Tempo fa, su una spiaggia, ho notato un ragazzo molto timido, che camminava ripiegato su stesso. Non voleva farsi vedere senza maglietta da noi altri ed era chiaro. Aveva un fisico che era il contrario di ciò che impongono gli standard di bellezza maschili: petto e torace molto piccoli e fianchi parecchio larghi, flaccidi. Alto non più di 1,70, pancetta molle con 3 pieghe anche da alzato. Una sorta di triangolo al contrario, insomma. Vedete, io sono di quelli privilegiati, almeno da questo punto di vista: alto quasi 1.90, spalle e torace belli larghi. Mai avuto problemi di timidezza, bullismo a scuola appena accennato e solo alle medie quando non ero ancora abbastanza “grosso”. Certo i miei geni mi hanno donato altri difetti, tipo che accumulo ogni grammo di grasso in eccesso praticamente tutto sui fianchi ed il basso ventre, inflaccidendoli e…devo massacrarmi di allenamenti e diete per perderli, salvo rimetterli con gli interessi se sgarro per appena due settimane.
Ho dei meriti per essere alto e ben piazzato, come lo standard più gettonato vuole? No, nessuno. Ha dei demeriti quel ragazzo ad avere un fisico “sbagliato” che non potrà mai rendere come il mio (almeno per la parte alta) anche impegnandosi al massimo? Naturalmente no.
SE FOSSI NATO IN AFGHANISTAN?
E se fossi nato in Afghanistan, nel 1986, invece che in una bella ed unita famiglia del Sud Italia che mi ha cresciuto con certi valori e stimoli intellettuali? E se fossi nato un decennio prima in una bella e ricca famiglia di Boston, negli USA, potendo sfruttare la piena bolla delle “dot com?”. Dove sarei oggi? Cosa avrei costruito e combinato se il caso mi avesse fatto nascere altrove, magari frequentando Yale o Harvard invece che la Federico II di Napoli ed il Liceo Scientifico Armando Diaz? Quanto conta il caso, insieme alla fortuna, nella vita delle persone? Senza considerare i fin qui non citati problemi di salute mentale e fisica che possono capitare a noi e/o ai nostri cari? Di sicuro molto più di quanto ci piaccia ammettere e di quanto, una certa retorica cancerogena e purtroppo super-diffusa come unico verbo plausibile, vuole farci credere.
COME UNA PANDEMIA
Oramai è proprio una pandemia, che ha già fatto enormi danni e creato eserciti di complessati ed insicuri, passando dall’eccesso de-responsabilizzante (“è sempre colpa dello Stato e/o di sfiga/qualcuno a caso se non sono dove vorrei”) ad un eccesso di colpa riversata esclusivamente sull’individuo (“i fortunati non esistono, se sei precario è tutta colpa tua ed il tuo successo dipende solo da te”). Chi “arriva” non vuole sentir parlare di fortuna, chi fallisce si vede ripetere che avrebbe dovuto impegnarsi di più, magari da chi è nato e cresciuto nella bambagia.
I PEGGIORI? GLI EX QUALCOSA DI SOCIALMENTE NON CONFORME
Ma i peggiori sono spesso gli ex grassi divenuti palestrati, che poi diventano grassofobici ossessionati dal proprio corpo e detestano/perseguitato quelli che gli ricordano come erano prima, solo per poter ottenere auto-conferma che loro non sono più così. Idem per quelli che “si sono fatti da soli” e, magari, sul serio sono partiti con poco o nulla ed hanno costruito tanto, ottenendo quel “successo” che il cliché capitalista vuole imporci come unico possibile, ovvero quello del “possiedo/noleggio belle case, auto, moto, barche”. Chi li critica è solo un “fallito/invidioso”, anche se magari i soldi li hanno fatti più per botte di culo che per reale impegno e/o grandi intuizioni. L’empatia si perde traguardo dopo traguardo, mentre dimentichiamo le doti innate che abbiamo ricevuto, la lotteria vinta nell’essere nati nella parte giusta del mondo.
IL MERITEVOLE (ANCHE SOLO PRESUNTO) PRENDE TUTTO
Personalmente non sopporto più questa retorica del “meritevole che prende tutto”. Non di più, come giusto che sia, ma proprio tutto e possibilmente per sempre (vedi chi ha avuto la grande e meritoria intuizione di Facebook o Google ed ora controlla di fatto un monopolio con rendita di posizione in stile feudale). Un vero mondo liberale, sa bilanciare il giudizio ed i “premi” per chi merita, senza dimenticarsi che la fortuna sta (ad esempio) anche nell’essere nati con un QI superiore alla media, un’intelligenza emotiva innata molto alta ed una serie di capacità che, miste ad una buona educazione familiare, ci hanno messo in condizione di raggiungere certi obiettivi da avvantaggiati alla partenza, con un turbo incorporato dietro le scarpe.
LA PIAGA DEI “MOTIVATORI”
Certo, abbiamo corso e ci siamo allenati, ma partivamo molto meglio di chi gareggiava con una gamba sola. E mentre anni fa i “modelli” di successo potevamo vederli ogni tot, oggi siamo letteralmente bombardati da fisici scultorei e vite “filtrate” che sembrano perfette, da “motivatori” che vivono dicendoci come dovremmo vivere noi, inondandoci con il consueto storytelling epico alla “prima era un idraulico precario ed ora è un milionario, perché ha creduto in se stesso“. Spacciatori di adrenalina, li chiamo io. Con la scusa di voler “ispirare il prossimo”, quelli che spesso sono banali e tristi mitomani vanagloriosi, noleggiano auto e jet per sembrare ciò che non sono. Il loro obiettivo non è godersi le cose che affittano, ma mostrarle sperando che qualcuno muoia d’invidia guardandoli.
IL MERCATO DELL’INVIDIA E I PROCACCIATORI DI INSICUREZZE
Ed è nato un vero e proprio (enorme) mercato fondato sull’invidia sociale provocata, che poi viene denunciata come insopportabile subito dopo, con il finto scopo di voler “motivare a dare il massimo”.
Mostro di continuo le auto che compro e le vacanze che faccio per “motivare” gli altri a fare come me. Ma è una scusa, ipocrita. Una balla che ci raccontiamo perché ci fa sembrare meno tristi e patetici. No, non volete motivare proprio nessuno, voi che passate le giornate a farci vedere quanto spendete e cosa noleggiate e/o comprate; i soldi che avete fatto (spesso con metodi discutibili). A voi interessa solo ricreare negli altri i complessi d’inferiorità che avete voi e/o vendere soluzioni per fare soldi, con il fine di fare soldi.
Procacciatori di insicurezze che vi vendono tappi bucati con i quali vi promettono di contenerle. Mesi fa ho pubblicato un post su Facebook che è piaciuto molto: parlava di un tizio in supercar che guidava intossicandosi, perché vedeva tante persone ferme in utilitaria al semaforo che lo ignoravano, che non lo guardavano ammirati e colme di invidia. E senza di loro lui non riusciva a godersi a pieno la sua bella auto.
Il suo sentimento di soddisfazione era connesso a quello di insoddisfazione altrui. Senza, viveva un continuo orgasmo interrotto, in un piccolo inferno quotidiano auto-indotto. Ecco, questo è il declino che abbiamo favorito con certa propaganda e le solite frasi fatte sul “se vuoi puoi” che inondano i social network ed il web in generale.
Certo, l’impegno è sacrosanto, la costanza pure, ma finiamola con questa storia che dipende tutto solo da noi e che la fortuna è una scusa dei mediocri. Facile dirlo quando sei così fortunato da non vederla, la dea bendata.
Io sono molto fortunato, molto più di tantissimi altri. Le mie difficoltà e le mie sfighe sono nulla in confronto al tanto che il CASO (o Dio, per chi ci crede) mi ha donato. Non ho paura di urlarlo, che essere fortunati non è un merito né una colpa. La fortuna è neutra per definizione. Solo ragionando così, vivremo in un mondo più equilibrato e meno egoriferito.
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