C’è un problema evidente con le pubblicità dei telefoni ormai conclamato. Che la scelta di affidarsi a figure non propriamente di riferimento culturale fosse presa, era stato possibile desumerlo dagli ingaggi di Totti, Ilary Blasi e, anni fa, Gattuso, che è cosa diversa da Guttuso. Ora però, con l’arrivo di Bruce Willis possiamo definire completato il percorso: il testimonial tipo delle compagnie di comunicazione non deve avere idea di dove sia, di cosa faccia, di cosa sarà di lui.
Le scene che finora si sono succedute hanno visto il protagonista di Armageddon perdersi nelle campagne laziali, presumiamo, perché guidato nella sua limousine da un telefono con scarsa connessione internet. Il salvataggio avviene ad opera di un più florido Ricciotto del Marchese del Grillo che traghetta la star a bordo di un’Ape piaggio di quelle in uso ai contadini più calati nel ruolo di chiunque. Negli episodi successivi l’idiozia, che si manifesta in varie forme, risulta la cifra dell’attore americano che ha investito tutta la sua carriera per dare di sé l’idea di un individuo quantomeno pensante. La domanda, retorica eh, è se non fosse possibile appaltare allo Willis qualcosa che non ledesse così patentemente la sua dignità ma probabilmente la risposta è no, quella era l’unica idea possibile.
Teniamo conto che la Wind ha pensato di imbiondire Fiorello e parruccare Carlo Conti, quindi camuffare i volti scelti per gli spot, per rendere un clima alla Miami Vice che inducesse all’adesione massiccia alla Compagnia committente e anche lì il chissàccome e il chissàpperché regnano sovrani. Per non sembrare però quello che chi vi scrive è indubbiamente – senza insulti, alludiamo solo all’irriducibile incontentabilità – ci preme salutare con gioia e soddisfazione l’uscita di scena dagli spot della Tim di Chiara Galiazzo, la cantante reperita da un talent che fino a non molto tempo fa oscillava come un metronomo nel tentativo di evangelizzare il popolo sulla scelta della telefonia committente.
Ma quello che questa settimana ci appare più succulento che mai è un grande ritorno che non pensavamo di dover celebrare tanto presto: poltrone&sofà. Da qualche giorno una nuova operaia eletta al rango di frontman della campagna pubblicitaria annuncia, trionfante, “ormai qui noi facciamo solo divani“. Peccato per l’iscrizione in Camera di Commercio con quel “poltrone” prima di “sofà”. Il pensiero va alla catena di supermercati “acqua&sapone“, grandi pionieri nel campo dell’autocontestazione. Tutti i frequentatori dei corridoi del market in questione avranno verificato che di saponi è pieno ogni scaffale ma di acqua, come ormai neanche per Marte, non ce n’è traccia. Eh, beh, sapere come e cosa comunicare a un certo punto è tutto!