5 maggio 2018
È stato il più grave disastro nella storia dell’aviazione italiana prima che avvenisse la tragedia di Linate nel 2001. Non si tratta della strage di Superga appena commemorata, ne del noto episodio di Ustica, sebbene vi sia in comune il territorio siciliano come luogo della sciagura.
Venerdì 5 maggio 1972, il volo Alitalia AZ112, partito da Roma-Fiumicino con destinazione Palermo-Punta Raisi, si schiantò in fase di atterraggio contro la Montagna Longa nel territorio fra Cinisi e Carini: tutte le 115 persone a bordo (108 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio) persero la vita.
Il velivolo DC-8-43, decollato con mezz’ora di ritardo in una notte calda e senza vento, comunicò per l’ultima volta con la torre di controllo tramite il pilota comandante Bartoli che annunciò l’imminente manovra di avvicinamento alla pista 25 dell’aeroporto palermitano, pochi minuti dopo avvenne il fatale impatto. Nel luogo del disastro è presente tuttora una croce in ricordo delle vittime.
La croce sul luogo del disastro del 5 maggio del 1972 (fonte: lasicilia.it)
La giornalista e scrittrice Stefania Limiti, che aveva menzionato la tragedia nel suo libro “Doppio Livello” (cfr. “La tragedia di Montagna Longa […] è un episodio di terrorismo completamente dimenticato, inabissato da una sentenza che stabilì la responsabilità dei piloti, esperti professionisti di lungo corso, nonostante le evidenti e macroscopiche contraddizioni. Molti familiari delle vittime continuano ancora oggi a battersi per chiedere giustizia: indomita, esempio di generoso impegno civile, cito Maria Eleonora Fais, sorella di una delle vittime, Angela, giornalista del quotidiano «L’Ora»”), ha accettato di rispondere ad alcune domande, a 46 anni esatti dall’incidente, fornendo un contributo illuminante sull’intera vicenda.
Stefania ha collaborato in passato con varie testate dedicandosi alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della storia italiana e internazionale tra cui ricordiamo “I fantasmi di Sharon”, nel quale ha ricostruito la strage nei campi profughi di Sabra e Shatila, e “Il complotto. La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di Jfk”. Recentemente ha pubblicato “La strategia dell’inganno. 1992-93. Le bombe, i tentati golpe, la guerra psicologica in Italia” e, coautrice con Sandro Provvisionato, “Complici. Caso Moro. Il patto segreto tra Dc e Br”.
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L’INTERVISTA
Come mai una sciagura aerea così grave non viene mai ricordata dai mezzi di informazione?
La tragedia di Montagna Longa è stata inabissata nella memoria pubblica. Fu immediatamente messa all’opera una squadra di consapevoli o inconsapevoli depistatori che trasformarono una strage in un incidente dando la responsabilità piena ai piloti di quell’aereo. Il perito Salvatore Di Tommaso, docente di ingegneria ed ingaggiato dal procuratore capo di Palermo Giovanni Pizzillo, arrivò sul luogo del disastro all’alba del giorno seguente e diede l’impronta della versione ufficiale. Seguì la prima inchiesta dell’aeronautica guidata dal generale Francesco Lino, nominato dall’allora ministro dei trasporti Oscar Luigi Scalfaro.
In quale contesto storico del nostro paese va inserito l’evento?
Siamo nel 1972: è difficile oggi, soprattutto per i più giovani, entrare nel clima di quegli anni. L’Italia viveva nel panico del terrore stragista. Eravamo nel pieno delle indagini sulla strage di Piazza Fontana. A marzo i giudici Stiz e Calogero avevano imboccato la pista nera che poi si rivelerà quella più attendibile, arrestando il missino Pino Rauti. Qualche giorno dopo, il corpo di Giangiacomo Feltrinelli era stato ritrovato dilaniato sotto un traliccio a Segrate, mentre successivamente al disastro aereo, il 17 maggio, vi fu l’omicidio Calabresi e il 31 maggio la strage di Peteano firmata dal neofascista Vincenzo Vinciguerra, anch’egli appartenente ad Ordine Nuovo, ma figura anomala in quel contesto, come dimostrò in seguito con i suoi contributi alla comprensione del mondo neofascista.
La strage di Montagna Longa ebbe l’impronta di un atto di terrorismo di marca neofascista e non venne attentamente valutata, bensì derubricata ad incidente.
Il fatto che la tragedia sia avvenuta alla vigilia di elezioni politiche potrebbe essere un elemento significativo per un eventuale tentativo di destabilizzazione?
Furono mesi segnati da avvenimenti tragici e soprattutto da invisibili tensioni all’interno dei servizi segreti.
Tanto era pesante l’aria che a novembre l’allora segretario DC Arnaldo Forlani, durante un discorso pubblico a La Spezia, denunciò le trame contro la democrazia organizzate dalla destra sostenendo che il tentativo di eversione, mirato alla progettazione ed alla realizzazione di un golpe, era sempre in corso.
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Quali sono le contraddizioni più evidenti della versione ufficiale?
Il rapporto dell’allora Colonnello della Legione dei Carabinieri di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa parla di “cadaveri dilaniati”. I corpi non furono ritrovati in uno stato compatibile con la tesi dell’incidente, ma bruciati e, soprattutto, spezzati così come avviene quando ci sono delle deflagrazioni. Il corpo del regista Francesco Indovina che viaggiava sull’aereo non fu mai ritrovato: i soccorritori rinvennero solo la protesi dentaria ed un documento di identità. La disintegrazione dei corpi fu uno degli elementi che da subito resero chiara la dinamica di quella tragedia.
Un altro aspetto importante sono le testimonianze dalle quali si evince che non fu un aereo che si schiantò contro la costa della montagna, ma una palla infuocata che vi si dirigeva e ciò dimostrerebbe che un’esplosione era già avvenuta. Due poliziotti che percorrevano l’autostrada videro un’aereo in fiamme; uno dei due raccontò che, dopo aver udito un boato, guardò il cielo e vide una grande luce e un oggetto che perdeva progressivamente quota lasciando una scia di fuoco. Un pilota di linea, sentendo un rumore di motori in avaria, si precipitò fuori da un bar di Cinisi avvistando il velivolo che, già in fiamme, si dirigeva verso la montagna. Anche il sergente Roberto Terrano, in servizio presso la torre di controllo, fu testimone della stessa scena sebbene abbia in seguito ritrattato: circostanza che rese legittimo il sospetto di un tentativo di affossare la verità.
La scelta di dare la responsabilità al pilota Roberto Bartoli fu davvero molto cinica, e la sua memoria fu infangata: si disse che era miope, ubriaco (anche se la perizia tossicologica lo escluse), distratto e neofita, quando in realtà aveva alle spalle oltre diecimila ore di volo ed aveva già effettuato altri atterraggi a Palermo. L’errore che gli viene addebitato (non aver capito la traiettoria che stava prendendo) è insostenibile sulla base della sua esperienza e non conforme ai dati tecnici emersi. Inoltre, se l’aereo avesse impattato la montagna, i pezzi del relitto dovevano posizionarsi in una maniera diversa.
La scatola nera, probabilmente manomessa, non registrò alcun dato di volo e quindi non fu in grado di fornire ulteriori elementi.
La tesi dell’attentato fu completamente esclusa?
Una nota dell’agenzia Reuters tre giorni dopo lanciò subito la tesi di una bomba a bordo. Un rappresentante dei piloti dell’ANPAC, nella prima commissione di indagine, formulò l’ipotesi che un ordigno a bordo sarebbe dovuto esplodere ad aereo vuoto come attentato dimostrativo realizzato nel clima della campagna elettorale, ma a causa del ritardo nelle manovre di atterraggio l’esplosione sarebbe avvenuta in volo causando la strage dei passeggeri. Tuttavia indagini serie su questa pista non proseguirono e quando non si indaga o lo si fa in modo non corretto è difficile pensare di poter avere una verità giudiziaria.
La richiesta di riapertura delle indagini, a fronte di nuove perizie effettuate, ha dato qualche esito?
L’associazione dei familiari delle vittime oggi chiede l’avocazione delle indagini alla procura generale di Catania sulla base della nuova perizia svolta dal prof. Marretta che spiega la tesi della bomba a bordo del DC-8 Alitalia. Eleonora Fais, che dedicò tutta la sua vita e consumò le sue energie nella ricerca di giustizia per le vittime di Montagna Longa in memoria di sua sorella Angela (promettente giornalista de “L’ora” e de “L’Unità”), mi ha più volte detto che in realtà ci fu davvero un atteggiamento omertoso da parte di tutte le forze politiche che scelsero unanimemente la strada dell’occultamento. Di fronte a questa scelta oggi si può capire perché Montagna Longa è una strage che non è stata studiata, capita e indagata per quello che era e cioè un atto di strategia della tensione.
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