L’economia ha accresciutola sua presenza nelle nostre vite. Termini, immagini e concetti legati all’economia sono sempre più diffusi nei dibattiti degli esperti, nelle pratiche commerciali, sui media. Sono tutti frammenti che provengono daun puzzle complesso di idee, teorie e visioni del mondo che abbiamo bisogno di ricostruire. E solo cercando e mettendo insieme i vari frammenti è possibile ricomporre il quadro generale e comprendere in maniera profonda il mondo nel quale viviamo oggi. “Ogni frammento può dar luogo all’unione”, il nostro vuole essereun esperimento di sinergia editoriale: troverai le nostre rubriche disseminate fra varie testate giornalistiche che accoglieranno laricerca dell’immagine finale. Se non vorrai smarrire nessun frammento potrai al seguente link registrarti e visualizzare il nostro archivio che aggiorneremo periodicamente (link squeeze page) e potrai visualizzare i siti nei quali troverai le nostre rubriche.
La storia della nascita del Prodotto Interno Lordo (PIL) – ossia lo strumento che oggi viene universalmente utilizzato dagli economisti, dagli statistici e che ricorre continuamente sui media – è intrecciato in partciolare alle vite di due uomini: John Maynard Keynes e Simon Kuznets. I due, entrambi economisti, pur non conoscendosi direttamente, condividono infatti un periodo storico particolare per l’umanità in generale e per l’economia in particolare. Siamo all’inizio degli anni trenta del ventesimo secolo. Sono gli anni della grande crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti a partire dal 1929, cui farà seguito la Grande Depressione, che da lì approderà anche in tutta Europa. E proprio quel tipo di contesto storico risulta fondamentale per comprendere per quale motivo a un certo punto all’interno della teoria economica nasce l’esigenza di introdurre uno strumento che fosse in grado di misurare in maniera accurata il reddito nazionale prodotto da una nazione nel corso del tempo. Perché, in altre parole, una scienza decide di dotarsi di un particolare strumento di misurazione e analisi anziché di un altro? Per rispondere a questa domanda risulta utile partire dalle parole del filosofo della scienza Thomas Kuhn, che definiva lo sviluppo delle scienze in questo modo: “Lo sviluppo di una scienza è guidato, nei periodi normali di una scienza, dall’adesione a un paradigma. La funzione di un paradigma è quella di fornire dei rompicapo da risolvere agli scienziati e fornirgli i mezzi per la loro soluzione”.
Quando uno scienziato, nello specifico in ambito economico, si trova di fronte quindi a un problema (a un “rompicapo”), ciò che può cercare di fare è elaborare una teoria, un modello che gli consenta di capire la natura del problema e ricavarne quindi le possibili soluzioni, misurandone poi l’efficacia in sede empirica.All’inizio degli anni trenta, il problema che investiva il mondo intero era appunto legato una depressione economica che sembrava inarrestabile e portava con sé livelli di disoccupazione elevatissimi. In questa fase, Keynes introduce per primo una nuova chiave d’interpretazione del fenomeno, attraverso un’analisi di tipo macroeconomico (come abbiamo visto nella lezione 1), afferma che la disoccupazione non è altro che il risultato di un calo generalizzato dei redditi all’interno dell’economia, derivante a sua volta da un calo della spesa complessiva, che rende le aspettative delle imprese verso il futuro negative e quindi si traduce in una diminuzione della produzione e in ultima istanza in un calo dell’occupazione. Keynes, quindi, può essere considerato come l’economista che per primo pone al centro della sua analisi economica il cosiddetto “paradigma della crescita”, ossia evidenzia l’importanza della crescita del reddito e dell’andamento di quella che lui definiva “domanda aggregata” come fattore determinante per comprendere l’andamento del ciclo economico e l’insorgere del fenomeno della disoccupazione. Se Keynes, pertanto, può essere considerato il padre “teorico” o paradigmatico del PIL; un altro economista, Simon Kuznets, rappresenta invece il suo contraltare in ambito operativo. Kuznets, infatti, giunto negli Stati Uniti all’inizio degli anni venti dalla Bielorussia, inizia a lavorare per realizzare uno strumento di misurazione statistica del reddito prodotto all’interno di una nazione, quello che appunto conosciamo oggi come Prodotto Interno Lordo. Negli anni trenta diventa capo del National Bureau of Economic Research e pubblica per primo uno studio organico e preciso sul livello del PIL statunitense negli anni venti. Dopo la seconda guerra mondiale verrà chiamato dai governi di Cina, India, e Giappone per elebaorare i rispettivi sistemi di contabilità nazionale utilizzati ancora oggi. Riceverà, fra l’altro, anche il premio nobel nel 1971, “per la sua interpretazione, empiricamente fondata, della crescita economica, che ha portato a una nuova e più approfondita analisi della struttura sociale ed economica e del suo processo di sviluppo”.L’importanza del PIL sta nel fatto che prima fosse pensato e poi formalizzato coloro che erano chiamati a fare scelte di politica economica possedevano pochissimi elementi per valutare i risultati delle loro azioni di politica economica. Come ricorda, infatti, un altro premio nobel come Paul Samuelson: “Proprio come un satellite nello spazio può rilevare le condizioni meteorologiche attraverso un intero continente, così il PIL può darci una fotografia complessiva dello stato dell’economia. Permette al Presidente, al Congresso e alla Federal Reserve di giudicare se l’economia si sta contraendo o espandendo, se l’economia ha bisogno di un aiuto o dovrebbe essere un po’ frenata, e se c’è la minaccia di una grave recessione o inflazione. Senza misure degli aggregati economici come il PIL, i politici sarebbero come alla deriva in un mare di dati privi di ordine. Il PIL e i relativi dati sono come fari che aiutano i politici a guidare l’economia verso obiettivi economici chiave”. Ecco perché, al di là di tutti i suoi limiti (che vedremo nei prossimi paragrafi), conoscere cos’è il PIL e ripercorrere la sua storia (come abbiamo appena fatto) è fondamentale per potersi orientare nella valutazione delle scelte prese dalle istituzioni economiche e poterne prevedere così le conseguenze.
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