dilma Rousseff, e di quello argentino Mauricio Macri, entrambi cantori ditirambici del liberismo.
BRASILE: CORRUZIONE AL POTERE
Nei Paesi del Sud America la corruzione è spesso endemica, ed in un modo o nell’altro vi sono stati casi registrati in quasi tutti i governi, indipendentemente dall’orientamento politico. Sembra però che l’attuale presidente brasiliano, il settantaseienne Michel Temer, sia particolarmente avvezzo a questa pratica: il fatto curioso è che il leader del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (Partido do Movimento Democrático Brasileiro, PMDB) è salito al potere proprio a causa delle accuse di presunta corruzione fatte all’ormai ex presidente Dilma Rousseff.
Lo ricorderete in molti: proprio all’alba dei Giochi Olimpici di Rio 2016, un ottimo volano mediatico ed un evento delicatissimo per la leadership del Paese, ed in occasione di un periodo di crisi economica subita dal Brasile, iniziò l’offensiva contro il governo brasiliano di Dilma Rousseff. L’allora presidente e molti dei personaggi di spicco della politica brasiliana furono incolpati di corruzione e di aver falsificato il bilancio dello stato. La carica di capo di stato venne così assunta dal vicepresidente Michel Temer. Ora, non sta certamente a noi determinare quali siano state le effettive colpe di Dilma Rousseff, ma non possiamo mancare di notare il passato di Temer: l’attuale presidente brasiliano è stato citato ventuno volte nell’inchiesta “Operaçao Castelo de Areia” sulla corruzione all’interno dell’Impresa di costruzioni Camargo Correa, ed è stato coinvolto nell’inchiesta “Caixa de Pandora”, riguardante alcune tangenti destinate ai deputati di Brasilia. Appare evidente, dunque, come la trasparenza del governo non sia certamente il vero motivo della destituzione di Dilma Rousseff con Michel Temer.
Ma c’è di più, un elemento che non possiamo tralasciare: secondo i documenti top secret svelati da WikiLeaks, Temer svolge dal 2006 il ruolo di informatore per conto di Washington, avendo passato molte informazioni riservate all’ambasciata statunitense in Brasile. Ecco svelato, dunque, il vero motivo del golpe contro Rousseff: portare al potere qualcuno che proteggesse gli interessi economici delle multinazionali statunitensi, e dare vita ad una serie di manovre per riportare i Paesi del Sud America nell’orbita di Washington.
Di recente, il Tribunale Superiore Elettorale (TSE) ha assolto Temer per l’accusa di finanziamenti irregolari nel corso della campagna elettorale del 2014. Il verdetto è stato di quattro voti favorevoli a Temer e tre contrari, con il presidente del tribunale Gilmar Mendes chiamato a dare il parere decisivo quando la situazione era di tre a tre. Tuttavia, va notata la ragione data alla sentenza: non si dice che Temer non sia colpevole del fatto, ma si parla della “necessità di garantire la stabilità al paese e evitare una seconda crisi istituzionale”, poco più di un anno dopo l’impeachment di Dilma Rousseff.
I guai, per Temer, sembrano non essere finiti. Secondo la polizia brasiliana, infatti, sarebbero spuntati nuovi elementi. Temer avrebbe infatti ricevuto delle tangenti da parte di JBS, la più grande multinazionale del pianeta che si occupa di lavorazioni della carne, per almeno 4.6 milioni di dollari. I fatti risalirebbero al 2010. Il parlamento dovrà ora votare con una maggioranza dei due terzi per permettere l’inizio del procedimento penale.
Mentre la giustizia tenta di fare il proprio corso, i sondaggi sono impietosi: in nessuno di quelli diffusi la popolarità di Temer tra i brasiliani supera il 10%. E siamo pronti a scommettere che si tratti della fascia più ricca della popolazione, mentre le classi popolari sembrano vedere di buon grado un ritorno al potere dell’ex presidente Ignacio Lula.
ARGENTINA: MACRI DEGNO EREDE DI MENEM?
I conoscitori della storia politica recente del Sud America ricorderanno Carlos Saúl Menem, presidente argentino dal 1989 al 1999, colui che con le sue scellerate politiche iperliberiste spianò la strada alla nota crisi che distrusse l’economia del Paese. Una crisi della quale Menem non pagò neppure le conseguenze, visto che la fase più acuta si ebbe quando al potere era già salito il suo successore Fernando de la Rúa. Il Paese ritrovò la stabilità politica ed economica con l’elezione, nel 2003, di Néstor Carlos Kirchner, e successivamente con la presidenza di sua moglie Cristina Kirchner.
Le elezioni del 2015 hanno invece segnato un netto cambio di rotta con l’investitura di Mauricio Macri, cinquantottenne di origini italiane, candidato della coalizione Cambiemos e fiero assertore del neoliberismo, proprio come Carlos Menem. Il suo nome fece scandalo già pochi mesi dopo l’elezione, comparendo all’interno dei documenti noti come Panama Papers, pubblicati dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung. Macri sarebbe infatti amministratore delegato di due società offshore con sede alle Bahamas, risalenti all’epoca in cui era sindaco della capitale Buenos Aires.
Disastrosi sono anche i risultati ottenuti da Macri con la sua politica economica di stampo liberista. In meno di due anni di presidenza, la disoccupazione ha registrato un forte aumento, così come il tasso di povertà. A calare in maniera drastica è stato invece il potere d’acquisto dei cittadini argentini, che hanno dovuto far fronte all’impennata dei prezzi di alcuni servizi fondamentali quali trasporti pubblici, luce, acqua, gas (in alcuni casi si è superato il 500%). L’autoproclamata “rivoluzione dell’allegria” si è rivelata certamente tale per gli speculatori e per la classe dominante, mentre si è trasformata piuttosto in una “rivoluzione delle lacrime” per le classi popolari.
Come se non bastasse, molti dei provvedimenti di liberalizzazione voluti da Macri sono stati fatti passare senza l’approvazione del parlamento, con un decreto legge. È quanto avvenuto con il settore delle telecomunicazioni, dove il presidente in carica ha distrutto con un colpo di penna la legge voluta da Cristina Kirchner per evitare la concentrazione del settore nelle mani di grandi gruppi industriali e preservare la pluralità dell’informazione. Senza parlare della svalutazione del peso argentino per implementare le esportazioni di materie prime agricole e minerarie, avvantaggiando ancora una volta le grandi multinazionali dei settori, mentre le classi popolari hanno dovuto far fronte ai forti tagli nell’amministrazione pubblica ed ai licenziamenti nel settore privato.
Veniamo poi ai fatti più recenti. Proprio in questi giorni, il deputato dell’opposizione Darío Martínez, membro del Frente para la Victoria (FpV), ha deciso di denunciare per truffa il presidente Mauricio Macri per aver emesso dei titoli di stato con un tasso di interesse del 7.125% e della durata di cento anni, ed aver annunciato di voler aumentare questo tasso fino al 7.95%. La denuncia riguarderà anche tre membri del governo di Macri: il capo del gabinetto, Marcos Peña, il ministro del tesoro, Nicolás Dujovne, e quello dell’economia, Luis Caputo. La denuncia ha tutte le ragioni di esistere: il metodo utilizzato è quello del cosiddetto debito “eterno” o “perpetuo”, visto che il debitore è costretto ad indebitarsi sempre più per riuscire a ripagare i propri creditori. Si tratterebbe dunque di una forma perpetua di spostamento dei capitali pubblici nelle mani dei privati.
VENEZUELA: BASTA ALLA CAMPAGNA MEDIATICA
E veniamo dunque a quello che era stato il nostro punto di partenza, ovvero il Venezuela di Nicolás Maduro. La campagna mediatica contro il governo bolivariano sta raggiungendo livelli elevatissimi, tanto da falsificare completamente le notizie, ribaltando i ruoli tra vittime e carnefici, o diffondere foto false. Recente è il caso della testata olandese AD che ha utilizzato foto di bambini siriani rifugiati al confine con l’Ungheria spacciandoli per vittime dei lacrimogeni lanciati dalla polizia venezuelana. A svelare l’imbroglio è stato il viceministro Yván Gil, responsabile dei rapporti tra il Venezuela e l’Unione Europea.
Al di là del caso singolo sopra enunciato, appare sempre più chiaro come la principale colpa del governo bolivariano sia quello di resistere alla nuova avanzata dell’imperialismo statunitense in Sud America. Mentre, fino a pochi anni fa, la Colombia era l’unico Paese del Sud America ad avere un governo totalmente fedele agli interessi di Washington, ora ci troviamo in un periodo storico nel quale l’imperialismo nordamericano sta riprendendo la propria avanzata. L’operazione ha avuto inizio nel 2012, con il colpo di stato ai danni di Fernando Lugo, allora presidente del Paraguay, ed è continuata con la destituzione di Dilma Rousseff in favore di Michel Temer e l’elezione di Mauricio Macri in Argentina.
L’obiettivo finale di questa nuova avanzata dell’influenza statunitense in Sud America non può che essere il Venezuela, Paese detentore delle più grandi risorse petrolifere del mondo e leader del fronte dei governi progressisti che si oppongono proprio all’iperliberismo ed alle mire imperialiste di Washington nel continente. Non va del resto dimenticato che già lo stesso Hugo Chávez era stato vittima di ciclici tentativi di colpo di stato, sempre falliti. Rispetto al passato, i nemici della rivoluzione bolivariana hanno però messo in atto anche un nuovo piano: quello di bloccare il flusso di beni di prima necessità (alimenti e medicine) verso il Venezuela, incolpando il governo in carica della mancanza degli stessi e dell’ovvia inflazione dovuta alla scarsità di questi beni.
Il tutto non sarebbe possibile, naturalmente, senza l’appoggio dei genuflessi mezzi d’informazione dei Paesi occidentali, che stanno plagiando l’opinione pubblica per poi poter giustificare un colpo di stato violento nel Paese (l’intervento militare, seppur non da escludere, ci sembra attualmente un’ipotesi remota): “Il trattamento ricevuto nei mezzi di informazione circa le violenze perpetrate dall’opposizione dimostra, ancora una volta, il complotto che esiste tra le grandi multinazionali delle telecomunicazioni e la destra, al fine di propiziare ed appoggiare un colpo di stato nel Paese”, si legge tra le righe degli organi di informazione governativa. Noi, al contrario, non mancheremo mai di sottolineare i veri crimini contro i popoli del Sud America, quelli perpetrati da presidenti iperliberisti che fanno gli affari dei grandi gruppi multinazionali e della classe dominante contro gli interessi delle classi popolari.
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