Aveva mentito per anni a genitori e parenti. Era arrivato addirittura a dar loro appuntamento per la discussione della sua tesi. Il fatidico giorno, però, quello che termina con spumante, consueto alloro in testa e qualche foto postata sui social che raccoglie sventagliate di like, purtroppo non è arrivato: un colpo alla testa ha stroncato la vita dell’ennesimo giovane che non ha resistito a pressioni e condizionamenti o che, semplicemente, era troppo fragile per affrontare le sempre più difficili sfide della vita.
Il ragazzo che si è tolto la vita era figlio di un noto avvocato abruzzese e la sua storia l’ho letta grazie ad uno status del professor Guido Saraceni, del quale abbiamo ospitato alcuni interventi in passato. In particolare, del commovente e coraggioso pensiero del prof, ho apprezzato la parte finale dove scrive: “Dovremmo invece insegnare ai giovani a seguire la propria vocazione, perché non esiste un successo paragonabile a conoscere veramente se stessi e diventare ciò che si è”.
SIMON SINEK: ”I MILLENIALS SONO UN GENERAZIONE DI INSICURI CRONICI”
Ecco, appunto: conoscere se stessi, trovare la forza di accettarsi e definire i propri obiettivi, perseguendoli e decidendo per la propria vita, liberi da condizionamenti esterni. E’ questo tutto ciò che dovremmo aiutare a fare ai nostri figli, fin da piccoli, senza trasferire su di loro le nostre ambizioni e i nostri complessi. Del resto lo dice nche un certo Simon Sinek: i millenials sono una generazione patologicamente insicura e fragile, disabituata alla gestione dello stress e caricata di una smisurata quanto vaga, con un’educazione alla vita spesso scadente e carente.
In ogni caso il prof Saraceni (giustamente) non colpevolizzava la famiglia dello studente (che anche io non oso giudicare per ovvie ragioni, oltre che per rispetto del lutto subito) ma in primis l’Università e quindi la sua categoria, colpevole di rimarcare con la giusta decisione che “la laurea non è un diritto: bisogna prendere lo studio sul serio e dare il massimo, altrimenti è meglio lasciar perdere e imparare da subito a svolgere un lavoro che non richieda il titolo di Dottore”. Ecco: non sei obbligato a laurearti solo perché i tuoi genitori lo hanno fatto prima di te. Non sei obbligato a studiare seguendo binari precisi, in una facoltà che non senti adatta a te e leggendo libri che non ti appassionano. Non devi sentirti un fallito se non hai “il pezzo di carta” o se da grane non vuoi fare l’ingegnere, il docente, il ricercatore ecc.
LA LAUREA E’ SOLO UNO DEGLI OBIETTIVI POSSIBILI
La laurea è solo uno dei tanti obiettivi che un giovane può liberamente porsi di raggiungere, senza però ritenere le Facoltà degli uffici di collocamento o dei luoghi che servono a confermare le aspettative piccolo-borghesi di genitori semi-colti e conformisti. Lo dice anche il docente universitario Ken Robinson: cresciamo gli studenti come se dovessero tutti diventare docenti accademici, annichilendo e mortificando le loro vocazioni. Se vanno male a scuola e non sanno approcciarsi al sapere come la maggioranza dei loro compagni, vengono automaticamente emarginati e marchiati come falliti, ritardati e futuri reietti della società.
UN PAESE OSSESSIONATO DAI PEZZI DI CARTA
Oscar Giannino si è inventato una laurea a Chicago perché non si sentiva abbastanza granitiche le sue evidentemente ampie conoscenze sui temi economico-finanziari, Di Maio si è messo in ridicolo da solo per giustificare l’unica sua mancanza per la quale non servirebbe alcuna giustificazione, ovvero il suo percorso interrotto a Giurisprudenza. Una mia stimata collega per anni si è vergognata come una ladra, compilando cv ambigui dove non si capiva che aveva iniziato l’Università ma non l’aveva conclusa. E gli esempi in tal senso sono infiniti, tra chi magari una laurea se l’è comprata e la ostenta in ogni occasione.
Siamo un paese così provincialotto da essere ossessionato dai pezzi di carta, dagli attestatiti, dai certificati. La gente si firma “dott” e “dott.ssa” nelle mail anche se ti sta scrivendo da un call center e non hai alcun bisogno di sapere che è laureata (siamo gli unici a ritenerci “dottori” già dopo una triennale in scienze della marmellata)
UN TEMA TABU’ ED UNA FRUSTRAZIONE GENERALIZZATA
Ogni volta che oso affrontare il tema del crollo del prestigio e del valore della maggioranza delle lauree, proprio perché vorrei che l’Università tornasse a diventare un luogo di accrescimento che richiede impegno e sacrificio vero e non mere maratone nozionistiche, devo sorbirmi sfottò, insulti ed insinuazioni da parte dei consueti laureati frustrati perché io ho “solo” un’abilitazione professionale come giornalista e non ho mai nascosto di aver lasciato (per gesto di consapevolezza e protesta) la facoltà di Scienze Politiche a sei esami dalla fine. Da anni subisco i vari: “Ma uno come te, senza la laurea. E’ un peccato” e penso che l’unico peccato è la gente che parla a caso e, da laureata, si dimostra più gretta e limitata di chi non ha finito neppure le medie e non ha avuto l’opportunità di studiare per tanti anni (evidentemente con scarsi risultati per la propria apertura mentale).
IL SACROSANTO DIRITTO A SCEGLIERE LA PROPRIA STRADA PER STUDIARE
Quando rivendico il sacrosanto diritto a non ritenere la laurea come tappa fondamentale della propria vita e della propria carriera professionale, almeno per certi ambiti lavorativi, devo sopportare pistolotti e considerazioni di una banalità sconcertante, frasi fatte e vacui moniti non richiesti. Eppure, farcela senza pezzo di carta e riuscire a guadagnare molto bene facendo il lavoro che hai sempre desiderato, dovrebbe essere l’unica cosa importante per ogni normodotato che mira alla propria felicità.
Soprattutto oggi, per fortuna, molte materie si possono studiare e padroneggiare perfettamente anche da autodidatti e non occorrono certificazioni per attestare determinate competenze professionali. Ho iniziato a leggere molti più libri e di qualità maggiore quando ho smesso di dover leggere quelli imposti dal programma didattico (che mi è comunque stato utile per scoprire autori e stimoli intellettuali importanti). Rispetto e stimo molto chi si laurea (in qualsiasi disciplina) con merito e considerando quel traguardo importante non perché così si faranno felici mamma e papà e/o ci si potrà “comprare” un posto di lavoro, ma perché un percorso accademico ben fatto aiuta a crescere sia intellettualmente che umanamente, allena all’apprendimento costante e permette di conoscere persone interessanti.
Se però la studio continuo non è nelle vostre corde e, pur forzandovi, non siete riusciti ad ottenere buoni risultati, non sentitevi dei falliti o dei futuri emarginati. Ci sono modi diversi di apprendere e costruire il proprio futuro e l’unica cosa che conterà, alla fine, bisognerà solo ricordare ancora una volta che “non esiste un successo paragonabile a conoscere veramente se stessi e diventare ciò che si è”.