Il 6 ed il 7 ottobre, in Romania sono state aperte le urne per un referendum costituzionale che, in caso di successo, avrebbe inserito nella legge fondamentale rumena il divieto di istituire i matrimoni omosessuali.
In Romania, infatti, attualmente non esiste nessuna possibilità di matrimonio né di unione civile per le persone dello stesso sesso, tuttavia, alcune organizzazioni conservatrici, riunite nella Coaliția pentru Familie, hanno deciso di lanciare un referendum di iniziativa popolare per inserire il divieto costituzionale di istituire il matrimonio omosessuale. Il divieto, del resto, esiste già in diversi Paesi dell’Europa orientale, come Bulgaria, Serbia o Ucraina.
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In un primo momento, il referendum sembrava aver raccolto numerosi consensi: la Coaliția pentru Familie, infatti, era riuscita a raccogliere ben due milioni di firme, il quadruplo rispetto alle 500.000 necessarie per presentare un referendum di iniziativa popolare in Romania. Attualmente, la Costituzione del Paese afferma che il matrimonio è una “libera unione tra sposi”, senza specificare il genere degli stessi, e lasciando dunque le porte aperte ad una futura legge per il matrimonio egalitario. Con il referendum, invece, l’intenzione era quella di inserire nel testo costituzionale un riferimento esplicito al matrimonio come unione tra uomo e donna.
La consultazione referendaria avrebbe dovuto avere luogo già nel 2017, ma non sono mancate le manovre di opposizione ed ostruzionismo da parte di numerose organizzazioni non governative, che hanno manifestato il proprio dissenso nei confronti dell’iniziativa. Nel settembre di quest’anno, Amnesty International, la Commissione Europea sull’Orientamento Sessuale e l’associazione ILGA-Europe (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) hanno fatto appello alla Corte Costituzionale rumena, che però ha dichiarato ammissibile il quesito referendario.
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A livello politico, si sono dichiarati contrari al referendum sia il presidente Klaus Iohannis, proveniente dalle fila del Partito Nazional Liberale (Partidul Național Liberal, PNL), forza di centro-destra, che Dan Barna, leader del partito d’opposizione Unione Salva Romania (Uniunea Salvați România, USR), così come l’ex primo ministro Dacian Cioloș.
Da notare che, nel 2014, una modifica legislativa aveva abbassato il quorum necessario per la validità dei referendum dal 50% al 30%, con almeno il 25% di voti validi. Nonostante ciò, il referendum si è risolto in un netto fallimento per i promotori, con solamente il 20.41% di affluenza alle urne, pari a 3.7 milioni di votanti sugli oltre diciotto milioni di aventi diritto. Il 30% è stato superato solamente nella contea di Suceava, una delle più settentrionali e rurali, mentre il minimo si è registrato nella contea di Covasna, in Transilvania (8.5%).
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In generale, comunque, il referendum ha riscosso un relativo successo soprattutto nelle aree rurali e tradizionalmente conservatrici, mentre ha clamorosamente fallito nelle principali città. In conclusione, non v’è alcun dubbio sul fatto che i cittadini rumeni abbiano deciso di boicottare un provvedimento omofobo ed anacronistico. Allo stesso tempo, questo risultato apre uno spiraglio per la mossa successiva, quella di approvare una forma di unione legale tra persone dello stesso sesso, come promosso dalla stesso presidente Iohannis.