L’economia ha accresciutola sua presenza nelle nostre vite. Termini, immagini e concetti legati all’economia sono sempre più diffusi nei dibattiti degli esperti, nelle pratiche commerciali, sui media. Sono tutti frammenti che provengono da un puzzle complesso di idee, teorie e visioni del mondo che abbiamo bisogno di ricostruire. E solo cercando e mettendo insieme i vari frammenti è possibile ricomporre il quadro generale e comprendere in maniera profonda il mondo nel quale viviamo oggi. “Ogni frammento può dar luogo all’unione”, il nostro vuole essere un esperimento di sinergia editoriale: troverai le nostre rubriche disseminate fra varie testate giornalistiche che accoglieranno la ricerca dell’immagine finale. Se non vorrai smarrire nessun frammento potrai al seguente link registrarti e visualizzare il nostro archivio che aggiorneremo periodicamente e potrai visualizzare i siti nei quali troverai le nostre rubriche.
Il PIL viene misurato secondo una schema gestito all’interno del “sistema di contabilità nazionale”che ovviamente non è arbitrario (gli statistici non possono scegliere cosa misurare e cosa non misurare) ma è comunque convenzionale (basato su regole predeterminate che scelgono cosa misurare e cosa non misurare). In quanto tali, queste convenzioni possono essere cambiate e infatti da molti anni si discute riguardo all’introduzione di nuovi strumenti che siano in grado di misurare con maggior accuratezza e in base a parametri diversi la “ricchezza” prodotta da una nazione.
Il PIL infatti, così come costruito oggi, non misura una serie significativa di fattori, come per esempio tutti i servizi non pagati (forme di volontariato, servizi domestici, cura dei bambini…) e in generale tutte quelle forme di scambio che non comprendono una transazione monetaria. Non misura, per esempio, tutti i beni venduti o i servizi erogati “in nero”. Tutti gli scambi che avvengono per vie illegali (droga, prostituzione, armi…). Inoltre, questo tipo di misurazione non opera alcuna valutazione riguardo alle “esternalità negative o positive” derivanti dal processo produttivo. Le esternalità sono tutte le conseguenze che un’azione (nel caso specifico economia) generano all’esterno, per i membri che compongono l’intera società. Per esempio un’impresa può far crescere il PIL di una nazione vendendo i propri beni e servizi e magari produrre un elevato inquinamento nel corso della produzione (esternalità negative) oppure può fare lo stesso erogando però servizi per la pulizia o il riciclaggio di rifiuti (esternalità positive). Quindi, è sempre bene ricordare che quando si parla di PIL, non si opera alcuna distinzione fra le attività che producono benessere a livello sociale e quelle che lo diminuiscono.E di questo fatto era ben consapevole anche lo stesso inventore del PIL, Simon Kuznets, che già nel 1934 segnalava il fatto che il “benessere di una nazione non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale”. Concetto ancora oggi dibattuto, alla luce del fatto che non si è ancora trovato uno strumento universalmente riconosciuto e utilizzato per misurare il benessere di una nazione. Per esempio, il premio nobel Amartya Sen sottolinea che i “livelli di reddito della popolazione sono importanti perché ogni livello coincide con una certa possibilità di acquistare beni e servizi e di godere del tenore di vita corrispondente. Tuttavia accade spesso che il livello di reddito non sia un indicatore adeguato di aspetti importanti come la libertà di vivere a lungo, la capacità di sottrarsi a malattie evitabili, la possibilità di trovare un impiego decente o di vivere in una comunità pacifica e libera dal crimine”. È evidente, quindi, che sta maturando sempre di più laconsapevolezza che il PIL non può essere l’unico indicatore possibile per misurare la ricchezza di una nazione e che, come dice l’economista australiano William F. Mitchell, “c’è bisogno di cambiare la composizione della produzione finale, indirizzandola verso attività sostenibili per l’ambiente. Non si tratta di incrementare la domanda di per sé, ma di incrementarla in alcune aree di attività”. E, forse, proprio questa sarà una delle frontiere che l’economia tenterà di valicare nei prossimi decenni.
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