Sole Cuore Amore è già polemica, sul film di Vicari il dibattito comincia a scaldarsi.
Ho ricevuto come era pensabile una serie di messaggi privati di sdegno e riprovazione, tra cui un paio di sms di scomunica anche dal regista stesso per aver scritto una critica critica al suo ultimo film –Sole Cuore Amore di Daniele Vicari un film non riuscito – che ho visto in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Non si fa a quanto pare. Il regista mi ha dato del confuso che offende la propria intelligenza. Io credo che dovrebbe essere assolutamente normale un dibattito, anche molto appassionato perché no?, sull’arte, specie sulle opere di quegli artisti che pongono se stessi o sono posti da altri come artisti dell’impegno politico, come è per Daniele Vicari, invece come in una specie di centrifuga qui in Italia si separano il succo e la fibra. Uno si beve e l’altra si butta. Da una parte gli amici e dall’altra i nemici. Eppure si sa che la fibra è fondamentale alla salute, quanto la critica vera senza sconti all’arte, alla riflessione sui suoi processi. Insomma : Chi non salta è. Chi si permette di non aderire all’entusiasmo generale perché gli sembra che l’opera non abbia raggiunto il quorum della sufficienza, è già un guastafeste, un afflitto da sintomi di asocialità. Ebbene, visto che ho meritato per ciò che ho pensato e scritto sul film due sms del regista in persona che, rifiutando spazio su queste pagine per confutarmi in modo dialettico, mi ha dato del confuso mentale, voglio rincarare la mia dose di asocialità. Portarla alla massima espressione. Perfettamente consapevole che gran parte del pubblico che lo ha già visto e molta stampa, che ne sono restati entusiasti , mi detesteranno per ciò. E io voglio essere detestato fino in fondo. accomodatevi.
MINIMA PREMESSA
Innanzi tutto ci tengo a dare qui il dato relativo degli scritti ai vari sindacati in in Italia, questo dato si rivelerà utile infine in questa riflessione per pensare e tenere presente la realtà dell’atteggiamento politico verso il lavoro della maggioranza delle persone di questo paese: oltre 16.000.000 di lavoratori iscritti. E’ il dato del numero delle persone che in questo paese con la loro militanza attiva nei sindacati cercano di mantenere il lavoro come sfera della dignità e della cittadinanza politica nella società e dunque il lavoratore come cittadino depositario si di doveri ma con relativi diritti. Persone che non vogliono morire di lavoro. persone che vogliono vivere come esseri umani e non come schiavi. la loro iscrizione ai sindacati è già il manifesto politico della loro adesione ai principi costituzionali di questa nazione e un desiderio di una ragionevole felicità. La maggioranza dei lavoratori in Italia è rappresentata da un atteggiamento di lotta per i diritti.
ALCUNE IMPORTANTI DICHIARAZIONI DEL REGISTA SU COSA E’ IL SUO FILM
“Il film non parla degli ultimi, ma della maggioranza. Credo che anche chi non ha particolari problemi economici viva oggi una situazione difficile. Credo che il 90% delle persone faccia la vita dei miei personaggi. Certo, non il 90% delle persone che fanno cinema, politica, che posseggono i mezzi di produzione. Ma sono una percentuale ristretta rispetto a noi. Credo chela responsabilità del cinema, non solo italiano, sia l’errore di raccontare le periferie solo con personaggi dalla pistola in mano e la cocaina nelle mutande: così facendo fanno passare in secondo piano il 90% delle persone” Daniele Vicari su movie player
“C’ho messo quattro anni per fare il film, se posso fare un’autocritica ho delle perplessità, come spettatore, sul fatto che il cinema, non solo in Italia, è totalmente succube del potere, esclude dal racconto il 90% degli esseri umani, a meno che non accada una tragedia. Se i registi si innamorano di questi eventi eccezionali – ripeto parlo anche per me in un caso come Genova – e non si guardano intorno, la vita delle persone esce dal cinema e resta la rappresentazione del potere. Si raccontano solo proletari cruenti, stupratori; tutti amiamo alcuni film del genere, ma quando l’intera cinematografia segue questo andazzo è preoccupante. Io vado al cinema e non vedo mai gente che lavora, ma solo problemi sentimentali o psicologici, senza quella che chiamiamo vita quotidiana, i problemi che cerchiamo si risolvere ogni giorno, quelli su cui il nostro cinema migliore ha creato il proprio successo”. Daniele Vicari su comingsoon
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CONSIDERAZIONI ASOCIALI SU SOLE CUORE AMORE
Innanzi tutto la storia della protagonista di Sole cuore amore è la storia vera di una donna vera. Non di un personaggio astratto nato dall’estro dell’autore per rappresentare la moltitudine, ma di una persona anagrafica vera concreta unica. La sua morte è il suo incidente particolare, ed è legata alla sua vita, alla sua storia, al suo carattere, anche al suo destino, e a una moltitudine di cose sconosciute che appartengono solo ed esclusivamente a lei, che rappresentano solo lei. Il lavoro per universalizzare la sua storia potrebbe si essere un compito dell’arte, ma è un lavoro molto più arduo di quello rappresentato da metterne semplicemente la storia su uno schermo in forma di film piuttosto che di documentario. La donna si chiamava Isabella Viola. Con 4 figli, esattamente come la protagonista di sole cuore amore, con un marito disoccupato, con un lavoro in un bar di Roma e la casa fuori Roma e morta appunto come la protagonista. Dunque il film è basato e racconta nella persona della sua protagonista i fatti realmente accaduti A Isabella Viola. Quei fatti precisi e particolari sono avvenuti a quella persona rispondendo a una serie di cause esatte.
Ora se io, regista, o drammaturgo o romanziere apro un giornale e prendo una storia tragica realmente accaduta per usarla come soggetto di un film o di un romanzo avrò come autore già una storia in tutta la sua coerenza in mano, un vicenda, una dinamica i suoi personaggi, i suoi spazi. Dovrò realmente comprendere le ragioni profonde però, o quando la rimonterò nell’arte dopo averla smontata dalla vita non saprò rimetterne i pezzi insieme.
La storia della vita di quelle persone conterrà, manifesta o occulta, la risposta ai perché e alle coerenze dei fatti veri che nell’opera di pura creazione devono essere invece inventati pensati e resi plausibili dall’intelletto dell’autore.
Ogni mondo deve rispondere a delle leggi per esistere. Spazio, tempo, gravità, ovvero principi che regolano classi di eventi o di cose, da cui derivano masse distanze dinamiche etc. Nei mondi concettuali che genera l’arte narrativa e drammatica non ci sono forze fisiche ma forze concettuali, principi morali, psicologici, caratteriali, fantastici, magici etc. che funzionano determinando l’opera come nel mondo reale funzionano le forze dell’universo.
Per questo davanti a film che raccontano fatti veri si scrive sempre : Based on true story e lo scrivo in inglese perché tendenzialmente la correttezza anglosassone su queste cose è più intransigente: creare una storia o raccontare una storia realmente accaduta sono due attività creative, nella scrittura drammatica, completamente differenti.
Un autore, a mio modo di vedere, non può usare un fatto di cronaca cosi come è accaduto come suo soggetto senza fornire con estrema chiarezza immediatamente questa informazione – cosa che Vicari ha scelto di non fare invece– se ci sta per far vedere una simile storia, perché quella informazione è un fondamentale strumento del giudizio estetico che l’autore fornisce allo spettatore da subito, possibilmente in titolo di apertura , come gli si potrebbero fornire gli occhiali 3D se il film fosse in tre dimensioni, necessari a vedere interamente il vedibile di quella cosa, questa informazione serve a mettere in moto un particolare processo di co-immaginazione, a pensare cose altrimenti impensabili.
Questa informazione è cruciale perché avverte lo spettatore che dentro all’opera agisce la ratio –come anche l’autorità– del reale, e che l’autore non ne è autore di questa ratio ma che di questa ratio ne è interprete o esecutore, come succede nella musica per capirci dove o si esegue un pezzo già esistente di Bach o si è compositori di qualcosa di completamente nuovo, e la cui razionalità riposa solo nell’autore.
Ovviamente se dai questa informazione ti metti come autore, nelle condizioni di una grande fatica; dovrai sudare non poco perché anche la tua opera dovrà rispondere a quella ratio. Allora dovrai fare un immenso lavoro di indagine, di approfondimento soprattutto psicologico e scavare nella storia vera e dovrai diventare quanto più le tue facoltà te lo permettono proprietario dei perchè dei moventi reali di tutte le azioni fondamentali del dramma che i protagonisti hanno realmente compiuto. Solo da questa conoscenza profonda si può rintracciare nella particolarità di una storia vera la materia dell’universale.
Perché la donna si è lasciata morire cosi nonostante fosse stata avvisata da un medico essendo madre di 4 figli ? Perchè non ha funzionato il suo istinto di conservazione quando si è sentita male? Perché non ha riflettuto che è più grave cosa lasciare figli orfani piuttosto che perdere un lavoro quando il rischio di morte era stato reso evidente dalle prescrizioni del medico? Queste determinazioni di questi fatti veri sono coerenti alle leggi che governano il tipo di personaggio che è rappresentato nel film?
Non tutte le risposte sono coerenti con le varie ratio che possono incorporare questa vicenda. Non mi puoi rispondere la donna si è lasciata morire cosi perché amava il tango. Faccio un esempio eclatante. Ma non mi puoi nemmeno rispondere che si è lasciata morire cosi perché era un eroe. Non ci sono le condizioni per l’instaurazione di questa legge dell’eroismo nel rappresentato di questo personaggio in questo film. Una morte sul lavoro o andando al lavoro non risponde in maniera univoca, come grossolanamente indica il film, al principio dell’eroismo ( del quotidiano) o del martirio. Può significare anche profondo disprezzo di se stessi, stupidità, anche fatalità, paura di accettare lo stato delle cose di uno stato di salute incompatibile con certe attività, e molto altro. L’opera d’arte deve, tramite i propri mezzi, necessariamente sciogliere questo intreccio, svelare questo enigma del perché, non può esistere una tragedia artisticamente compiuta se non è compiuto il disvelamento delle forze che hanno mosso i fati dei suoi personaggi.
Non funziona tutto, anche se i mezzi del cinema ti permettono di rappresentare fisicamente qualsiasi cosa di fatto. Di poter far dire qualsiasi cosa a qualsiasi personaggio in qualsiasi situazione, ed è proprio il livello di risposta alla ratio del concreto dei fatti , come base di partenza, che poi mi dice se il film e naturalista, realistico, fantastico, surrealista, horror e via discorrendo. Ognuno di questi generi rispondendo a una logica specifica da cui scaturiscono le leggi che governano la vita e i fatti dei personaggi e che renda possibile che vivano di una vita autonoma secondo quelle leggi e che non subiscano solo la violenza del potere dell’autore di fargli fare e dire quello che lui desidera che facciano o dicano.
Fino ad arrivare al brutto film dove non agisce nessuna logica appunto e i personaggi non rispondono a delle leggi che ne governino le azioni. L’artista compiuto è sempre un legislatore mai un dittatore delle sue creature e come un vero dio dando loro le leggi li dota di un qualcosa che assomiglia a un libero arbitrio per cui essi rispondono solo alle leggi che gli sono state date.
Come autore io potrei farti vedere una madre amorevole e incantevole con i suoi figli per tutto un film ma che poi all’ultimo momento trucida barbaramente suo figlio facendolo a pezzi con un martello. lo posso fare certo, non è invece certo che io sappia manifestarne il perché, ovvero che io sappia rendere visibile nell’opera il principio per cui ciò sia avvenuto. Questa madre poi potrebbe essere interpretata dalla più famosa attrice del momento, bella e bravissima a recitare, e inoltre potrei fare una fotografia eccezionale e la colonna sonora scritta da Morricone, poi questo film sarebbe presentato in anteprima in un prestigioso festival, gli attori sul red carpet, il pubblico elegante in sala. Certamente scroscerebbero gli applausi. Applausi per la bravura eccezionale dell’attrice che è riuscita a incantarci nel farci vedere questa dolcezza e poi a terrorizzarci quando alla fine macella il figlio, applausi alla sua bellezza, alla sua notorietà, applausi per l’incredibile fotografia , per gli ambienti, per i bellissimi costumi, per non parlare della musica, applausi per avere infine realizzato questa cosa tecnica che si chiama film. il film come res, come cosa sarebbe ineccepibilmente una cosa compiuta. E dalla sua visione ne sarebbe scaturite negli spettatori certamente delle emozioni, ma perché quella donna ha massacrato il figlio? Ma a chi volete interessi mi direte voi? Avete pure ragione. Questo solo per dire che empiricamente parlando ci sono grosse potenzialità , avendo i mezzi materiali e tecnici per fare un film, che un film infelice sia anche paradossalmente parlando un “bel film”.
Tutto ciò che un autore decide di descrivere nel film producendo quel dato visibile serve, fondamentalmente, a istituire una ratio nel mondo ricreato dall’arte, a porvi nella sua immanenza delle leggi che ne governino quelle che Adorno nella sua Estetica chiama i membra disiecta . E’ come se procedendo nell’animare il proprio personaggio il progredire della creazione debba nello stesso tempo costruirgli davanti ai suoi passi, altrimenti gettati nel vuoto , la solidificazione di una strada di senso su cui possano poggiare: l’arte mentre ara semina. A un personaggio deve dare delle leggi a cui quel personaggio risponde, e sia leggi che risposta debbono essere visibili nel suo agire, nel suo pensare, nel suo parlare, nel farci vedere come si producono in lui le scelte di fare delle cose anche assurde o capitali , come uccidere o morire. Tutto l’impianto Dostoevskiano di Delitto e Castigo non è che questa semina e questa coltura delle leggi che governeranno il delitto di Raskolnikov come la sua redenzione. L’artista deve produrre questo rapporto in maniera visibile, è la sostanza dell’opera questa. inutile aggiungere altro.
Ora Daniele Vicari nel prendere questa storia di sana pianta dalla realtà avrebbe dovuto attraverso lo snodarsi del visibile nelle scene istituire la legge a cui aderisce il personaggio e le vicende -sto qui trattando fondamentalmente, per motivi di spazio, piuttosto della questione del personaggio principale, Eli, che del resto- Queste leggi spiegano allo spettatore il perché delle azioni della storia, e il perché dei fatti, e rendono possibile dentro questa storia quelle determinate azioni rispetto alle sue leggi. Qualcuno sarebbe in grado certamente di dire nella storia della vera morte di Isabella Viola il perché profondo di quella morte, o artisticamente creare una legge che possa pienamente, ma soprattutto efficientemente sostituire la legge che ha governato la vera morte della vera Isabella magari riuscendo, come hanno fatto i tragici greci, appunto a cristallizzarla condensandone gli atomi diffusi nel particolare dell’universale. Facendone un mito dell’umano.
Se lo ha fatto in maniera deliberata, di morire in quel modo annunciato, si chiama suicidio. Se non si è resa conto della gravità della sua condizione nonostante i sintomi e nonostante il parere del medico si tratta di una serie di cose che possono andare da una non completa capacità cognitiva a qualcosa altro del genere. Se se ne è resa conto ma fatalmente non ha fatto nulla potrebbe trattarsi di una depressione maggiore non diagnosticata. Solo alquanto superficialmente la fatica è la causa della morte in questa vicenda. Ma nel film è l’unica legge che governa questo evento capitale, insieme a una ovvia disfunzione cardiaca della vera Isabella Viola, di cui anche il film ci rende edotti, e di cui essa era venuta al corrente in tempo, cosa che le avrebbe permesso di assumere atteggiamenti atti a non morire. Tra uno stipendio e la morte certa, non mi sembra che ci siano da fare dei ragionamenti. Deve esserci allora sotto una legge che governa l’atteggiamento che la ha portata alla morte. istinto di morte? Vicari non è capace di farmi vedere nel visibile del film il perché di questa scelta più profonda. Da dove ha preso Vicari la certezza che a governare le azioni della protagonista sia stato un atteggiamento stoico ed eroico fino alla morte e che la morte sia avvenuta per stanchezza? Vedremo di chiarirlo a breve. Credo di averlo scoperto.
Il personaggio del marito fa e non fa delle cose e ci si potrebbe chiedere anche qui cosa lo anima. Se il principio regolatore del suo personaggio fosse un profondo amore della donna dovremmo rendercene conto in modo inequivocabile, e, insieme a noi, dovrebbe con ciò essere chiaro che lo percepisce, in quel mondo creato dall’arte, anche la moglie.
Fosse anche solo attraverso una mercuriale invenzione poetica cinematografica, eppure, tanto per dire, questa donna scende sola in strada in tutte le albe del film . L’uomo non sente la necessità nel suo ozio coatto di scendere una sola volta – nel tempo del film- con lei almeno fino alla fermata del bus, riscaldandola con un abbraccio, facendo qualcosa di più nella storia che dargli qualche bacio e tirargli una carezza offrendole una canna quando torna la sera, o fare una colazione e preparare da mangiare al bambino o far addormentare il bambino, questo non rappresenta l’eccezione che manifesta un principio di amore che governerebbe il personaggio del marito in una situazione in cui la donna mantiene tutti, lavorando 14 ore al giorno e lui è disoccupato, questo rappresenta solo il minimo per non essere cacciato di casa: la legge dell’amore a cui questo personaggio ubbidisce e cosi pallida e latitante che non una volta questa legge gli fa dire ma sai cosa? “oggi prendo la macchina- che per inciso lui ha e lei no- che mantengo con i tuoi soldi mentre tu ti sposti in autobus- e ti porto alla metro di Ostia io”. Questo personaggio del marito disoccupato poi è persino coadiuvato dalla amica della moglie che gli fa da baby sitter e che insegna la matematica alla figlia ( parte della critica ritenendo a pagamento parte della critica come sorellanza tra le due donne, c’è dibattito anche sulla questione) .
C’è qualcosa della furbizia dello sfruttatore, a mio modo di vedere, che si sedimenta nel visibile con cui Vicari ha sviluppato questo personaggio, sinceramente parlando, e solo la simpatia e la bellezza dell’attore, già salutato dall’ovazione del pubblico della proiezione del film a Rebibbia con il grido romano di “Anvedi chi ce sta! Er Libanese!” come ci racconta Francesco di Brigida nella sua recensione sul Fatto” protegge questo ruolo da attirarsi il disprezzo del pubblico, se solo fosse brutto.
Inoltre il visibile del personaggio di Vicari, che appunto per l’attore ha scelto un bell’uomo di sana costituzione fisica, sprizza, come la protagonista, felicità da tutti i pori della pelle del volto: la felicità di due attori di successo ovviamente. Se volessimo pensare all’importanza del volto e dei suoi segni in Levinas andremmo sicuramente a ricordare ( copio e incollo per motivi di rapidità da un sito di filosofia che cita e commenta un passaggio di Levinas il seguente brano abbastanza indicativo di ciò che voglio dire ) che: “Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.” Il volto, per Lèvinas, è il luogo dell’incontro, è il luogo in cui si giocano tutte le dinamiche dell’uomo, dall’amore tra due persone alla guerra, alla pace. L’incontro con il volto dell’altro provoca inizialmente in noi il desiderio di eliminarlo, di ucciderlo, perchè è diverso dal nostro. Il soffermarsi sul volto dell’altro stabilisce la relazione. La relazione è responsabilità e condivisione. Lèvinas parla di “epifania”, intendendo il momento della scoperta, della rivelazione della presenza dell’altro, con tutto il suo universo interiore, con tutta la sua umanità ( fine copia incolla).
Allora nei lunghi quattro anni di preparazione al film (secondo alcune interviste secondo altre scritto in solo 3 notti questo film- da verificare insomma) Vicari avrebbe forse dovuto interrogare, in vista della scelta iconografica dei volti che li avrebbero rappresentati nel film, i veri volti delle persone a cui stava strappando dalla loro maschera la vita di dosso, poiché ci stava per raccontare quelle vite, esattamente quello che a quelle vite è accaduto. Forse, medito, avrebbe dovuto pensare che in questa chiave quei volti contenevano già visibili i segni delle leggi che avevano governato la loro dramatis personae tra cui forse anche degli inconsci desideri di morte magari. Forse in Italia ci sono migliaia di attori con volti straordinari che restano un po troppo spesso tagliati fuori dal lavoro perché i loro colleghi più celebri vengono scelti piuttosto per la loro fama che porta consensi al film che per la corrispondenza del loro volto come il volto di certe storie. può essere?
Con il visibile profondamente e intimamente gioioso, appagato, socialmente soddisfatto del volto degli attori scelti da Vicari, la totale assenza dal loro volto di quello smarrimento appunto che rivela l’universo interiore di chi è essenzialmente esposto in maniera integrale a una esistenza senza rete di sicurezza, come acrobati che volteggiano sulla nuda terra che li potrebbe uccidere al primo errore, di chi è esposto agli errori letali senza seconda chance, che nei volti della tragedia, secondo l’importanza cruciale che gli riconosce Levinas, sono vere apocalissi ontologiche, Vicari compie un tradimento forse ancora maggiore di questa storia che egli , in senso buono, ha predato a le vite degli altri.
E quando Vicari ricorda il grande cinema del neo realismo, per lamentare un cinema che oggi si occupa solo di potere e tragedie – sebbene non solo con Diaz egli sia occupato di potere e di tragedia ma anche con Sole Cuore Amore a quanto pare almeno di tragedia – dimentica, mi viene da pensare, che quel neorealismo era anche una filologia ontologica dell’essere che si esprimeva soprattutto nella ricerca, da parte dei registi, dei volti. Basti ricordare l’immortale frontone di divinità dei personaggi di Accattone, per rendersi conto che quei volti, confermando completamente l’importanza ontologica che Levinas vi attribuisce, sono quasi il totale del segreto del contenuto artistico di quel film, perché in quei volti le leggi che hanno agito su quelle vite hanno prodotto la scultura di una maschera coerente alle leggi che hanno governato le loro disgrazie, miserie, rivolte e fati, erodendone, come venti e intemperie la pietra delle montagne, la loro materia. Ora la carica di energia vitale che emana l’attore del film Sole Cuore Amore è talmente evidente, talmente plateale è la sua salute e forza, che il suo non utilizzarla nel film per spaccare in due il mondo invece che poltrire nei proprio lamenti di disoccupato è non comprensibile se non come appunto un sedimento di sfruttamento verso la donna, la quale nel film lo rispetta teneramente senza che ne siano con ciò date le ragioni.
Fare il cast come si dice oggi dovrebbe essere una ricerca filologica della radice semantica dei volti rispetto alle storie che devono interpretare . La cosa sarebbe più evidente se Daniele Vicari avesse raccontato una storia di schiavi afroamericani del 700 con attori Svedesi ( non che non sia possibile beninteso ma allora deve significare qualcosa) e dal momento che Vicari ha strappato una storia vera dai veri volti per attaccarla sulle facce delle nostrane celebrità cinematografiche del momento, per me ontologicamente agli antipodi di tutto questo universo che il film dichiara di voler narrare, mi sono permesso di riportare quei volti appartenuti alla vera storia narrata nel film qui in questa riflessione, volti scolpiti come maschere che contengono l’imprimatur inequivocabile dei principi che ne hanno governato la tragedia.
Ecco riguardiamoli insieme, perché è della loro storia che narra Sole Cuore Amore fondamentalmente, e chiediamoci se la scelta che ha fatto Vicari nel fare il cast non sia , forse inconsapevole, forse dovuta e necessaria, una devozione al mercato e al gusto di quel cinema ipovedente che inonda i nostri schermi contemporanei. E se questa scelta di volti cosi intrinsecamente allegri, patinati, televisivi direi, degli interpreti della moglie e marito , rispetto al tragico contenuto nella storia, non ne faccia, rispetto agli intenti dichiarati, un film commerciale piuttosto che d’autore. Nei suoi “materiali” impiegati per raccontare pateticamente invece che psicologicamente o politicamente questa tragedia di una famiglia vera, veramente esistita, in modo piuttosto conforme al gusto televisivo e di massa e di cui pur commuovendoci e indignandoci seguendo le vicende nel film alla fine non ci viene detto nulla di fondamentale, di essenziale della loro vita. Tra i veri volti di Isabella Viola e il Marito e il protagonista di Accattone, per me, c’ è una potente consanguineità , e invece sento una siderale e incolmabile distanza tra i volti reali della vera storia di Sole Cuore Amore e i volti dei protagonisti scelti da Vicari, che evidentemente non sapendo nulla di essenziale su quelle persone non ne hanno saputo raggiungere il segreto .
Torniamo al personaggio di Isa. Se una madre ama i suoi figli in maniera totale sara pronta a morire per loro solo se la sua morte fosse sacrificio necessario alla loro sopravvivenza. Ma allo stesso modo avrà cura di se, non esponendosi alla quasi certezza di una morte perché ciò significherebbe abbandonare quei figli per sempre a se stessi. Sacrificio estremo e cura di se come vediamo non sono antinomie in un personaggio di madre che è governato dalla legge del suo amore assoluto per i figli. Ma non sempre i comportamenti delle madri sono mossi da questo amore, anche se lo rivendicano a gran voce; basta leggere “Epistemologia della schizofrenia” e la “Teoria del doppio vincolo” di Bateson per esempio, per vedere come è complessa e variegata la questione.
Ovviamente l’artista deve costruire, nel caso di un film, animando elementi visibili della legge che governerebbe le dinamiche, la visibilità di questa legge di questo amore che va a parare in questa tragedia in modo tale che i personaggi dell’opera possano viverne. Ora nel film il rapporto tra madre e figli è quasi assente, e decisamente banale rispetto a una vicenda che invece è assolutamente tragica. Questa donna ha quattro figli. Una grande opportunità (mancata) di utilizzarli come elementi drammatici per rendere visibili le leggi che governano nel personaggio il suo senso della maternità, che non è certo dato dall’andare al lavoro, molte persone sono talmente tediate, se non disgustate dalla loro vita familiare da rifugiarcisi nel lavoro: ad esempio Vicari avrebbe potuto usare il più piccolo dei figli, lattante, praticamente come uno specchio del profondo della donna. La donna avrebbe potuto fare dei monologhi al bambino che non capisce ancora la lingua ma che è perciò ancora non completamente altro dall’essere anche parte della madre, e avrebbe potuto rendere visibili attraverso questi monologhi, anche poche poetiche frasi, ma drammaticamente capitali , cose che avrebbero dovuto partecipare alla istituzione e alla manifestazione nell film stesso delle leggi che governavano il rapporto tra madre e figli, contribuendo a costruire il senso della tragedia nel film e il ritratto dei suoi protagonisti.
Vicari nelle sue esternazioni per spiegare il film alla stampa dice che questa è la storia di un eroe del quotidiano, e che è una storia che rappresenta non gli ultimi ma le persone comuni, ovvero milioni di persone. Quindi questo eroismo dovrebbe essere governato da una legge veramente universale.
Ovviamente poi attraverso queste leggi avrebbe dovuto spiegare il perché o l’assenza di un perché la madre tradisca la legge che la governerebbe come madre piena da amore verso i propri figli – cosi come propagandata dalla vulgata della cronaca- con il non prendere in maniera grave la sua problematica cardiaca tanto da morirne. C’è qualcosa di non congruente in ciò. di profondamente dissociato tra la legge che si vorrebbe governasse il personaggio, di questa donna responsabile fino alla morte dei suoi figli e questa morte assolutamente irresponsabile. Se forse ai personaggi del film fosse stata data un anima, al posto di alcune caratteristiche, e il regista ci avesse permesso di gettarvi uno sguardo dentro forse avremmo capito qualcosa partecipandone come a un disvelamento. Invece siamo solo informati di una serie di cose. Orfana. Disoccupato. Madre di figli. Ma cosa significano queste cose per Isa? Come la muovono? Come ne determinano gli umori? e via dicendo e ciò vale per tutti i personaggi del Film.
Ai miei occhi, sottolineo il dato soggettivo, nulla giustifica la proposta cinematografica di Vicari della morte di lavoro come martirio deliberatamente accettato, che egli conferma anche nelle sue interviste. questo mito della figura femminile straordinaria che si prende il mondo sulle spalle. Perché il sacrificio di questa donna come atto eroico non ha senso alcuno visto che questo martirio getterà le persone che da lei dipendono in una situazione senza più possibile redenzione, definitivamente nella tragedia. Mi viene in mente che la vera donna della vicenda è, come nel film stesso, una orfana che finalmente rende orfani i suoi stessi figli. Oscura coazione a ripetere mi viene da pensare. Una restituzione oscura di quel male rappresentato dall’essere stata abbandonata dalla morte dei suoi di genitori.
Ora siccome esiste un originale di questa situazione la cui partitura Daniele Vicari ha trascritto per il cinema, siccome esistono quei bambini, siccome esiste quel marito, di cui la cronaca si è ampiamente occupata anni or sono, e siccome Vicari ci ha messo 4 anni a portare la loro storia in un film, deve essere accaduto nello scrivere questo film, dico a me stesso, più di uno di quegli errori che accadevano ai copisti medioevali dei classici greci, i quali inserivano nei testi cose assolutamente apocrife che snaturavano i testi stessi con delle fondamentali incoerenze, errori che la filologia pazientemente rintraccia fin dove riesce.
Questo tipo di errore è anche l’errore di riproduzione genomica che poi origina la malattia nel corpo. In questo caso l’errore inficia la meccanica celeste che avrebbe dovuto meravigliare nell’opera e che non funziona. Il planetario è immobile. Che sicuramente esistono delle cause e delle conseguenze perfette in questa storia che hanno una qualche razionalità da cui possano scaturire le leggi che hanno governato la tragedia nella vita.
Insomma sicuramente le persone reali di questa storia reale che Vicari ha portato nello schermo cinematografico si muovevano seguendo dei motivi concreti in una realtà concreta capace di spiegare ogni attimo con dei perché che rispondono a dei principi a delle leggi immanenti in quella storia che nel film non sono stati resi visibili. Trapiantare l’organon della loro verità nel corpo dell’arte è una operazione che comporta un rischio di rigetto altissimo in questo caso, a mio modo di vedere, rigetto completamente avvenuto.
Il Patos del film del portare, nella percezione dello spettatore, al limite il cuore malato in quelle corse estenuanti e usuranti che avrebbero avuto anche una plausibilità se la protagonista non fosse stata una cardiopatica consapevole( morte cardiaca improvvisa che colpisce senza sintomi) mentre una persona che soffre di aritmie non affronterà mai corse del genere perché aritmie e tachicardie danno attacchi di panico non verve olimpionica, motivo per cui forse nella vita reale Isa arrivava spesso tardi proprio perché appunto non poteva fisicamente affrontare corse . La simpatia zampillante verso i clienti del bar, uno specchio della vita di tutti . La dolcezza nonostante tutto della donna. Il suo non giudicare il marito che non fa nulla di visibile nel film che lo leghi a una legge che governi il suo essere amabile se non delle posticce carezze e belle parole mentre ci sarebbe una sostanzialità della situazione drammatica della povertà che non ci viene mostrata verso cui l’uomo non si assume nessuna azione sostanziale fosse pure di andare a rubare, altrimenti noi pubblico odieremmo l’uomo e penseremmo che la donna è stupida e quindi non proveremmo più pietà per lei ma disprezzo. la scena reiterata e eccedente di questa mani sulla radiosveglia a ore 4 e 20, etc. Tutto ciò e molte altre cose del genere di cui è infarcito il visibile in questo film Sono tutti meccanismi, macchine d’assedio al patos del tutto generici. Non ci dicono nulla in verità di sostanziale, soprattutto, essendo un film, non rendono visivamente immaginabile nulla che equivalga a un disvelamento , che mi faccia dire che questo film è un grande film.
I meccanismi della commozione speciale su Isabella Viola che mette in moto il film nella grande massa del pubblico , sono per me, è una iperbole di tangenza per incrociare una idea di ciò, gli stessi meccanismi rovesciati dell’odio verso alcune persone perché collettivamente identificate come coloro che rubano il lavoro o cose del genere, senza nessuna relazione razionale con la concretezza delle vere vite di quelle persone. Sono afflati di massa come afflati di massa sono i fascismi. Come afflati di massa, fenomeni induttivi sono il successo di Opere che non reggono una analisi un po’ più inoltrata della sua sostanza.
Io non mi posso fidare e non mi fido di quello che ha preso a dire la massa, edotta dalla cronaca, sul giudizio che discende della emotività manipolata dai media di massa (quella stessa massa su cui Isabella Viola non aveva potuto contare quando era in vita per migliorare la propria vita, ma che poi ha riempito il bussolotto delle offerte, ma questa è un altra cosa) su questa donna e sulla sua vicenda . Tutto ciò che è riportato dalla cronaca di allora , vi invito a leggere i titoli della stampa su Isabella viola che sono programmatici della poetica di questo film, a parte il nudo fatto di quella morte di quella vita, è mistificazione, menzogna, paccottiglia appunto da articolo di cronaca, sentimentalismo spicciolo e quant’altro.
“Leggendo in rete la storia di questa donna mi è tornata in mente la vicenda di un’altra donna che alcuni anni fa è morta a Roma in metropolitana, si chiamava Isabella, e in un attimo ero su quei vecchi articoli” Daniele Vicari tratto dall’intervista del 20 ottobre 2016 su Writers Guild Italia
E tutto ciò è finito a piedi uniti e con tutte le scarpe, nel film Sole Cuore Amore di Vicari: ecco da dove sono state prese le leggi e i principi a cui risponde il visibile messo in opera da Vicari in Sole Cuore Amore, ecco da dove viene la drammatica dei protagonisti del suo film, le leggi su cui ha costruito quel visibile. finalmente abbiamo scoperto il principio coerente dell’opera: il ritratto psicologico grossolano che ne ha fatto la cronaca per abbuffarsi di audience.
Perché il visibile di Sole Cuore Amore, che ci mostra quelle determinazioni morali dei personaggi che poi governerebbero le loro azioni, risponde in maniera esatta alle leggi che, per esempio governano il giudizio del pezzo di allora di Massimo Gramellini (qui nello screenshoot del sito di Che tempo che fa) sulla vicenda di Isabella Viola, pezzo patetico, sentimentalistico senza sentimento, mediaticamente opportunistico, disgustosamente predatorio del corpo indifeso della vittima di una tragedia, sulla morte e sulla vita della vera Isabella Viola, come possiamo leggere in questo stesso articolo. Cosi tanto assomigliante alla poetica di Sole Cuore Amore , nell’attribuire alla storia tutta una serie di motivi immaginati sulla scorta dei pezzi di cronaca di allora, e di cui Gramellini non sa invece in verità e soprattutto in profondità, assolutamente nulla, se non che servono a produrre quella sua sgocciolante immagine pubblica, decisamente per me nauseante, di Uomo morale e giusto, da sembrare questo testo la sinossi praticamente esatta del film del film stesso. Mi dispiace doverlo sottolineare ma insomma è proprio cosi, è una cosa che sta proprio cosi.
Daniele Vicari ha poi accorpato a questa storia la sua creazione della storia della ballerina, ma le due storie non si intersecano mai, non si fondo dando origine a un nuovo mondo o figlio della realtà e dell’arte , dove possono esistere governate da leggi proprie le figure di questa tragedia , perché la storia di Isabella Viola, alias Isa nel film, resta isolata in maniera stagna nella sua esatta dinamica fattuale senza che artisticamente avvenga una redenzione del destino del suo personaggio tragico che sarebbe generato solo dalla riuscita verità del personaggio di Vale, messo dall’arte per salvare la vita. Personaggio artisticamente parlando evidentemente fallito .
Tutto ciò che ha detto la cronaca , sulla ratio del patos della donna eroica, forte, coraggiosa, che si prende il mondo sulle spalle, una regina come la chiama Gramellini che si gode il sublime della tragedia altrui dalle sue calde e sicure camere con vista sui drammi del mondo etc etc è chiave sommamente rotocalchistica. Da cui l’arte dovrebbe prendere assoluta distanza e addirittura salvarci. Anche Raskolnikov viene dai torbidi quartieri di queste tragedie, ma Dostoevski lo ha aperto svelandone i segreti moti interiori che lo animano nell’universo che l’arte gli ha dato. Facendone il capolavoro eterno di Delitto e Castigo e mostrandoci un universo morale e immorale grandioso in cui sono dispiegate e visibili tutte le leggi che l’artista ha dato al suo personaggio per farlo vivere nell’arte di una sua verità inespugnabile . Molto lontano, troppo lontano da ciò sono le minime frasi, artisticamente di una immane insignificanza, che vengono messe in bocca ai protagonisti del film, grottescamente didascaliche, e cosi anche la dialettica tra le immagini. Che la nostra società di telespettatori sia una grande divoratrice di questo didascalico nulla poi è una altra questione e che in esso ci veda persino un barlume dell’arte anche.
La storia della morte di questa donna vera che è stata portata nel film , e anche la sua vita, hanno certamente a che vedere con qualcosa di ben più sottile profondo complesso di tutta questa fanfara patetica che ne ha fatto la stampa all’epoca , ecco perché il film, per me è un film non riuscito come opera d’Arte ne come opera Politica, perché il regista, come è evidente leggendo gli articoli di allora, facendo di ciò la poetica esatta dei suoi personaggi, e la legge immanente che ne governa tutti i motivi , si è fidato/affidato a quello che ha raccontato la cronaca nera , e poi i grandi rotocalchi che sopra vi hanno imbastito la loro solita orgia di audience, come quelli da cui pontifica Massimo Gramellini, la più grande venditrice di menzogne di tutti tempi.