Dicesi sovranismo “la difesa della sovranità nazionale in opposizione al trasferimento dell’esercizio del potere ad un livello sovranazionale. I partigiani del sovranismo denunciano questo trasferimento di sovranità come una minaccia per l’identità nazionale, o come fonte di nocumento per i principi democratici, allontanando gli elettori dai propri eletti”. La definizione del dizionario Larousse riporta anche che in Europa i sovranisti “rifiutano quella forma di unionismo praticata dai partigiani dell’Unione Europea”. Vuol dire dunque che la definizione di sovranismo e quella di anti-europeismo debbano necessariamente coincidere?
BREVE STORIA DEL SOVRANISMO EUROPEO
Secondo lo storico francesi Christophe Le Dréau, il primo movimento a poter essere identificato come sovranista risalirebbe addirittura al 1968, quando alcuni esponenti dell’Assemblée Nationale – la camera bassa del parlamento francese – fondarono il Mouvement pour l’indépendance de l’Europe (MIE). Si tratterebbe comunque di un sovranismo ante-litteram, visto che lo stesso Le Dréau afferma che il termine sarebbe stato coniato quasi trent’anni più tardi, nel 1997, al momento della ratificazione del trattato di Amsterdam, una revisione del trattato di Maastricht del 1992 (almeno in Europa, visto che secondo alcuni sarebbe nato addirittura in Canada, tra gli indipendentisti del Québec). Sarebbe poi diventato di uso comune al momento dell’abbandono delle valute nazionali in favore dell’Euro.
Nel suo excursus storico, Le Dréau sottolinea già come sovranismo non sia sinonimo di anti-europeismo: “Il termine ha per interesse principale quello di dare risalto ad una cultura politica più positiva, per un’altra Europa”. Non, dunque, la negazione dell’Europa e degli stretti legami esistenti fra gli stati che la compongono, ma un approccio diverso rispetto a quello vigente. Vi è infatti oggi, soprattutto nel mondo politico francese, una tendenza a rifiutare il termine “sovranismo” da parte di partiti che pure meriterebbero l’appellativo, a causa della stigmatizzazione che questa parola ha subito nel corso degli anni. Da qui la nascita di un nuovo termine, ancora poco diffuso in Italia, quello di “alter-europeismo”.
CHE COS’È L’ALTER-EUROPEISMO?
Secondo Emmanuelle Reungoat, il termine “sovranismo” apparterrebbe piuttosto al mondo politico di destra, in quanto richiamo ai valori identitari dello stato-nazione. Più che appartenere alla destra in quanto tale, aggiungiamo noi, possiamo dire che è stato effettivamente identificato nel corso del tempo con il cosiddetto anti-europeismo di destra. Abbiamo comunque già provveduto a smentire la tesi del sovranismo come espressione politica di destra in un precedente articolo che troverete linkato in basso.
Detto ciò, la stessa Reungoat identifica i movimenti del sovranismo di sinistra con il termine di “alter-europeisti”, in contrasto proprio con l’anti-europeismo tipico della destra nazionalistica, il che implica non un rifiuto totale ed aprioristico dell’Europa in quanto tale, ma un rifiuto dell’Unione Europea come la conosciamo oggi, quella basata sul primato dell’economia sulla politica. Come osservato dal politologo Pascal Perrineau, i sovranisti possono apparire come appartenenti alla destra dello spettro politico se ci si ferma alle posizioni che possono ricordare quelle tipiche del protezionismo e del nazionalismo, ma sono in realtà molto lontani dalle rivendicazioni tipiche della destra classica e del centro.
Ciò che emerge da questa forma di sovranismo che abbiamo definito di alter-europeismo, è la necessità di creare un’Europa che riconosca le affinità e le differenze tra gli stati-nazione che la compongono, senza mettere a repentaglio la loro identità individuale e la loro sovranità, ma dando vita a forme di collaborazione e di cooperazione che possano essere di giovamento per tutte le parti in causa.
CONTRO L’EUROPA DEL PRIMATO ECONOMICO
Veniamo dunque al momento dell’identificazione del nodo cruciale del contrasto tra i sostenitori dell’Unione Europea come la conosciamo ed i promulgatori di un sistema alter-europeista: il rapporto tra l’economico ed il politico. Oggi è quasi inconfutabile il dato di fatto per il quale l’Unione Europea si basa su una partnership di tipo quasi esclusivamente economico tra gli stati che la compongono. Ciò diventa evidente quando, al primo contrasto tra le parti, si mette subito in discussione il principio di libera circolazione dei cittadini, mentre restano sempre intangibili i principi di libera circolazione delle merci e dei capitali.
Non ci stancheremo mai di ripetere che l’Unione Europea è oggi diventata un Leviatano che non rappresenta affatto il nobile progetto pensato dai suoi ideatori. Dopo gli orrori della prima guerra mondiale, infatti, gli uomini politici del tempo pensarono ad una libera associazione tra gli stati del continente, con il fine primo di evitare l’esplosione di nuovi conflitti al suo interno. Il progetto di un’Unione Europea ante litteram venne presentato il 5 settembre 1929, in occasione della decima Assemblea della Società delle Nazioni, da parte del rappresentante francese Aristide Briand: “Penso che tra i popoli che sono geograficamente raggruppati come popoli d’Europa, debba esistere una sorta di legame federale; questi popoli devono avere in qualsiasi momento la possibilità di entrare in contatto, di discutere i loro interessi, di prendere decisioni comuni, di stabilire fra loro un legame di solidarietà, che permetta loro di far fronte, al momento opportuno, a circostanze gravi, qualora venissero a crearsi”.
Briand, che nel corso della sua carriera politica è stato primo ministro in ben dieci occasioni tra il 1909 ed il 1929, ci lasciò anche un monito che vogliamo riportare ancora una volta, perché crediamo che sia proprio questo il nodo fondamentale del fallimento dell’attuale Unione Europea. Pur senza negare la necessità di stabilire dei legami economici e commerciali tra gli stati europei, fatto inevitabile vista la vicinanza geografica e la crisi economica che imperversava nel primo dopoguerra, Briand affermò che sarebbero stati necessari anche e soprattutto dei legami politici, pur “senza intaccare la sovranità di nessuna nazione”.
Eccoci dunque a considerare ancora una volta il recupero della sovranità nazionale come soluzione di portata urgente per contrastare il potere incontrollato e totalmente slegato dalla volontà dei cittadini che è stato affidato alle istituzioni europee. Recuperare la propria sovranità, soprattutto quella economica e monetaria, è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente per andare verso un modello diverso di Europa.
Al problema del primato economico fa eco quello dell’assenza di democrazia nelle istituzioni europee: il parlamento europeo, l’unico organo eletto direttamente dal popolo, ha poteri molto limitati, mentre le decisioni più importanti vengono presi da organi non elettivi. In secondo luogo, abbiamo assistito negli ultimi anni ad una serie di ribaltamenti dell’esito dei referendum, quando questi andavano in direzione opposta rispetto alle decisioni prese aprioristicamente nelle sedi europee.
UN’ALTRA EUROPA È DAVVERO POSSIBILE
Come quando si è impegnati in un viaggio in automobile e ci si rende conto di aver imboccato la strada sbagliata, la prima cosa da fare è quella di tornare indietro. Non è infatti possibile tagliare i campi coltivati per recuperare la strada giusta, soprattutto se l’errore è stato compiuto parecchi chilometri prima. L’unica soluzione plausibile è quella di ripercorrere la stessa strada in senso opposto, fino a ritornare al bivio ed imboccare dunque la via corretta. Ecco perché riteniamo il recupero della sovranità nazionale come il primo passo per la costruzione di un’Europa alternativa.
Identificata la direzione da prendere, è ora necessario capire quali siano gli attori che possano dar vita a questo movimento. Non si tratta certamente della classe dominante, che nell’Europa del primato economico ci sguazza. Sono stati del resto costoro a disegnare il progetto dell’Unione Europea a propria immagine e somiglianza, a discapito delle classi dominate. Sono dunque proprio i dominati ad avere il compito di dar vita al movimento che ristabilisca la sovranità nazionale degli stati europei, con l’obiettivo ultimo di dar vita ad un’Europa degna di tale nome. Proprio come il ruolo rivoluzionario che il proletariato assume nella teoria di Karl Marx, anche in questo caso sono le classi subalterne a dover prender in mano le redini della situazione: la classe dominante è infatti sinonimo di mantenimento dello status quo, le classi dominate sono invece portatrici di cambiamento.
Detto questo, il recupero delle sovranità nazionali deve essere il fine a breve termine dei movimenti sovranisti di tipo alter-europeista, ma non il fine ultimo, come sarebbe invece nel caso di un sovranismo anti-europeista. L’obiettivo conclusivo è la costruzione di un’Europa che, come abbiamo detto in precedenza, tenga conto tanto delle affinità quanto delle differenze tra gli stati che la compongono. Come ammoniva Lenin nel 1915, “gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico non possono che essere impossibili o reazionari”. Un’Europa progressista non può dunque che nascere dall’iniziativa delle classi dominate, come ricordava Trostky: “Il fine del proletariato europeo non è la perpetuazione dei confini ma, al contrario, la loro abolizione rivoluzionaria, non lo status quo, bensì gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!”.
BIBLIOGRAFIA
DUROSELLE, Jean-Baptiste (1998), Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni
LE DRÉAU, Christophe (2009), L’Alliance pour la souveraineté de la France et l’émergence du militantisme souverainiste (1997-2002)
LENIN, Vladimir (1915), Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa
PERRINEAU, Pascal (2016), Les droites en France à l’horizon de 2017. Fractures, diversités et unité
REUNGOAT, Emmanuelle (2009), Les difficultés d’implantation d’un parti souverainiste en France (1992-2009)
REUNGOAT, Emmanuelle (2015), Et si les souverainistes de droite et de gauche se donnaient la main en France comme en Grèce, quel poids électoral?
TROTSKY, Lev (1937), La rivoluzione tradita
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