Parigi in rivolta per la nuova riforma del lavoro voluta dal governo. Il nostro viaggio/inchiesto per raccontare la viva protesta dei francesi.
Questo inaspettato marzo termina con un corteo imponente e arrabbiato nella capitale francese: nemmeno la pioggia battente è riuscita a mitigare i bollenti spiriti. Verosimilmente cinquantamila persone hanno sfilato nella sola Parigi, senza contare le svariate manifestazioni che hanno avuto luogo per tutta la Francia contro la nuova proposta di riforma del lavoro. Un pacchetto di misure di “snellimento” che prevedono una vertiginosa perdita nelle tutele dei lavoratori, ispirato anche allo Job Act italiano.
Ciò che però impressiona non sono tanto i numeri delle partecipazioni allo sciopero generale, quanto la messa in atto e la diffusione di pratiche di lotta ben radicali. Parliamo di un Paese che ha intrinseche nella sua storia le mobilitazioni popolari, che continuano a darsi anche nel recente passato: si pensi alla riforma contro il CPE del 2006, di cui quest’anno ricorrono i dieci anni (i paragoni, ovviamente, si sprecano…). A esplosioni di collera ben decise, sentite e diffuse i francesi non sono estranei: nel 2005 le periferie delle città hanno bruciato ogni notte per più di un mese. Eppure stavolta è ben diverso. È quasi superfluo rimarcare il particolare periodo storico che si sta attraversando: pure la Francia vive una sentita crisi economia e politica, guidata da un governo debole, un’opposizione screditata e un Front National forte, ma al tempo stesso ormai organico agli equilibri di potere. A questo va aggiunto il peso delle conseguenze dei feroci attentati di novembre: lo stato di emergenza è ancora in vigore, assieme al relativo pacchetto di restrizioni alle libertà personali che tuttora si fanno sentire.
IL WELFARE CHE RESISTE ED EVITA IL TRACOLLO
Ciò che ancora sembra reggere il tessuto sociale, sono tutte quelle misure di welfare che garantiscono una sopravvivenza minima per gli indigenti e una relativa stabilità per le persone modeste: fra cui anche le buone tutele lavorative.
Da questa degna rabbia che si sta in questi giorni esprimendo nelle strade d’Oltralpe, sta emergendo un tessuto di gruppi indipendenti capaci di deviare la lotta dai rigidi percorsi sindacali. I sindacati rappresentano un’effettiva opposizione sociale, ma con dei precisi codici e condotte da rispettare e far rispettare: un’area di conflitto autonoma è sempre esistita, foraggiata talvolta dall’esperienza anarchica qui comunque stabile, ma si è sempre trattato di realtà comunemente confinate nella marginalità e nell’autoreferenzialità. Difficilmente si ha avuto l’occasione di sviluppare percorsi di rottura incisivi, che non fossero poi esauriti o riassorbiti dallo Stato.
In queste settimane una rete di circuiti autonomi sembra essere riuscita a rompere il ghetto nel quale era notoriamente confinata, applicando pratiche di rottura appunto molto radicali per il contesto francese e riuscendo a conquistarsi la simpatia e la fiducia di ampi settori coinvolti nel conflitto sociale. I giustamente acclamati liceali – riferendoci perlomeno alla situazione parigina – hanno messo in atto lungo le varie scadenze azioni di una notevole audacia, che sono state sempre ben ricevute da molti dei loro coetanei che hanno preso parte alle mobilitazioni: cortei selvaggi in pieno centro, devastazione di vetrine e banche, vandalizzazione di sedi del Partito socialista, scontri con la polizia, travisamenti. Il corteo studentesco della mattina del trentuno era per la maggior parte a volto coperto e vestito di scuro. Non si parla di una decina di anarcomatti, ma di quasi un migliaio di studenti del liceo!
PRATICHE VIOLENTE, CON MIGLIAIA DI MANIFESTANTI
La diffusione di queste pratiche non sta avvenendo di certo a caso. Alla base c’è anche il paziente lavoro politico di un collettivo di studenti, il Mili – Mouvement inter-luttes indépendant. Un gruppo che si era rapidamente annoiato delle conformità dei sindacati (qui comunque abbastanza diffusi tra gli studenti) già nel 2013, quando in Francia fece scandalo l’espulsione di una liceale kossovara, Leonarda Dibrani. Da allora questo piccolo collettivo ha cercato di animare gli appuntamenti studenteschi, talvolta collaborando con altri gruppi altri autonomi come gli Antifa parigini, cercando di esprimere una rabbia e un sentire in forme che non fossero necessariamente ordinate e pacifiche. Il loro atteggiamento deciso, ma non ottuso, ha rapidamente dato spazio anche ad altri che al pari di loro trovano strette le burocrazie di apparato. Come rilasciato in un’intervista a Politis: ci trattano da “casseur” (termine con cui in Francia s’intende gli “spacca vetrine”), perché tra di noi ci sono alcuni che hanno delle pratiche di lotta più radicali, ma altri non ne hanno, spiega uno di loro. Ci sono alcuni con che si scontrano con gli sbirri o coi fasci, e altri che distribuiscono volantini. Senza condannare quelli che entrano nelle banche a colpi di badile – alcuni sono dei nostri, altri no – crediamo nella convivenza delle differenti modalità d’azione. Non siamo qui per dire chi sono i buoni e chi sono i cattivi manifestanti.
Loro non sono di certo gli unici: a fargli compagnia una rete già esistente di realtà autonome e libertarie attive per tutta la Francia. Tramite questa mobilitazione si sta mettendo in marcia una sinergia di differenti realtà che sfrutta la protesta contro la riforma del lavoro, per ampliare la contestazione a tutto un mondo e a un sistema che hanno portato a questa proposta di legge ed altre catastrofi: la loro attività non si ferma solo agli appuntamenti principali, ma è capace di generare percorsi indipendenti capaci di sfociare in assalti a due commissariati e al saccheggio di due supermercati nel pieno centro di Parigi, nel proseguo di una manifestazione studentesca di un venerdì pomeriggio.
Ogni corteo che ha percorso le strade di Parigi in queste settimane ha rappresentato un metro in avanti verso un’autonomia dal potere vigente ricreando un’ingovernabilità del presente, gestita come punto di forza e di rottura, piuttosto che di debolezza e improvvisazione: una considerevole area di movimento sembra fare suo lo slogan “vogliono costringerci a governare: non cadremo in questa provocazione!“, esprimendo un netto rifiuto verso ogni forma di autorità e di centralizzazione, sperimentando piuttosto forme orizzontali di coordinamento. In questi giorni si susseguono assemblee spontanee in Place de la Republique, tenuta ogni sera da oltre un migliaio di fiduciosi in un avvenire senza dominio.
A marzo si ha assistito a una rivalsa sui mesi di pace sociale forzata, datesi dopo gli attentati di novembre. Un silenzio che però è stato solamente apparente: i circuiti militanti hanno continuato a tenersi attivi fin da subito, nonostante la repressione si ha cercato di tenere gli appuntamenti contro il summit del clima di fine novembre. Dovendo però costatare lo squilibrato rapporto di forze in atto, le varie reti indipendenti sembrano aver saputo pazientemente aspettare il momento giusto per ritornare allo scoperto e preparare una strategia di attacco che non fosse solo di tutela dei diritti acquisiti: altro grande elemento di rottura rispetto alle mobilitazioni del passato, è l’aperta contestazione al sistema vigente. Si riconoscere apertamente: la legge del lavoro non è che un pretesto. Una misura in più per rendere invivibili le nostre vite: attaccarsi solo a essa è quanto meno limitante e va ricondotta a un panorama più ampio, fatti di leggi di emergenza, ascesa dei fascismi, devastazioni ambientali e crisi umanitarie. Ma si è ancora lontani da un discorso organico e coeso: quello che viene percepito è un malessere nutrito da molti fattori, che non riguardano solo il lavoro e la sua assenza.
Quello che però non si ritrova nei principi comuni, viene ritrovato nell’adozione di un atteggiamento e un immaginario condiviso. In questa mobilitazione sociale si sta assistendo alla condivisione e alla riproduzione di pratiche dell’azione diretta che stanno avendo l’egemonia della componente studentesca: con la forza dei suoi gesti, l’autonomia si sta facendo spazio nel panorama delle dinamiche di piazza francesi, con un vigore e un acume inedito. Per ora sembra solo limitarsi agli studenti, ma non mancano tentativi di coinvolgimento tra i diversi campi del mondo del lavoro: questa manifestazione del 31 marzo segna comunque la sua entrata a gamba tesa nelle strade di Parigi. Si potrebbe ben dire: “Benvenuta autonomia!”.
Eppure, malgrado i legittimi eufemismi di questo magico momento, facilmente tornano alla memoria le dure ripercussioni del recente passato. Non è solo una storia francese, ma di tutti i Paesi che hanno vissuto epocali sconvolgimenti negli ultimi anni: ogni movimento è destinato a morire, ogni nuovo piano di conflitto per quanto innovante e di rottura, andrà inevitabilmente incontro a una parabola discendente. Le domande sono dunque: Quando sarà il climax? Quali contraddizioni saranno in grado di far saltare? Quali spazi riuscirà ad aprire e come intenderà tenerli aperti? Come s’intenderà preservare il bottino che si è riuscito ad accaparrare lungo il corso della mobilitazione?
Questioni che non riguardano le vecchie strutture dell’agire politico, ormai limitati alla conservazione della propria memoria, ma concernono direttamente il nuovo soggetto che invade le strade e blocca le scuole e che ha la tendenza a sfuggire ogni discorso organizzativo statico. Si pone quindi già il problema del poi: come fare fronte al riflusso e mantenere aperte le brecce sprigionatesi in questo cammino. Già alla consueta parola d’ordine dell’organizzarsi, un miraggio di destituzione del dominio può trovare corpo in una parola antica: comune.