C’era una volta una piccola città al di là del mare.
Gli abitanti vivevano producendo un miele delizioso e unico. Il sole del buon Dio la illuminava sempre con i suoi raggi e, inoltrandosi lungo le calate dei vecchi moli, l’aria carica di sale e gonfia di odori procurava un solletico al naso. Le vie, minuscole, si inerpicavano raggiungendo la collina da dove si vedeva il mare e il palazzo del tiranno. Era primavera inoltrata e un tiepido vento scuoteva le foglie del gelso. A quel movimento lieve e ritmico seguiva un propagarsi di profumi caldi e accomodanti.
Nina era seduta all’ombra, incurante delle macchie che aumentavano sul suo vestitino azzurro e bianco. Bicio si avvicinò urlando a squarciagola: “Non parto. Non partiamo, restiamo ancora un po’!”.
La piccola amica si alzò di scatto e corse incontro allo straniero che le era entrato nel cuore. Aveva un sorriso largo che le riempiva l’intero viso. Nina si sedette sull’altalena e Bicio iniziò a spingerla per farla volare sempre più in alto. La paura di precipitare sotto i colpi di mortaio a tratti svaniva. Per pochi istanti, quando il silenzio regnava, la libertà prendeva il posto dell’oppressione e le risate dei bambini tornavano a irradiare il cielo. Bicio avrebbe voluto portarla via di là, mettere in salvo la sua anima insieme a quella di molti altri, scappare oltre il porticato che separava la grande casa dal ghetto.
Ne era certo, presto ci sarebbe riuscito.
Da lì a poco il tiranno sarebbe rimasto solo, abbandonato dal suo esercito di fedeli. Anche quella giornata volgeva al termine. La pioggia faceva compagnia a chi la stava aspettando da giorni per non piangere da solo. Durante la cena Jones raccontò che, quando avevano lasciato la loro casa, scappando lungo le strade, si erano imbattuti in tante facce che non avevano un bel colore. Lui e Piero erano riusciti ad affrontare le loro scelte senza paura delle conseguenze, ascoltando solamente il richiamo dei propri cuori. Che prezzo!
Quanto sacrificio!
Libertà!
Il sogno di dormire nei campi coltivati a cielo ed amore protetti da un filo spinato con le punte soffici come nuvole di zucchero filato.
La notte era nera e picchiava forte, buttando quasi giù le porte come quando un compagno ubriaco di vita e di libertà bussa alla porta e chiede aiuto.
Si, il presagio di una notte ansiosa e, al contempo, intrisa di speranza, accese l’attesa. Gli intellettuali del tempo furono obbligati dal tiranno a sostenere che chi non terrorizza si ammala di terrore. Per anni avevano cercato di inviare messaggi in codice per risvegliare la coscienza. Il vecchio tiranno rimuoveva ogni ostacolo che si opponeva all’esercizio del proprio potere assoluto. Gli abitanti però non avevano paura. Sapevano che qualcuno sarebbe arrivato a salvarli.
In un bel giorno di primavera Nina e Bicio videro un esercito valoroso varcare la frontiera e, mentre il grano stava a sentire, soldati stranieri e popolo, dentro alle mani, stringevano fucili e, dentro alla bocca, stringevano la parola “libertà”.
Dopo molti giorni, nel pieno di una notte, si udì un canto di sirena attraversare il tempo e lo spazio.
Annunciava la fine di un’era.
Il tiranno era stato avvelenato da un esperimento sbagliato.
Il giudice sentenziò che chi vive a lungo senza cuore non ha mai vissuto e non ha mai creato qualcosa di duraturo.
La primavera non chiede permesso, lei entra sicura, penetra come il fumo in ogni fessura e chi non sa respirare è oppresso con i suoi colori.
La primavera ha le labbra di carne, i capelli di grano e ognuno ha voglia di esser preso per mano.
Finalmente la città vecchia si ridestò dal sonno della ragione e l’amore perduto si riaccomodò lungo le stradine.
“L’amore ha l’amore come solo argomento e il tumulto del cielo ha sbagliato momento, oltre il muro dei vetri si risveglia la vita che si prende per mano a battaglia finita.”