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Il NeoMondo Capovolto

Postato il Ottobre 3, 2025 Team Young 0

Per leggere questo articolo ti servono: 19 minuti

di Rosanna Gaddi

L’aria è pesante, carica di polvere. La stanza, avvolta in una penombra ovattata, sembra quasi proteggere l’invisibile. L’unica luce è il bagliore tremolante di una vecchia lampada da tavolo, una delle poche cose ancora funzionanti.

Samir Khalil siede chino su un mucchio disordinato di fogli e libri, la mano ferma nonostante la tensione, nonostante le mille e più ore di sonno perse. È lo scrittore esiliato, la voce della Resistenza, a causa del suo libro, “Il riposo della falce”, il manifesto che denuncia la follia inspiegabile dei leader e che viene diffuso attraverso i canali sotterranei del Popolo della Resistenza.

Da allora la sua esistenza è precaria. È sopravvivenza.

A tratti gli danno la caccia, altre volte è totalmente invisibile agli occhi dei governanti.

Per molti è un eroe, per altri un folle.

Quello a cui sta lavorando adesso non è un semplice racconto, non è un reportage.

È piuttosto un appello alla realtà, un grido di verità in un mondo che ha scelto di abbracciare un delirio collettivo.

I suoi occhi sono una finestra da aprire sulle rovine di un’esistenza che a stento ricorda i sorrisi. Il dolore e la sofferenza sono lì, dietro i vetri, eppure lui è convinto che la felicità sia ancora possibile.

Fuori, le sirene echeggiano a distanza, le bombe risuonano senza tregua e scrivono la partitura di una colonna sonora della più grande menzogna che si sta radicando nel tessuto stesso del Mondo.

Finalmente ha da poco scoperto che la sindrome neurologica, che da tempo aveva trasformato Victor Draganov e Yael Ben-Ami Johnson in esseri incapaci di distinguere tra bene e male, ha avuto origine da una figura minore, una giovane madre cristiana italiana, Zoe Giulia Minori. Zoe, convinta di essere l’incarnazione degli ideali tipo “dio, patria e famiglia”, era ed è totalmente inconsapevole di aver acquisito un virus: crede fermamente che la sua trasformazione sia l’elevazione a un superiore “ordine biologico” e che la sua spietatezza sia una virtù.

La sua trasformazione, dopo un misterioso viaggio a una conferenza internazionale oltreoceano sulle antiche ricette romane, era stata repentina: aveva iniziato a parlare di “ordine biologico” e “pulizia sociale” con una calma glaciale. Una biologa ha dedotto che il contagio non sia avvenuto durante l’evento, ma in un incontro sessuale anonimo che Zoe, per proteggere la sua facciata pubblica, ha rimosso o giustificato come un evento privo di importanza. Questo segreto, l’atto stesso che nega la sua intera ideologia, è la crepa fondamentale nel muro del delirio di Occidentia.

L’ascesa della Minori era stata repentina, appoggiata dai ricchi imprenditori e dai magnati della malavita.

Da quel momento in poi nulla è stato più come prima.

Il virus ha usato il potere e la visibilità come vettori, raggiungendo i vertici del governo italiano e poi il mondo intero, trasformando il Paese culla dell’Umanesimo e del Rinascimento nella prima Nazione sottomessa a un’ideologia dettata da una malattia neurologica.

Zoe è così riuscita a entrare nella storia, ma non come figura di rilievo nella politica internazionale o nello show business, bensì come la maggiore untrice di peste cerebrale del mondo.

Osannata e temuta sedeva ai congressi, alle riunioni, sempre in prima fila quando non era tra gli ospiti principali.

Eppure lì sotto una piccola fiammella di umanità doveva ancora esserci, soffocata dal virus che si era annidato nei gangli basali che controllano le sequenza motorie e influiscono anche su funzioni cognitive ed emotive.

Zoe si è ritagliata e cucita un ruolo apparentemente importante, ma fatto di obbedienza e sottomissione agli altri due, certa di dover sottostare essendo donna. Ha scelto il semplice guadagno finanziario e l’immunità per lei e i suoi prescelti, abbandonando il resto della popolazione.

I due leader, Yael Ben-Ami Johnson, magnate della finanza, e Victor Draganov, generale dell’esercito est-italiano, l’hanno dunque voluta al loro fianco dandole il titolo di facciata di governatrice, ma senza alcun ruolo decisionale. È nata la Super Potenza Occidentia.

Yael, con la sua immensa influenza mediatica e finanziaria, ha trasformato la sua fondazione filantropica in un organo di propaganda, definendo la Resistenza un “disturbo di personalità”. Draganov, invece, ha trasformato l’ideologia in una macchina da guerra perfetta, vedendo la guerra civile contro i ribelli come una necessità igienica per la sopravvivenza dei “puri”.

Insieme sono diventati i simboli di questa follia.

Samir scrive, appunta, annota.

“La sindrome ha generato divisione sociale e lotta tra poveri. Essa non si limita a distruggere, ma a riscrivere le sinapsi neurali, rilasciando un neurotrasmettitore sintetico che potenzia i circuiti del piacere legati alla supremazia. Per i leader, il potere non è più una scelta politica, ma un’esigenza biologica, rendendoli tossicodipendenti dal proprio delirio. La speranza risiede nella Resistenza clandestina, un movimento di menti lucide e coraggiose.”

Posa la penna. Si asciuga la fronte. Sa che il tempo è poco, le forze sono allo stremo e non ha pace.

Poco distante, nascosta nel sottosuolo di una Striscia, la dottoressa biologa Leyla Hassan, ricercatrice genetica, lavora in un laboratorio segreto per trovare una cura, analizzando un frammento di tessuto cerebrale di Zoe Giulia Minori, l’inizio di tutto.

Guardando le immagini di varie interviste alla tv nazionale Leyla aveva notato che i movimenti oculari della Minori non erano regolari. I gesti muscolari non erano distesi. Una prima tac alla corteccia cerebrale aveva individuato una calcificazione dei gangli, da qui la deduzione immediata del loro funzionamento falsato. A seguito di un proverbiale incidente stradale era stata eseguita su Zoe una biopsia stereotassica cerebrale per scongiurare il pericolo di un tumore, da qui il frammento di tessuto.

E poi la scoperta. Trovato il problema, poteva essere, finalmente, trovata la soluzione.

Altrove Darya Melinyk, giovane attivista, ha creato una rete di comunicazione, sia fisica che “virtuale”, utilizzando algoritmi per bypassare la censura e diffondere la verità. È in contatto continuo con Leyla e con Samir. Non ha rivelato di essere in dolce attesa. Non ha avuto modo di riflettere su cosa possa significare in un momento storico talmente complesso aspettare una nuova, meravigliosa, fragile vita.

Si diffonde la notizia che a New York i leader infettati stanno organizzando un “Conclave per la Verità” per imporre la propria ideologia al Mondo e infettare i leader delle altre nazioni.

L’unica cosa da fare è che la Resistenza agisca e in modo definitivo, arrivando lì, in Occidentia e infiltrandosi nel Conclave.

Sarà Darya a dare indicazioni. Non sa ancora come, ma deve assolutamente fare appello a tutti i volontari attivisti.

Intanto la dottoressa Leyla ha comunicato di essere riuscita a produrre in laboratorio un aerosol antivirale in grado di contrastare gli effetti del virus. Il piano è di rilasciarlo durante la conferenza.

Samir si è perso dietro i suoi ragionamenti. Sta fissando nella mente tutte le informazioni che non devono essere dimenticate. Domani continuerà a scrivere. Adesso è troppo tardi e la notte è diventata troppo scura.

La luce sul tavolo, anche se flebile, potrebbe essere notata. Meglio spegnere, nascondere i fogli e continuare domani. Magari arriverà qualche buona notizia o qualche nuova idea.

La Trappola del Conclave

Sono trascorse 72 ore dall’ultimo grande attacco in cui sono stati distrutti un ospedale da campo e due rifugi a sud di Eurasia. L’inverno è alle porte. Il freddo non aiuta.

Per 72 ore la Resistenza ha avuto una quasi totale interruzione della comunicazione. Il popolo ha fame e sete, non solo di cibo e acqua. Il popolo è allo stremo, ha fame di aria, ha fame di libertà. Samir sa che il suo libro, per molti versi ha preannunciato una situazione che, inizialmente, la maggioranza delle persone non riusciva a vedere. Ci sono momenti di sconforto in cui si ritiene responsabile di non aver fatto abbastanza, ma come si fa a far vedere qualcosa a chi serra gli occhi?

In queste 72 ore i leader colpiti dal virus hanno reso nota la data del “Conclave” che porta in sé un nome che è il ribaltamento della realtà.

Darya riesce a contattare Samir e la dottoressa Leyla.

L’appuntamento è davanti la colonna del ponte pedonale di Orenburg, sul fiume Ural. Orenburg si trova in una posizione periferica ma cruciale, non è Mosca, il che riduce la sorveglianza centrale. È abbastanza remota da garantire un certo anonimato, ma sufficientemente collegata con ferrovia e strade per permettere agli emissari di diversi Paesi (dai Balcani all’Asia Centrale, passando per la Russia) di raggiungerla. La città ha un’architettura che mescola stili russi e orientali, e una storia ricca come porta verso l’Asia Centrale, è un “non-luogo” geopolitico dove la cospirazione può prosperare. È perfetta per l’incontro.

La steppa euroasiatica li stava attendendo. Arrivati lì altri attivisti hanno dato la disponibilità alla presa del Conclave.

Non è semplice organizzare gli spostamenti per entrare a Occidentia, il nuovissimo super-Stato guidato dal “vecchio” blocco occidentale (USA) che ha esteso il suo controllo ideologico e militare su tutto l’emisfero e su due alleati strategici cruciali per l’energia e la sicurezza in Medio Oriente. La Superpotenza fonda la sua legittimità sulla libertà e sulla democrazia, come propagandato dal regime, anche se in realtà è un’entità capitalista e militarizzata che schiaccia ogni dissenso interno e che include regimi autoritari.

La Resistenza sa come fare, ha organizzato il primo trasporto: un treno merci diretto a nord, con la copertura di essere ispezioni sanitarie per un’epidemia di bestiame, prontamente raccontata dai giornali (segretamente della Resistenza). Raggiunto l’Estremo Oriente, un leader amico ha comprato il passaggio su un antiquato sottomarino da ricerca diesel che viaggia per lo Stretto di Bering in immersione, evitando i sensori di profondità. Darya inizia a sentire la fatica. Individua un vecchio passaggio per i sommergibili della Guerra Fredda: un canyon sottomarino non mappato che porta dritto sotto il Mar Glaciale Artico, lontano dalla rotta standard e dai pattugliamenti. Il rischio è che il passaggio sia troppo stretto o pieno di rottami, ma è l’unica opzione. Per tre giorni, il sottomarino si muove alla cieca, mentre gli attivisti rimasti nella Striscia raccontano episodi inenarrabili di crudeltà e di distruzione.

Oramai l’umanità è un’anima migrante.

Di colpo la notte sembra avvolgere tutto il mondo e fa tremare tutti gli esseri viventi come avvolti da un gelo insopportabile.

I tre, accompagnati da altri attivisti della Resistenza, arrivano su un’isola della Nuova Scozia e incontrano l’unica cellula di supporto in Occidentia: un ex dissidente universitario che gestisce un laboratorio clandestino in un bunker dismesso.

Darya sa di essere la figura che più di tutte potrebbe mettere a rischio la spedizione, sia per la sua condizione di salute che per la sua “notorietà”. Usando un trasmettitore satellitare rubato e criptato, Darya invia un breve ma inequivocabile messaggio di propaganda alla sua rete in Eurasia, che viene immediatamente intercettato dalla sicurezza di Occidentia. La localizzazione del segnale punta alla Nuova Scozia.

Il messaggio di Darya lancia una falsa pista: Yael Ben-Ami Johnson e Victor Draganov credono che la Resistenza stia pianificando un attacco su obiettivi canadesi, una falsa minaccia sanitaria. Questo fa convergere le risorse di sorveglianza e militari sul Canada orientale, allontanandole da New York.

Possono proseguire e arrivare a New York.

Samir Khalil, la dottoressa Leyla Hassan e Darya Melinyk si muovono come ombre nei corridoi del “Conclave per la Verità”, nella sontuosa villa Morris-Jumel Mansion appartenuta a qualche ricco commerciante olandese di Manhattan, circondata da guardie armate e un’aura di delirante grandezza.

Vivere sotto assedio per oltre due anni in un ambiente così densamente sorvegliato come Striscia ha affinato le capacità di infiltrazione e sopravvivenza urbana a un livello che le normali tattiche di sicurezza non potrebbero prevedere, rendendo l’ingresso al Conclave per la Verità di New York un’impresa possibile per i ribelli della Resistenza.

Tutta la Resistenza sa leggere i Sistemi di Sorveglianza Non-Convenzionali, decifrando il rumore di fondo, distinguendo i segnali di allarme reali dai rumori di routine e identificando i punti ciechi, non delle telecamere, ma degli algoritmi di riconoscimento.

Le telecamere e i sensori di sorveglianza sono progettati per aree pulite e ben illuminate. I ribelli sanno come sfruttare materiali di scarto, detriti e ambienti caotici per confondere i sensori termici e ottici. Il lusso pulito di una sontuosa villa di Manhattan è, in realtà, un ambiente prevedibile per chi ha navigato attraverso cumuli di macerie.

La vita fatta di sopravvivenza a Striscia e gli innumerevoli libri letti da Samir hanno insegnato a sfruttare ogni spazio inutilizzato—intercapedini, cavedi, condotte idriche e di scarico. In un edificio di New York, questo si traduce nell’abilità di individuare e utilizzare i condotti di manutenzione, i vani ascensori in disuso e i sistemi di ventilazione come vie d’accesso verticali non monitorate.

L’addestramento involontario include la capacità di muoversi su superfici instabili e fragili senza far rumore, un’abilità cruciale per attraversare i condotti di ventilazione senza far scattare allarmi sonori.

L’assedio costante abitua a operare in un regime di rischio massimo e tempo limitato. Questo permette ai ribelli di agire con una lucidità glaciale durante l’infiltrazione finale, quando ogni secondo conta per Leyla nel diffondere il Bio-Agente, l’ aerosol antivirale.

Usando tecniche apprese per operare in spazi ristretti, Leyla si cala silenziosamente attraverso i condotti verticali fino al piano del Conclave. Non diffonde l’antivirus nella sala d’attesa, ma direttamente nella condotta di immissione dell’aria condizionata della sala riunioni, un bersaglio di massima precisione.

Il suo compito è quello di attivare il sistema di areazione, mentre Darya si sarebbe assicurata che la rete di comunicazione della Resistenza fosse pronta a diffondere la verità. A Samir, l’intellettuale e scrittore, tocca l’onere più grande: essere la voce della ragione, la prima a incrinare la corazza del delirio dei leader.

Dal podio, Yael Ben-Ami Johnson, con un sorriso enigmatico, sta per presentare il “Trattato sull’Armonia Biologica”, il documento che avrebbe sancito la loro verità a livello globale. Draganov, in piedi al suo fianco, aveva gli occhi freddi e calcolatori, un’incarnazione del delirio militare. L’aria era elettrica, carica di un’intesa malata tra i leader mondiali infettati.

La Voce della Ribellione

Nel momento esatto in cui Yael Ben-Ami Johnson, il Magnate di Ghiaccio con un sorriso da spot pubblicitario sul volto, alzò la mano – un gesto teatrale, lento e oleografico, come se stesse per far levitare il mondo intero – per firmare il “Trattato sull’Armonia Biologica”, un documento talmente denso di menzogne da sembrare scritto su nuvole tossiche, un rumore non solo assordante, ma assolutamente indecente e improvviso, irruppe nel silenzio ovattato e dorato del Conclave.

Era il rumore di una sedia di mogano che si spaccava sotto il peso della verità e della fretta, il clangore metallico di una ribellione fatta in casa.

Samir Khalil, lo Scrittore Esiliato, era in piedi su ciò che restava della sedia, nel fondo della sala, un punto nero di furente umanità contro il fondale di delirio di lusso. La sua voce, roca di notti insonni e amplificata da un polmone gonfio di adrenalina purissima, traversò la sala come un proiettile di indignazione: “Fermatevi! Voi non siete i salvatori, siete i malati! Siete un’appendice infiammata dell’ego globale!”

Tutte le teste, quelle teste lucide e ben pettinate che avevano deciso l’infelicità del mondo, si voltarono di scatto verso di lui. L’effetto fu quello di una platea di marionette d’élite il cui filo invisibile era stato strappato. I sussurri si congelarono in gola come cubetti di ghiaccio.

Le Guardie di Occidentia, enormi, impeccabili e con un’aria da manichini pronti per la guerra, si mossero, ma la loro reazione fu ritardata, perché proprio in quell’istante, Darya Melinyk, l’Invisibile Tessitrice di Rete, che si era infiltrata nella sala di controllo con la stessa disinvoltura con cui si entra in un ufficio pubblico deserto, interruppe la proiezione trionfale di Yael.

Lo schermo gigantesco, che un attimo prima celebrava la “Nuova Era di Ordine”, si spense per un brevissimo, vitale secondo, e poi si accese con un’immagine scioccante e medicamente oscena: non il logo scintillante di Occidentia, ma l’immagine cruda e tremolante di una risonanza magnetica cerebrale. Era il cervello di Zoe Giulia Minori, l’inizio anatomico e grottesco di tutto.

Samir, in quel momento di distrazione visiva fatale, continuò a tuonare. La sua voce, adesso amplificata da un microfono rubato e sintetizzato, urlava: “Guardate! Questa non è la Verità, è un’allucinazione! È un cortocircuito di sinapsi! Un virus ha riscritto i vostri cavi neurali, vi ha trasformato in schiavi entusiasti di una menzogna che trasforma l’empatia in debolezza e l’umanità in malattia cronica!”

Le parole di Samir erano una mitragliata verbale di anatomia e filosofia, un attacco diretto al midollo spinale della loro autoproclamata “verità biologica”.

Ma la vera, sottile e letale magia stava avvenendo altrove.

L’attivazione dell’aerosol di Leyla fu la vera, silenziosa arma.

Leyla Hassan, la dottoressa che aveva danzato con i condotti di aerazione, sfruttò il buio e il rumore del caos verbale. Rilasciò la sostanza, un bloccante antivirale distillato con rabbia e scienza, attraverso il sistema di ventilazione.

Una nebbia sottile, quasi un profumo d’aria fresca e salutare, iniziò a riempire l’aria. Era impercettibile come un ricordo d’infanzia, eppure ineluttabile come la morte.

Mentre le Guardie esitavano, paralizzate dal dilemma fra sparare all’uomo sulla sedia o guardare il cervello di Zoe, Leyla si ritirava, veloce e silenziosa, nel ventre meccanico della villa.

Simultaneamente, in un’esibizione di tempismo da orchestra clandestina, la rete di Darya dirottò le trasmissioni globali del Conclave. Il feed live, che doveva mostrare il trionfo marmoreo di Victor Draganov e di Yael Ben-Ami Johnson, fu sostituito senza preavviso da uno split-screen di prove scientifiche: grafici, formule chimiche e l’immagine ingrandita dei gangli basali calcificati, proiettate in ogni angolo di Occidentia e oltre, fino a Striscia.

I leader mondiali infettati, seduti al tavolo, inizialmente, non sembrarono reagire. Erano rimasti lì, con quell’aria di ceramica indistruttibile, come se un urlo non potesse scalfire una poltrona in pelle di lusso.

Ma dopo pochi, interminabili minuti, i volti di Yael e Draganov, prima sicuri, sereni e vistosamente felici della propria follia, iniziarono a mostrare crepe, un tremolio nervoso, un segno di incertezza.

Il trucco emotivo stava cedendo.

I loro occhi, un tempo freddi, calcolatori, vuoti come pozzi di petrolio, si fecero confusi, come se stessero cercando un nome dimenticato, un indirizzo sbagliato, o forse l’anima. Il bloccante antivirale non era una cura definitiva, non funzionava con la rapidità di un interruttore magico, ma era una “finestra di lucidità”, un momento breve e cruciale, una fessura temporale, in cui la loro vera identità, l’umano sepolto sotto tonnellate di delirio neurologico, poteva riemergere e afferrare un barlume di orrore per le azioni commesse.

Il Risveglio e l’Ultima Minaccia

Per un breve, cruciale momento, la maschera si spaccò. Quella maschera di plastica lucida e follia ben oliata che avevano portato per un paio di anni, finì in mille schegge. Era un attimo di sobrietà cosmica, di risveglio forzato dopo la sbronza più lunga e disastrosa della Storia.

Draganov, il Generale di Stupide Battaglie, l’incarnazione del delirio militare che aveva creduto nelle mappe e non negli uomini, si strinse la testa tra le mani come se stesse cercando di impedire al proprio cranio di esplodergli in faccia. Mormorò una litania spezzata e ridicola, la confessione di un uomo appena svegliato da un incubo che aveva costruito da sé: “Cos’ho fatto… i missili… Oh Mio Dio, i missili…” E non era una preghiera, era il singhiozzo secco di chi capisce di essere stato un pupazzo di carne e nevrosi, un pazzo.

Yael, il Magnate della Finanza con l’anima di un bancomat, non gridò. Fece peggio: fissò la folla che aveva condannato al Trattato sull’Armonia Biologica, fissò i suoi colleghi leader infetti. La sua espressione non fu di paura, ma di puro, gelido orrore di fronte alla propria immagine riflessa.

I loro occhi, un istante prima freddi come marmo da obitorio, si fecero lucidi, pieni non di lacrime, ma di orrore e schifo di sé. Il rimorso era lì, sfacciato e volgare come una pipì in un salotto sul tappeto davanti a un sacerdote.

Il rimorso è il peggior ospite possibile sia nel cuore che nel cervello.

La “verità” che avevano costruito su milioni di vite schiacciate era crollata, lasciando solo un mucchio di macerie dentro le loro meningi e in giro per il Mondo.

Il danno, certo, era già stato fatto, irreparabile come il giocattolo preferito di un bambino che hai rotto tu stesso, deliberatamente, e ora non c’è colla al mondo che possa far finta che non sia successo. Il breve, infame momento di lucidità, fu sufficiente.

Le Guardie, testimoni del crollo dei loro leader, furono colte da esitazione, paralisi e confusione. La loro obbedienza cieca — il solo pilastro morale che conoscevano — si scontrò a muso duro con la manifestazione di orrore dei loro dei.

Da lì a breve molte si sarebbero tolte la vita.

Samir e Leyla sfruttarono quel nano-secondo di balbuzie del sistema, muovendosi con la rapidità disumana imparata a Striscia — dove ogni ombra, ogni respiro, era un affare di vita o di morte.

Non si voltarono indietro.

Si ritirarono immediatamente nei cavedi e nei tunnel di manutenzione, un dedalo di tubi e polvere che per loro era più familiare di un letto. Scomparvero nel sottosuolo sporco e reale di Manhattan, lasciando il lusso alla sua implosione.

La rete di Darya, una ragnatela di cavi e disperazione, nel frattempo, aveva già scaricato l’intero arsenale: le prove di Leyla, i rantoli di Draganov, il messaggio urlato di Samir. La verità, come un fiume di liquame, si rovesciò in ogni angolo di Occidentia, in ogni angolo del Mondo.

Darya accarezzava il suo ventre. Forse forse c’era ancora una possibilità.

La battaglia finale non fu l’esplosione atomica, l’apocalisse chiassosa che i leader infetti avevano promesso e usato per terrorizzare i popoli. Fu una battaglia di idee e di verità, che è molto più sporca e complicata di qualsiasi bomba.

I leader folli, ovviamente, non erano guariti magicamente. Purtroppo non è così che funziona la vita. Avevano avuto solo una breve finestra di lucidità.

Ora sono di nuovo lì, schiavi del loro delirio, di nuovo seduti sul trono di menzogne. Ma il ricordo di ciò che hanno visto, di quella verità nuda e cruda, è rimasto, incistato come un sassolino nella loro mente malata. Quello è un tarlo che non togli facilmente, è un’ombra che non se ne va, che infesta le notti e rende meno dolce il sapore della supremazia.

Il Mondo, risvegliato da un pugno di prove e dalla voce di un esiliato, è ora uno spiraglio che si sta chiudendo o aprendo: diviso tra chi vuole liberarsi e chi, per dannata abitudine e ignoranza, continua a credere nella menzogna.

La lotta non è finita.

Non finirà mai.

La Speranza, quella roba fastidiosa che non ti lascia mai in pace, è più forte che mai.

La verità, fragile come una fiammella accesa sotto la pioggia, è ora l’ultima, preziosa arma. Un’arma che può sconfiggere la follia e restituire alla gente il semplice, maledetto senso della realtà per il futuro dell’umanità.

L’uso della forza della Resistenza non nasce dalla sete di sangue, ma dalla necessità di comprensione.

Questo mondo contiene al suo interno la distruzione, ma solo perché necessaria alla ricostruzione. Contiene la morte che muore per la vita, un paradosso da ubriachi.

E rimane, appesa nell’aria come fumo, una domanda:

Quanto può durare un Atto di Ribellione per la Pace, la Verità e la Libertà?


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