L’opinione pubblica americana e mondiale continua a infuocarsi per la richiesta dell’FBI di aprire il cellulare del supposto terrorista di San Bernardino. Ma il dibattito ha implicazioni ben più gravi. Ne parliamo con un filosofo.
Continua la controversia tra il colosso Apple e il colosso FBI, visto l’apparente bisogno, da parte degli investigatori, di sapere qualcosa di più su Syed Rizwan Farook, uno dei supposti autori del massacro a San Bernardino, entrando, post mortem, nel suo iPhone 5C, grazie all’introduzione di un nuovo software ad hoc.
In attesa della sentenza del 23 marzo del giudice di Los Angeles, che deciderà se accomodare le richieste governative alle quali si oppone Tim Cook, secondo il quale questa non sarebbe una richiesta una tantum, come promette l’FBI, ma rappresenterebbe una minaccia alla privacy di milioni di persone, e quindi sarebbe come creare “l’equivalente (software) del cancro” il dibattito rimane caldo.
Indipendentemente dai verdetto, il caso, ormai divenuto d’importanza nazionale, tra un appello e l’altro, potrebbe facilmente arrivare fino alla Corte Suprema USA.
Domenica mattina, sul programma TV This Week dell’ABC, Ted Olson, l’avvocato della Apple ha detto che, se l’FBI l’avesse vinta, si aprirebbe il classico “vaso di Pandora”. In tarda serata, il Direttore dell’FBI in persona, James Comey, ha cercato di gettare acqua sul fuoco esortando la gente a “prendere un profondo respiro”, ma appellandosi anche al senso morale: fare luce sull’attacco terroristico è un dovere nei confronti delle vittime e dei cittadini in generale. Ma la cosa non è finita qui. Il congressman repubblicano Ted Lieu di Los Angeles ha criticato il capo dell’FBI in una lettera aperta, dicendogli che dovrebbe toccare al Congresso, “agli azionisti e al pubblico americano dibattere e risolvere queste difficili questioni, non a un giudice non eletto”. Ha anche aggiunto di essere preoccupato su una potenziale decisione di un tribunal basata su una legge del 1789, che, secondo lui, non prende in considerazione le complessità della tecnologia odierna.
Poi, come se non bastasse, si è intromesso Bill Gates, il quale sembra criticare la Apple in una sua recente intervista al Financial Times, nella quale ha detto: “Questo è un caso specifico nel quale il governo sta chiedendo accesso all’informazione. Non stanno chiedendo una cosa generale; stanno chiedendo per una caso particolare”. Sembra ignorare l’argomentazione di Tim Cook, espressa in una lettera inviata ai suoi dipendenti, secondo la quale, se questa richiesta dell’FBI venisse accordata, creerebbe un pericoloso precedente.
Intanto l’organizzazione Fight for the Future (‘Combatti per il Futuro’), nota per il suo coinvolgimento in questioni legate alla tecnologia, ha organizzato tutta una serie di manifestazioni a Los Angeles, a San Francisco, nella Silicon Valley, presso il quartiere generale della Apple, e, last but not least, di fronte all’FBI a Washington, per dimostrare il suo supporto alla posizione del gigante di Cupertino.
Al tempo stesso parecchie vittime del massacro a San Bernardino lanceranno, attraverso il loro comune avvocato, una petizione legale nella quale appoggiano gli sforzi del governo nell’aprire il fatidico cellulare. Secondo un recente sondaggio del Pew Institute l’opinione pubblica USA sembra divisa a metà sulla faccenda: il 51% degli intervistati sembrano accettare l’iniziativa dell’FBI. Interessante (inquietante?) il tweet di Edward Snowden lanciato venerdì scorso che recita, testualmente “Giornalisti: Dettagli cruciali nel caso @FBI v. #Apple vengono oscurati dai funzionari governativi. Qui è giusto essere scettici”.
Seguono in un link i “dettagli” che riassumiamo: 1) L’FBI ha già tutte le comunicazioni dell’indiziato, essendo queste immagazzinate dal service provider e non dal telefono; 2) L’FBI ha acquisito già tutto il backup di tutti i suoi dati fino ad appena 6 settimane prima del crimine; 3) Copie delle sue comunicazioni con i colleghi – quanto, dichiaratamente, interessa all’FBI – sono disponibili sui cellulari dei colleghi stessi, 4) Il cellulare in questione non era personale, ma era stato fornito dall’ufficio governativo della Contea per la quale l’indiziato lavorava, mentre i telefoni “operativi” che secondo gli inquirenti potevano contenere informazioni incriminanti erano stati recuperati dall’FBI e le informazioni distrutte, non “protette” dalla Apple; 5)Esistono metodi alternativi per aver accesso al congegno – e ad altri – che non richiedono l’assistenza del fabbricante.
Visto che Snowden, esule in Russia, e la cui amnistia è stata invocata, insieme a quella per Assange e Chelsea Manning da Varoufakis durante il lancio di DiEM25 (ndr, il Movimento per la Democrazia in Europa), non è proprio un tecnico informatico qualsiasi, questi dettagli non sono da poco. Il dibattito è assai importante nella sua attualità sociale e politica e le sue implicazioni vanno chiaramente ben al di là della bega legale tra il gigante di Cupertino e l’onnipotente macchina investigativa USA.
Ne discutiamo con Michele Bocchiola, studioso di Filosofia Politica e di Filosofia Morale presso la Luiss Uiversity di Roma, e autore di Saggio sulla privacy. Teoria filosofica di un concetto inesistente (LUP, Roma 2013), con un’introduzione di Stefano Rodotà. Si definisce un “liberal di sinistra”.
“Ho cercato di scavare sotto il concetto di ‘privacy’, che come diceva Rodotà in una famosa intervista, è uno slogan,” racconta Bocchiola, e ho scoperto tante cose che messe insieme non stanno bene. Il senso del libro è eliminare dal vocabolario la parola ‘privacy’, sostituendola con dei concetti più precisi, in modo da poter difendere meglio i diritti delle persone”.
Qual è, in nuce, la tesi centrale del suo libro?
Per privacy intendiamo essenzialmente tre cose: solitudine, quella sfera personale più stretta in cui vogliamo essere noi stessi (e.g. cantare sotto la doccia, non essere invasi da telefonate). C’è poi l’intimità, una situazione in cui lo scambio è confinato a due-tre persone (una cena con mia moglie, una conversazione con dei colleghi). Il terzo concetto è infine quello di anonimato, una condizione in cui non siamo più soli, ma al tempo non siamo più controllati o rintracciati da persone, o magari anche da telecamere (una passeggiata per la città): in questo caso se qualcuno mi vede, deve poi scordarsi di me.
In un certo senso il primo concetto e il terzo sono legati, visto che ritorna una forma di solitudine?
L’anonimato è infatti una solitudine pubblica.
La sua posizione nella diatriba Apple vs. FBI?
Penso che la Apple debba garantire una qualche forma di accesso agli inquirenti, però limitata e regolamentata dalla Apple stessa.
Perché?
Penso che la privacy sia importante e che bisogna difenderla, ma ci sono dei casi in cui altri elementi prendono il sopravvento, soprattutto se questo significa un aumento della sicurezza. Nell’episodio di San Bernardino, se sbloccare il telefono di Farook potesse aiutare le indagini, allora è necessario procedere allo sblocco. Al tempo stesso, se il contenuto delle comunicazioni telefoniche non fosse importante, esso dovrebbe essere distrutto immediatamente.
Quindi ciò che conta è il contenuto e non tanto la difesa del contenuto in generale?
Esatto.
Ma al tempo stesso si parla, nell’era del terrorismo, del pericolo che un’invasione della privacy, seppur per motivi di sicurezza, conduca a un maggior controllo dei cittadini, come nel caso del Patriot Act negli USA dopo il 9/11.
Il rischio di una cosiddetta slippery slope, un piano inclinato e scivoloso, con un attacco ai diritti più fondamentali delle persone c’è. I dubbi sollevati da Snowden nel suo recente tweet ne sembrano una prova.
Quindi, se come dice Snowden, l’FBI ha già in mano tutti i dati necessari per le loro indagini, perché vanno a rompere le scatole alla Apple?
L’FBI chiede alla apple un software per accedere come e quando vogliono. Questo forse non lo possono fare.
Come mai?
Perché far questo senza una concessione specifica concordata con la Apple vuol dire semplicemente andare a spiare. Io, per esempio, non ho nulla da nascondere, ma se sapessi che qualcuno ha l’accesso a tutte le mie comunicazioni, anche le più banali, creerebbe in me un senso di fastidio.
Volendo fare l’avvocato del diavolo, rimane però il problema della sicurezza.
Possiamo anche essere d’accordo su questo, ma rimane la questione delicata dello stockaggio, in altre parole dell’uso futuro che si possono fare dei dati personali. Per fare un esempio, ammesso che la conversazione che avviene tra noi possa essere monitorata e conservata, dopo dovrebbe andare distrutta. In un futuro diverso, con gente al potere diversa, i nostri dati potrebbero essere utilizzati contro di noi. Abbiamo quindi il diritto all’oblio più che il diritto alla privacy, anche se non in senso assoluto.
Cioè?
Mi spiego con due esempi contrapposti fatti da una filosofa americana degli anni 70. Se lascio la finestra aperta e un passante ascolta un mio litigio con mia moglie, da un lato io ho fatto forse l’errore di lasciare la finestra aperta, ma al tempo stesso il passante dovrebbe farsi i fatti suoi e dimenticare l’avvenuto. Ma immaginiamo un individuo che crea una casa dove è impossibile l’accesso alla polizia e in quella casa porta avanti tutta una serie di violenze verso moglie, minori e animali, e quando la polizia cerca di entrare e fermarlo lui invoca il diritto alla proprietà privata. Beh, in questo caso la proprietà privata non è inviolabile.
Quindi, applicando tutto questo al caso di San Bernardino, il giudice chiamato in causa dovrebbe permettere l’accesso?
Sì, ma esiste quella che i filosofi chiamano una ‘condizione necessaria’: se, e solo se, il contenuto del cellulare di Farook contiene un’informazione fondamentale che permette un progresso nelle indagini, allora la decriptazione dev’essere concessa.
In pratica come si potrebbe fare?
Semplice: si apre il telefono, magari in presenza di un funzionario della Apple che firma un non-disclosure agreement (ndr un accordo previo di non diffusione dei dati), e se si trovano le foto della moglie di Farook, dei gattini e dei cugini di terzo grado, si distrugge il telefono. Insomma, è una semplice questione di riservatezza.
Certi hanno criticato Tim Cook per la sua mossa dicendo che è spinta da puri interessi aziendali.
Beh, dopo tutto è l’AD della Apple e quindi è normale che difenda gli interessi della compagnia. D’altro canto avrei apprezzato una sua dichiarazione più onesta nella quale avesse fatto capire che la sua posizione è anche legata a questi interessi.
Considera persone come Snowden e Assange degli eroi?
Una cosa è certa e penso positiva: i due ci hanno fatto capire che due sono i fenomeni recenti di cui dobbiamo preoccuparci: la pervasività dell’intrusione da parte dello stato e l’eternità dei dati raccolti, appunto attraverso lo stockaggio.