Nelle piazze d’Italia sta andando in scena una comica emulazione di un film d’antan del surrealista Buñuel. La borghesia ha un discreto fascino quando cena in bianco.
Come i surrealisti insegnano, il sogno deve essere riportato al centro dell’arte. La cena in bianco può farlo, permettendoti di sognare per una sera di essere una principessa. Lo specchio delle brame conteggerà a fine serate i like su Facebook decretando la più bella del reame, miracoli della tecnologia.
L’arte surrealista è anche illogica, un flusso privato del controllo della ragione. La cena in bianco può fare anche questo, portandoti in piazza a mangiare senza che tu ne sappia i motivi. I significati profondi lasciateli ai pedanti professoroni che si divertono guardato le repliche de “il fatto” di Enzo Biagi.
Ma la cena in bianco può fare anche di meglio. Nel film di Buñuel i protagonisti celano tanti piccoli segreti dietro buone maniere, convenevoli ed eleganza.
E qui si rischia il plagio, con tanto di risarcimento dei diritti d’autore.
Posata la birra e il panino con la porchetta, archiviata la gara di rutti, gli inciuci dal parrucchiere e l’aggiornamento con le comare, riequilibrata la santità della messa con qualche bestemmia, si scende finalmente in piazza di bianco vestiti. Badando bene a spazzare gli inconfessabili segreti sotto al tappeto, si sfoderano posate d’argento, candelabri, candide pellicce anche d’estate(la pelliccia fa da isolante termico), cagnolini debitamente agghindati(tipicamente barboncini o chiwawa), piatti in maiolica, sorrisi sbiancati per dare il via al sogno: mangiare tra un selfie e l’altro.
Fantastico, no?
Intanto io scommetto che, come nel film, ci sarà qualcuno intento a spiegare come tagliare un arrosto o bere un Martini Dry, sempre con Eleganza, Etica, Ecologia, Estetica, Educazione.