Il 9 maggio, la Malaysia ha vissuto le proprie elezioni politiche per il rinnovamento del parlamento bicamerale, composto dal Dewan Rakyat (la camera bassa, 222 seggi) e dal Dewan Negara (il Senato, 70 seggi). I membri della camera bassa vengono eletti direttamente dal popolo, mentre ventisei senatori vengono eletti indirettamente attraverso le assemblee legislative degli Stati che compongono la federazione malese, ed i restanti quarantaquattro vengono scelti dal re.
I RISULTATI E LA STORICA SCONFITTA DEL FRONTE NAZIONALE
I risultati della consultazione elettorale, che ha visto un’affluenza alle urne dell’82.32%, hanno rovesciato completamente i rapporti di forza tra le due coalizioni principali rispetto alla precedente legislatura. A capo del governo dal 2009, Najib Razak ha subito una bruciante sconfitta insieme alla sua coalizione di centro-destra, il Fronte Nazionale (Barisan Nasional, BN), abituato a fare il bello ed il cattivo tempo nella vita politica del Paese da sessant’anni. Il raggruppamento si è infatti fermato al 36.42% delle preferenze, raccogliendo settantanove seggi per il Dewan Rakyat, ben cinquantaquattro in meno rispetto alle elezioni del 2013. A perdere sono stati tutti i partiti della coalizione BN, ma a risultare tragico è stato soprattutto il tracollo dell’Organizzazione Nazionale Unita Malese (Pertubuhan Kebangsaan Melayu Bersatu), il partito del premier uscente Razak, passato da ottantotto a cinquantaquattro seggi.
La vittoria, al contrario, ha sorriso alla coalizione delle forze di centro-sinistra Pakatan Harapan, guidata da un veterano della scena politica malese come Mahathir Mohamad, novantaduenne che ha già svolto il ruolo di capo del governo per un lungo periodo dal 1981 al 2003 per contro del Fronte Nazionale, e che, con la nuova investitura, è diventato il più anziano primo ministro del mondo. Pakatan Harapan ha raccolto il 47.33% dei consensi, raggiungendo però la maggioranza assoluta dei seggi, 113 su 222, grazie ad un incremento di quarantacinque deputati rispetto alla precedente legislatura. Tra le forze che compongono la coalizione, il Partito Popolare della Giustizia (Parti Keadilan Rakyat) ha ottenuto quarantasette seggi, scavalcando il Partito dell’Azione Democratica (Parti Tindakan Demokratik), che ne ha conquistati quarantadue, mentre il Partito Unito Indigeno Malese (Parti Pribumi Bersatu Malaysia) ed il Partito della Fiducia Nazionale (Parti Amanah Negara), che rappresenta la comunità musulmana, hanno raccolto rispettivamente tredici ed undici seggi. A fare la differenza, però, sono stati proprio questi ultimi due partiti, in grado di attirare il voto di una parte della maggioranza musulmana, storicamente legata al Fronte Nazionale, mentre il centro-sinistra vantava già una forte tradizione tra le minoranze cinese ed indiana.
Per il resto, i fondamentalisti islamici della coalizione Gagasan Sejahtera (GS, “Idee di Prosperità”) si sono fermati a diciotto seggi, tre in meno rispetto alle elezioni di cinque anni fa, mentre entrano in parlamento due forze nuove come il Partito del Patrimonio Sabah (Parti Warisan Sabah), con otto seggi, e l’Alleanza Unita Sabah (Gabungan Sabah Bersatu), con un deputato, due partiti di recente formazione, nati per la difesa dell’autonomia dello Stato federato del Sabah, situato nella parte settentrionale dell’isola del Borneo. Infine, tre deputati sono stati eletti come indipendenti.
Per quanto riguarda le assemblee legislative degli Stati federati, in sette di questi ha vinto la coalzione di centro-sinistra, superando addirittura il 90% delle preferenze nel Penang e nel Selangor, mentre la coalzione di centro-destra si è affermata in tre stati. Da segnalare il successo dei fondamentalisti islamici di Gagasan Sejahtera nel Kelantan e nel Terengganu, i due stati del nord-est del Paese.
GLI SCANDALI DI NAJIB RAZAK E IL DECLINO DEL FRONTE NAZIONALE
Tra le ragioni della sconfitta del fronte Nazionale, ci sono sicuramente gli scandali che hanno coinvolto, a partire dal 2015, il primo ministro Najib Razak, accusato di corruzione, ed in particolare di aver utilizzato impropriamente ben 640 milioni di euro pubblici. Le prime avvisaglie dello scandalo erano state lanciate nel mese di luglio di quell’anno dal Wall Street Journal, ma i sospetti sono diventati sempre più fondati nei mesi successivi. Tutto cominciò nel 2009 quando, salito per la prima volta al potere, Razak fondò la società pubblica 1MDB, creata con il fine di mettere in atto iniziative per lo sviluppo economico a lungo termine del Paese. In realtà, le inchieste del Wall Street Journal e della stampa malese indipendente hanno dimostrato come la società fosse stata creata semplicemente per coprire le attività illegali di Razak, che avrebbe versato centinaia di milioni di euro sui suoi conti personali, di cui alcuni situati in Svizzera. Il primo ministro si è difeso affermando che i capitali sospetti sarebbero dei “doni” provenienti da personalità politiche del Medio Oriente. Inoltre, Razak ha reso ancora più aspra la censura nei confronti della stampa, portando alla chiusura di due testate ed al blocco di alcuni siti internet, ed ha inoltre allontanato il suo vice Muhyiddin Yassin, che si era detto favorevole ad un’inchiesta indipendente sull’accaduto, così come altri collaboratori politici.
Lo scandalo che ha coinvolto il primo ministro Najib Razak era servito per riportare in auge nel dibattito degli osservatori internazionali la questione del regime politico vigente nel Paese asiatico. Sulla carta la Malaysia è una monarchia parlamentare federale, attualmente retta dal settantaseienne sovrano (Yang di-Pertuan Agong) Sallehuddin di Kedah, e la sua costituzione garantisce il multipartitismo e le libere elezioni. Di fatto, però, la maggioranza degli analisti ha a lungo identificato il Paese come una democrazia di facciata: dal 1957, anno dell’indipendenza dal Regno Unito, il governo era sempre stato guidato dal Fronte Nazionale, forza originariamente con una vaga preferenza per una politica di sinistra, ma che con il passare degli anni si è spostato sempre più verso destra, diventando un partito egemone che aveva come unico scopo quello di mantenere il potere acquisito. Grazie a questi anni di governo incontrastati, i membri del Fronte Nazionale hanno accentrato nelle sue mani tutti i mezzi d’informazione più importanti, mettendo inoltre in atto una vasta rete di corruzione, senza dimenticare le accuse di brogli elettorali mosse con frequenza dalle opposizioni.
Tra i principali oppositori di Razak, ade esempio, c’era Anwar Ibrahim, a lungo leader della coalizione di opposizione, spesso vittima di forme repressive da parte del governo. Il Fronte Nazionale, alla fine, era riuscito a metterlo fuori gioco, facendo condannare Ibrahim a cinque anni di reclusione con l’accusa di sodomia, considerata un crimine in un Paese che segue in parte il diritto islamico, anche se in realtà la legge è stata ereditata dal codice presente ai tempi della colonizzazioni britannica. Ma, più che l’aspetto legale, ciò che conta è che la condanna di Ibrahim ha avuto soprattutto effetto di screditare fortemente l’opposizione in un Paese dove, per la maggioranza musulmana, l’omosessualità è un reato molto più grave di qualsiasi forma di corruzione, spesso velata dalla forte disinformazione che vige nel Paese. Come se non bastasse, il governo aveva anche introdotto una nuova legge che punisce con oltre vent’anni di reclusione chiunque si renda protagonista di un “atto di sollevamento contro l’autorità”.
L’eliminazione politica di Anwar Ibrahim, tuttavia, si è rivelato lesivo per lo stesso governo, visto che ha spianato la strada al ritorno di Mahathir Mohamad, e non ha scoraggiato una parte della popolazione, che nel corso degli ultimi anni si è resa protagonista di diverse attività di protesta, fino ad esprimere finalmente il proprio dissenso nei confronti del Fronte Nazionale con l’ultima tornata elettorale.