Il MIC & PS (Movimento Infermieri Campania e Professioni Sanitarie) è formato da un nutrito gruppo di infermieri e di altri operatori sanitari campani impiegati in azienda del nord Italia che vorrebbero poter avere la possibilità di tornare a lavorare nella propria regione.
Il MIC&PS (Movimento Infermieri Campania & Professioni sanitarie) nasce grazie ad un gruppo di infermieri e operatori sanitari campani. La maggior parte di loro lavora in aziende del nord, lontano dalle città di origine e dai familiari. La Campania è la regionMIC&PS (Movimento Infermieri Campania & Professioni sanitarie)e italiana con la più alta percentuale (l’80%) di professionisti impiegati in strutture del nord Italia.
Il blocco del turn over, la mancanza di concorsi pubblici – previsti dalla legge come unico metodo di assunzione per dipendenti pubblici – da quasi due decenni, il ricorso alle assunzioni di schiere di precari tramite agenzie interinali che costano tra il 30-40% di un lavoratore con regolare contratto, hanno fatto sì che il danno erariale della Campania crescesse sempre più e impedisse a quei lavoratori impiegati in altre aziende di tornare nella propria regione.
Il Movimento nasce con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e di vigilare sull’operato dei dirigenti aziendali. Il lavoro precario incide pesantemente sulla vita del lavoratore per la sua intrinseca instabilità, precludendo ogni possibilità di progetti per il futuro, ma incide anche sulla qualità del servizio offerto: un professionista stressato e insoddisfatto non può garantire una prestazione soddisfacente. Il blocco del turn over fa sì che gli operatori rimasti in servizio siano sempre meno e sempre più stanchi. Questo ovviamente va a discapito dei cittadini che comunque versano tasse molto alte al sistema sanitario nazionale.
Abbiamo parlato con Francesco Ferrari, membro del movimento, per capire esattamente quali siano i problemi e quali sarebbero le migliori soluzioni da adottare.
L’INTERVISTA
Il MIC & PS (Movimento Infermieri Campania e Professioni Sanitarie) è formato da un nutrito gruppo di infermieri e di altri operatori sanitari campani che lavorano in aziende del nord e che quindi sono dovuti migrare dalle loro città, allontanarsi dalle famiglie, per trovare un impiego e che vogliono poter tornare nella loro terra per mettere a frutto la loro esperienze e mettersi al servizio della loro regione. Come e quando è nato il movimento? Quale è il suo obiettivo principale?
Le origini del Movimento vanno ricercate nell’idea di unire le forze avuta da un piccolo gruppo di infermieri stufi di vedere i propri diritti negati. Inizialmente in 11, si cercava di valutare come agire per far sì che anche in Campania si rispettasse l’articolo 97 della Costituzione, ovvero l’assunzione nelle Pubbliche Amministrazioni tramite mobilità e concorsi pubblici. Ovviamente l’unica strada percorribile era quella legale. Nel corso del 2016 questa idea si è diffusa sempre di più tra i lavoratori, cominciando a suscitare interesse anche nelle altre professioni sanitarie. Agli infermieri infatti si sono uniti anche O.S.S., ostetriche, infermieri pediatrici, tecnici di radiologia e tecnici di laboratorio. Il numero sempre crescente di associati ha portato alla necessità di registrare il Movimento con uno statuto che ne regola finalità e modalità di azione, un direttivo e una sede legale. È cosi che il 17/10/2016 è nato ufficialmente il MIC & PS (movimento infermieri Campania e professioni sanitarie). L’obiettivo principale del Movimento è quello di vigilare sulle modalità di assunzione nelle P.A. campane affinché vengano rispettati i diritti dei lavoratori, la meritocrazia prevista dalla Costituzione e soprattutto di arginare lo spreco di soldi pubblici, fattore quest’ultimo che va negli interessi della collettività e non solo dei dipendenti.
La Campania è l’unica regione che ha l’80% dei suoi professionisti che lavorano in strutture fuori dal territorio. In più c’è un evidente problema di malasanità. Dal 2008 la Campania è sottoposta ad un piano di rientro che di fatto blocca il turn over. Cosa comporta questo blocco? È una situazione particolare che riguarda solo la Campania o ci sono altre regioni che hanno problematiche simili?
Il blocco del turn over comporta l’impossibilità da parte delle aziende di sostituire tramite nuove assunzioni il personale che ha cessato la propria attività lavorativa per pensionamento o altri motivi. Questo perché si è deciso di tagliare la spesa delle aziende intervenendo sul personale di comparto (quello a cui appartengono le professioni sanitarie) facendo sì che la carenza di personale diventasse sempre più grave e insostenibile. Si parla di quasi 15000 infermieri in meno in 8 anni solo in Campania, Il tutto a discapito dei lavoratori e dei pazienti. I primi sempre più stressati, i secondi sempre meno assistiti. La Regione Campania non è stata l’unica ad essere sottoposta a piano di rientro, ma è stata l’unica dove il problema è stato gestito (a nostro avviso) molto male.
Di fatto le necessità che si presentano vengono tamponate con l’assunzione di personale tramite agenzie interinali. Questo comporta dei costi aggiuntivi (oltre che ad un aumento del precariato) rispetto all’assunzione di un lavoratore con contratto a tempo indeterminato? Quale è il motivazione per cui si ricorre a questo tipo di lavoro precario? Cosa comporta esattamente il ricorso ad agenzie interinali a livello di costi, di qualità del lavoro e del servizio offerto ai pazienti?
Il ricorso alle agenzie interinali è stato reso possibile dal fatto che la spesa per questo tipo di assunzioni non viene messa a bilancio nella sezione “comparto” dove sono avvenuti i tagli ed il blocco, ma nella sezione “beni e servizi”, come già accade da tempo per i servizi di mensa o di pulizia. Purtroppo però un professionista sanitario assunto in questo modo costa dal 30 al 40% in più. Anche se non grava sulla spesa di comparto, il costo maggiore rientra comunque nel bilancio totale dell’azienda. È questa la follia che porta a sperperare denaro pubblico in un periodo storico in cui ogni euro andrebbe speso con parsimonia e responsabilità. Quello di nascondere la spesa è solo un “trucchetto” che alla lunga non sta pagando perché quei lavoratori prestano comunque servizio nel comparto e vengono pagati dalle aziende esattamente come un vincitore di concorso. Inoltre va aggiunto un altro aspetto: questi lavoratori sono dei precari a tutti gli effetti, con tutto quello che ne consegue in quanto a diritti negati e incertezze nel pianificare la propria vita. Con un cambiamento radicale di questo sistema e lo sblocco del turn over per il comparto si darebbe la possibilità di tornare a casa ai lavoratori che da più di 10 anni vivono lontano da casa, la stabilità ai precari, un’ opportunità ai nuovi laureati e, cosa di non poco conto, un servizio migliore per i cittadini.
Il blocco del turn over fa si che il personale sia un personale anziano, che non ci sia quel ricambio necessario in ogni settore, soprattutto in un settore che ha che fare con la sofferenza della gente. Sono i pazienti spesso a farne le spese? Come vengono trattati dal personale già presente i precari neo-assunti?
I pazienti e i cittadini sono quelli che ne fanno le spese maggiori, perché nonostante le alte tasse versate, si ritrovano un servizio sempre meno efficiente. Il Poco personale sempre più stanco e stressato non può garantire le cure necessarie. Inoltre, la spesa che le agenzie fanno gravare sui beni e servizi, vanno a discapito anche della possibilità delle aziende di spendere in materiali e in servizi come mensa e pulizia dei locali. Sul rapporto tra personale già assunto e precari non saprei scendere nei dettagli, ma immagino che non ci sia nessuna forma di astio, al netto di eventuali eccezioni. Il problema infatti resta il sistema e non il singolo.
Il movimento nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica ma soprattutto i dirigenti delle aziende sanitarie. La costituzione prevede che vengano indetti concorsi pubblici per gli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e che si ricorra al lavoro precario solo in casi rari ed eccezionali. La legge quindi è dalla vostra parte. Cosa prevede esattamente? L’unica soluzione sono i bandi di mobilità volontaria? In cosa consistono?
La Costituzione parla chiaro a riguardo. L’ Articolo 97 sancisce che nelle Pubbliche Amministrazioni vi si può accedere solo tramite concorso pubblico, atto a formare una graduatoria di merito. Questo per garantire pari opportunità a tutti e soprattutto meritocrazia. Non è ammissibile che vi si acceda con altre forme che tralasciano completamente questi due punti fondamentali! Inoltre, prima di bandire un concorso pubblico, l’azienda deve attivare le assunzioni tramite mobilità, in modo che chi abbia già vinto un concorso e fosse interessato a lavorare presso quella azienda, possa avere la possibilità di trasferirvisi. Questo accade in tutta Italia, da Nord a Sud, tranne che in Campania. Almeno fino ad oggi.
Negli anni questa situazione ha portato ad una crescente spesa del personale, fino a provocare il danno erariale che ad oggi c’è in Campania. Perché si ricorre al lavoro precario piuttosto che al concorso pubblico come previsto dalla legge? C’è una forte presenza clientelare dietro a questa situazione?
A pensar male si fa peccato, ma molto spesso si indovina. Prendo in prestito una frase celebre per dire che questa potrebbe essere una chiave di lettura. È un dato inconfutabile e innegabile che tramite lavoro in somministrazione vengano assunti anche figli e amici di… Per formulare un’accusa però servono le prove e non siamo qui per questo. Non siamo nati per accusare o indagare, per quello ci sono gli organi preposti. Magari quei figli e quegli amici ad un ipotetico concorso si dimostrerebbero meritevoli, ma non è dato scoprirlo visto che di concorsi non se ne vedono da almeno due decenni.
Purtroppo questo non è l’unico settore che versa in questa situazione. Per esempio anche il settore delle telecomunicazione ed in particolare quello dei call center ha gli stessi problemi. Come hanno agito e stanno agendo i sindacati per migliorare la situazione? In teoria il loro scopo è quello di tutelare i lavoratori.
Purtroppo quello è un mondo che conosco poco per poter esprimermi. Di certo ogni forma di precariato toglie dignità alla persona. Certi contratti creano solo schiavi sottopagati e non occupazione giovanile come qualcuno vorrebbe farci credere. I sindacati senz’altro dovrebbero tutelarli, ma non saprei dirle se lo stiano facendo o meno.
In cosa consiste la vostra attività? Quali sono le strategie utilizzate per perseguire i vostri obiettivi? Avete avuto un incontro con il Presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca: che soluzioni ed accordi sonno stati raggiunti? Quale è in generale l’atteggiamento delle istituzioni (del ministro della sanità o di quello del lavoro) verso questa situazione?
La nostra attività consiste nel sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento, di vigilare sull’operato delle aziende e di intervenire tramite manifestazioni o tramite vie legali laddove si riscontrino delle irregolarità. Facciamo continue pressioni su direttori e responsabili sia a livello provinciale che regionale affinché si trovi una soluzione a questo scempio. Senza dimenticare qualche colpetto per risvegliare qualche sindacalista assopito… Il Presidente De Luca ci ha più volte ascoltato dichiarandosi dalla nostra parte e promettendoci di risolvere il tutto nel più breve tempo possibile. Quando gli abbiamo fatto notare i pochi passi avanti fatti però, ha rimandato le responsabilità a Roma. Fino ad oggi il ministro della Sanità non si è mai espresso, eppure siamo certi che sia a conoscenza del tutto. Sarebbe bello se un giorno ricevesse qualche nostro delegato per una bella chiacchierata, siamo molto curiosi di conoscere il suo pensiero.
Quali sono esattamente le vostre richieste ed i vostri progetti per il futuro? Pensate di espandere il movimento anche in altre regioni che hanno problematiche simili? O di estenderlo ad altri settori che vivono la stessa situazione di incertezza e precarietà?
Noi siamo nati quasi per gioco. Ad oggi siamo diventati una realtà che le istituzioni locali non riescono più ad ignorare. Lo scopo è andare avanti battaglia su battaglia, fino a raggiungere un allineamento delle aziende campane con il resto d’Italia e con il rispetto delle leggi. Lo facciamo giorno per giorno e siamo pronti a diventare un fenomeno nazionale se fosse necessario. Non sappiamo se altre regioni o altre categorie ci seguiranno. Quello che so per certo è che stiamo dimostrando che unendo le forze i risultati arrivano. Lottare insieme e scendere in piazza è un metodo che non abbiamo inventato noi, ma che molti nostri contemporanei hanno dimenticato. Ben venga se qualcuno volesse prenderci ad esempio, ne saremmo orgogliosi e fieri! Uniti si può!