A due settimane dal terribile massacro di 17 persone, tra studenti ed adulti, nella scuola di Parkland in Florida, perpetrato dal 19enne Nikolas Cruz, che ne era stato espulso e non si era diplomato, e che ha utilizzato un fucile d’assalto stile AR-15, il dibattito sul controllo da parte dello stato circa la facilità di procurarsi queste letali armi da fuoco è lungi dall’essersi assopito, mentre, non solo da parte dei comuni cittadini, ma anche degli stessi studenti si sta facendo sempre più forte la pressione per introdurre una legislazione volta ad evitare tragedie di questo tipo attraverso il movimento #NeverAgain (#MaiPiù).
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A netto di tutta una serie di situazioni ed iniziative, quasi tragicomiche, che hanno fatto seguito al drammatico episodio, a livello politico il “giochino” rimane immutato. Da un lato ci sono i Repubblicani, per la maggior parte contrari al cosiddetto gun control (controllo su pistole e fucili), dall’altro ci sono i Democratici, tendenzialmente favorevoli ad esso, ma in minoranza nel Congresso. E in mezzo c’è la famigerata N.R.A. (National Rifle Association), la potentissima lobby, forse una delle più potenti, volta a proteggere il diritto dell’uso delle armi da parte dei cittadini USA, creata nel 1871. Essa s’ispira al Secondo Emendamento della Costituzione, nato nel contesto della lotta degli americani per l’indipendenza dagli inglesi, e secondo il quale sussiste il diritto civile di portare armi. La NRA, di cui fa parte lo stesso presidente Trump, è nota per le sue generose sovvenzioni alle campagne politiche.
Purtroppo pur essendo passati 14 anni da quando Michael Moore vinse un Oscar per il suo classico Bowling at Columbine, centrato proprio sulle stragi nelle scuole e sull’uso indiscriminato delle armi nella cultura USA, non è cambiato nulla in questo scenario. In quel suo documentario, il regista descriveva i membri dell’NRA come “i successori del Ku Klux Klan”, dopo averne intervistato il presidente onorario che in quel momento era niente meno che il noto divo di Hollywood Charlton Heston.
CAMBIAMENTO ALL’ORIZZONTE?
Ma forse questa volta qualcosa comincia a muoversi. Ormai questo tipo di massacri sono diventati una specie di fenomeno regolare nella scena civile americana, e ironicamente per lo xenofobo e razzista Trump, la stragrande maggioranza di essi ne vedono come autori non lupi solitari ispirati all’ISIS, ma regolari cittadini spesso vittime, come nel recente caso di Cruz in Florida, da ovvii e pesanti problemi psichici.
Chiaramente i controlli dello stato psichico di un cittadino in possesso di armi sono importanti e si possono anche inasprire, ma è comprovato che non sono sufficienti. Lo stesso Cruz era, a quanto pare, sotto l’occhio dell’FBI, ma la vigilanza nei suoi confronti non è servita a nulla.
Si sta parlando poi di spostare l’età minima legale per il possesso di armi del tipo usato a Pakland dai 17 ai 21 anni, come già avviene per gli alcolici, ma anche questa sarebbe una mossa insufficiente, indipendentemente dagli eventuali controlli del caso, visto che potrebbe forse ridurre in parte l’incidenza statistica di massacri del genere, senza però eliminarli tout court.
Interessante ricordare l’osservazione di Moore nel suo documentario, secondo la quale in Canada, dove esiste una libertà nell’acquisizione delle armi simile a quella esistente negli USA, gli episodi di violenza sono drasticamente minori dal punto di vista puramente statistico.
Il problema rimane quindi di natura culturale, nel senso che la cultura americana è decisamente più incline alla violenza – non è un caso che negli USA ci sono, pro capita, 17 volte più crimini rispetto, per esempio, alla Danimarca. Un motivo in più, di fronte a questa tendenza di fondo, per imporre una più pesante regolamentazione nell’acquisto delle armi.
Dopo l’eccidio nel dicembre 2012 presso la scuola elementare di Sandy Hook, a Newton, Connecticut, dove vennero uccisi 20 bambini tra i sei e i sette anni e sei membri del corpo insegnante, ad opera di Adam Lanza (un ventenne vittima di una forte depressione, che prima di agire uccise la madre in casa, e poi si suicidò ancor prima di venire arrestato), il dibattito sul controllo delle armi si fece molto pesante ed Obama cercò d’intervenire, senza tuttavia ottenere un grande successo. L’alleanza NRA-Repubblicani era troppo forte, ed ovviamente l’arrivo di Trump alla Casa Bianca non ha fatto che peggiorare la situazione. Ma ora più che mai, dopo i fatti di Parkland il dibattito si è riacceso e sta diventando uno dei temi più caldi e prioritari nella complicata scena politica americana.
Subito dopo il massacro di Parkland Trump si è incontrato con alcuni dei sopravvissuti alla Casa Bianca. Aveva con sé un foglietto di carta con su scritte le reazioni emotive giuste che avrebbe dovuto avere di fronte ai ragazzi. Tra le istruzioni c’era quella di dire “I hear you” (‘Ti ascolto’).
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A parte questo dettaglio comico e quasi surreale, ovvio oggetto di satira politica a destra e a manca, The Donald ha subito avanzato una proposta che poi ha reso ufficiale ad una settimana dalla strage, in un incontro con tutti i governatori degli stati dell’unione. L’ideona è di armare gli insegnanti spingendoli a portare armi in classe come deterrente contro questi regolari attacchi alle scuole. Notare che fu proprio la NRA a suggerire questo tipo di azione subito dopo il massacro di Sandy Hook. Questa logica da Far West, che implica, dal punto di vista meramente business più vendite di armi, va esattamente contro quella di ridurne e controllarne l’uso.
C’è da aggiungere che secondo Trump l’idea di fondo, piuttosto ridicola, è questa: andare ad insegnare con una pistola in tasca o nella borsetta sarebbe una forma di “amore” da parte dei docenti nei confronti dei propri alunni. Sì, perché argomenta il presidente, gli insegnanti amano gli studenti più di eventuali guardie adibite a difendere le strutture scolastiche.
Ovviamente questa proposta ha incontrato l’appoggio da parte della maggioranza dei governatori repubblicani, mentre quelli democratici, purtroppo in minoranza, hanno subito storto il naso.
Appoggio non incondizionato, perché si è fatto notare che magari la maggioranza degli insegnanti non sanno, dopo tutto sparare. Allora Trump si è corretto, suggerendo che solo gli insegnanti ben istruiti ed adepti all’uso delle armi da fuoco dovrebbero aderire a questa proposta, in particolare quelli con un passato di servizio nelle forze armate. E poi, da bravo uomo d’affari, ha aggiunto che i suddetti insegnanti dovrebbero essere premiati con un bonus aggiuntivo nel loro stipendio.
E sempre a livello tecnico c’è da notare che in certi stati, ovviamente a guida repubblicana, come il Texas e l’Arizona, già si tengono dei corsi ufficiali che aiutano gli insegnanti ad apprendere l’uso delle armi da fuoco.
Un’altra controversia è stato il non intervento, o comunque l’intervento ritardato da parte delle forze dell’ordine, con quattro vice-sceriffi che si sono nascosti dietro le loro aiuto invece di fare un blitz per interrompere la carneficina iniziata dal giovane Cruz a Parkland. Non è ben chiaro se sia stata semplice codardia o inefficienza, oppure se dietro ci fosse una motivazione puramente tecnica: il tipo di armi in dotazione erano nulla in confronto al fucile d’assalto in mano al killer.
E qui subentra un altro aspetto comico: Trump ha dichiarato che, spinto sempre dall’amore, lui sarebbe intervenuto per porre fine all’eccidio correndo dentro il campus a mani nude. Conoscendo la codardia di The Donald in più di un’occasione (caso classico quando durante un falso allarme in un comizio si gettò letteralmente nelle braccia di due guardie del corpo), pochi l’hanno preso sul serio.
Ma la proposta di addestrare e di armare un milione d’insegnanti che, ipotizzando un bonus di $1000 costerebbe allo stato americano un miliardo di dollari – proposta tra l’altro subito appoggiata, in qualche modo, nel corso di un’intervista in Sud Corea alla fine dei Giochi Olimpici Invernali, da Ivanka, la figlia di Trump, che insieme al marito Jared Kushner è una delle voci più influenti alla Casa Bianca – ha una grossa falla, tra le tante.
Se il suo scopo sarebbe quello di funzionare da deterrente, bisogna ricordare che gli autori di queste regolari stragi hanno tendenze fondamentalmente suicide. Per esempio, non solo Lanza, l’autore della strage a Sandy Hook, ma anche i due ragazzi responsabili per il massacro a Columbine High School, vicino a Denver, Colorado, che poi ispirò il film di Moore, si tolsero la vita prima dell’arresto. Questo per dire che si tratta spesso di persone pronte comunque a morire, e quindi l’idea di trovarsi di fronte ad insegnanti armati non servirebbe necessariamente a fermarli a priori nei loro intenti omicidi.
L’idea di armare gli insegnanti ha subito trovato una forte opposizione non solo tra moltissimi studenti e genitori, ma in primo luogo tra i maggiori sindacati degli insegnanti stessi, sia a livello nazionale che in Florida dove l’ultimo eccidio ha avuto luogo.
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Al di là della specifica proposta di armare gli insegnanti, il dibattito principale rimane quello sul gun control, che sta già impegnando un Congresso chiaramente diviso. Pur essendo la maggior parte dei repubblicani contrari ad introdurre una nuova regolamentazione sulla disponibilità e sull’uso delle armi da fuoco, soprattutto dopo Parkland, sta filtrando una certa preoccupazione, soprattutto di natura elettorale, in vista dell’andata alle urne a novembre. Indicativo un recentissimo sondaggio della CNN che mostra un appoggio a nuove leggi atte a controllare di più l’uso delle armi mai visto fin dall’inizio degli anni ’90.
Ma, indipendentemente dagli esiti del dibattito in un Congresso comunque in uno stato di stallo, vista l’attuale maggioranza repubblicana sia nella Camera dei Rappresentanti che in Senato, sta acquistando un grande slancio il movimento #NeverAgain, con una crescente partecipazione attiva da parte sia di studenti che di genitori. Perciò la pressione sui legislatori si sta facendo sempre più forte.
Indicativa la prima mossa, quella degli studenti sopravvissuti all’eccidio di Parkland, che hanno subito riempito decine di pullman per andare in massa alla seduta dell’assemblea dello stato della Florida, noto per la sua storica contrarietà al gun control. Mossa che purtroppo ha avuto un finale tragicomico. L’assemblea, invece di ascoltare le voci giustamente preoccupate degli studenti, si è impegnata piuttosto nel far passare una proposta per il controllo della pornografia tra i giovani, mostrando un senso delle priorità a dir poco capovolto.
Ma #NeverAgain non è destinato a fermarsi, come ha fatto notare in un commovente articolo apparso su The New Yorker, la giornalista Jesse Dorris, testimone, da adolescente, nel 1992, di un attacco nella sua scuola in Massachusetts, che costò la vita ad un insegnante ed a uno studente. Allora la reazione generale fu quella di chiudersi nel lutto e nel silenzio. Ora invece, scrive la Dorris, è più che mai più giunto il momento di esprimere il proprio sdegno verso uno stato incapace di prevenire episodi del genere.
Ha fatto una certa impressione, pochi giorni fa, in un affollatissimo meeting pubblico, sentire uno studente chiedere direttamente a Marco Rubio (repubblicano della Florida, e noto oppositore del gun control) se continuava ad essere appoggiato dall’NRA. Questo a conferma che in questo tragico frangente è più che mai difficile per i giovani tenere la bocca chiusa.
P.S. Nel contesto, per chi fosse interessato, vale forse la pena rivedere il cartone animato dal titolo “Breve storia degli USA”, tratto dal film Bowling a Columbine.