Qualche tempo fa girava in tv un barbone che un po’ rappresentava tutti gli hipster in circolazione. Il barbone era tale non perché indigente ma perché preda di un vistoso irsutismo facciale che lo rendeva cupo fino al momento in cui non sorrideva dando di sé l’idea di un fotomodello giovine e soddisfatto, pronto al tenero gioco dell’amore con la modella spettinata che gli faceva da contraltare economico nello spot.
Si trattava di intrecciare una relazione sentimentale e lussuriosa e non c’era niente di meglio che farlo in un albergo che però ricadesse sotto il controllo del protente Trivago, il sito in grado di triangolare date, esigenze e prezzi e provvedere a individuare l’offerta più succulenta. Fino a qui la cosa filava.
I pubblicitari avevano immaginato una situazione, la situazione aveva fatto breccia più o meno attiva nell’immaginario del pubblico e ovunque aveva regnato la felicità. Poi, la decisione di imprimere una svolta e di farlo con il q. Dove “q” non segnala un quoziente ma un’estremità particolarmente cara ai creativi che curano campagne pubblicitari. E è profluviata l’idea di imbastire storie assurde, protrattesi per decenni, da abbinare alla réclame del procacciatore di alberghi online e affidare il commento fuori campo alla stessa voce usata per gli spot dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Il risultato è stato una campagna che adesso induce il pubblico a destinare parte delle tasse a Trivago sperando che Luca Temperini, il bambino protagonista dello spot che poi rimane vittima di un’amnesia invalidante, riesca a recuperare la forma più smagliante.
Di buono, in tutto questo, c’è che l’offerta del sito alla fine è sempre la stessa: è un sito, non costa niente. I soldi, gli investitori, li fanno con le visite dei naviganti. Decisamente più complessa la situazione di Poltrone e sofà che proprio in questo momento, ora che state leggendo (accendete la tv e controllate), avrà varato una campagna commerciale strabiliante con sconti fino al 90 % di cui approfittare adesso perché fra un minuto sarà finita. E ne sarà cominciata una identica. Ecco, qui, Ferilli a parte, la scelta dell’azienda che produce divani e sedute di vario genere è stata quella di affidarsi agli operai della fabbrica perché raccontassero le loro storie e dessero un volto umano ai cuscini. Volto che per molti mesi è stato quello di Andrea, il lavorante di 39 anni calvo che fa tutto con passione ma di cuzire non è capaze. Ma non è facile. Non è facile concentrarsi sulla fiction quando il messaggio cambia ogni manciata di secondi. Non è facile provare concupiscenza verso la Ferilli se adesso i divani li vendono a metà, poi li venderanno al 70 %, poi al 15, poi solo a chi si chiama Franco, poi solo agli Indiani Cherokee. Non è facile ma deve essere ripagante se da quelle parti vanno avanti così da anni.
Qualcuno, tempo fa, ebbe l’ardimento di opinare che ammannire offerte a ogni piè sospinto sfiorava l’ingannevole ma poi la cosa è caduta nel vuoto e ha trionfato il chissenefrega. Questo però non riesce a convincerci che vendere qualcosa che sarà deprezzata, abbinata, raddoppiata e rivalutata di qui a breve sia del tutto condivisibile. Forse basterebbe immettere sul mercato prodotti che non costino poi tanto. E’ un vantaggio, perché tanto prima o poi qualcuno inventerà il Trivago dei divani e allora lì sì che sarà caotico capire dove sia più conveniente poggiare…il q.