Aylan – terrorismo e funerale dell’immagine
Ore 17:15 la fregata Zeffiro, impegnata nell’operazione Bandiere Bianche nome in codice della nota operazione di blocco navale per limitare gli sbarchi delle cosiddette carrette del mare provenienti dalle coste albanesi, identifica la Katër i Radës, una nave carica di 142 profughi, ma progettata per 9 membri d’equipaggio, in fuga dall’Albania in preda all’anarchia più totale. La nave è stata speronata nel canale d’Otranto dalla corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana che ha contrastato ogni tentativo di approdo sulle coste italiane. La Katër i Radës, concepita come motosilurante in Unione Sovietica negli anni cinquanta e trasformata in pattugliatore costiero negli anni settanta, è stata rubata al porto di Saranda da gruppi criminali che gestivano il traffico, la tratta dei clandestini. La partenza è avvenuta a Valona il 28 marzo 1997. La Zeffiro ingiunse alla Katër i Radës di invertire la rotta ma la nave albanese decise di avanzare. Alle ore 18:45 avvenne l’urto, alle ore 19:03 minuti la nave affondò. 81 morti. 27 corpi mai ritrovati nel Mar Adriatico. 34 superstiti.
Il naufragio del 1997 dell’eponima motovedetta albanese ci riporta ai giorni nostri e come vediamo nulla è cambiato, ieri come oggi.
Ho scritto fiumi di parole sul tema immigrazione, emigrazione ed integrazione e ritornarci mi muove un dolore immenso inenarrabile. Voglio raccontarvi, oggi, una storia che mi ha colpito e soprattutto cambiato dentro. È la storia di un padre, un pater familias, e dei suoi tre figli maschi.
Un padre, uomo di fede e ubbidiente, il quale viveva in un villaggio caduto nella più disgraziata rovina spirituale, umana, morale e intellettuale, ricevette un giorno un messaggio da un vigile condottiero il quale gli intimò di scappare via perché a breve quella popolazione non avrebbe potuto neppure piangere un lutto in quanto tutti sarebbero stati uccisi, sterminati. Il vigile condottiero disse all’uomo che c’era una via d’uscita e che doveva assolutamente seguire ogni suo consiglio. Il primo fu quello di costruire una nave abbastanza capiente da ospitare tutto ciò che giusto e buono c’era già nel villaggio, il creato. Il pater familias ubbidì. La salvezza sarebbe arrivata attraverso una nave, navigando il mare. La nave, con l’aiuto del vigile condottiero, fu presto costruita e salpò giusto in tempo. Accade l’impossibile: l’uomo constatò che il messaggero aveva ragione. Tutto venne sterminato. Un immenso mare in tempesta. Tutto si muove. Davanti alla famiglia in viaggio e al padre: il vuoto. Momenti di frastuono per le silenziose anime in preghiera. Ecco una colomba che stringe nel suo becco un ramo d’ulivo: un manifesto di gloria. Ad attendere la famiglia rifugiata e le salve beltà del creato non c’erano gli elicotteri e né i poliziotti, in bianche tute aliene per la paura dei virus, che stilano con timbri alla mano i superstiti. La famiglia trovò subito riparo. Nei giorni successivi il padre, grande uomo di fede, ebbe un collasso spirituale e si rifugiò nella solitudine e nel vino prodotto dal vigneto di questa nuova meravigliosa promessa terra. Ubriaco svenne in un sonno profondo e rimase lì fin quando uno dei tre figli maschi, Cam, lo raggiunse per riportarlo a casa. All’arrivo nel luogo dove si trovava il padre, Cam vide una figura accasciata a terra e nuda. Il giovane cadde in balia di un sentimento di violo a danno del corpo paterno dormiente e incosciente. Attonito dalla sua azione Cam, successivamente, corse a chiamare i fratelli ai quali raccontò, deridendo nel frattempo la nudità del padre, l’accaduto. Gli altri due fratelli, Sam e Yafet, subito accorsero il padre preoccupati per le sue condizioni. Arrivati vicino al luogo indicato da Cam i due fratelli, i quali avevano portato con loro una coperta, decisero di camminare all’indietro per tutelare gli occhi, quindi il vulnus ossia la ferita umana, propri e quelli del padre. Soltanto dopo averlo difeso appoggiando la coperta sul corpo, nel frattempo avevano gli occhi chiusi e il volto verso l’orizzonte, si rivolsero con riverenza, come ad un padre si deve, chiedendogli cosa fosse accaduto. Il padre, Noah, prese coscienza e si rese conto della grazia con cui Sam e Yafet avevano agito e condannò invece, nell’immediato, l’agire di Cam, l’altro figlio, il quale lo aveva scoperto nella sua nudità e quindi egli stesso aprioristicamente aveva mosso un giudizio di condanna, in primis alla sua di coscienza (la coscienza di Cam), al padre nel momento in cui ha fatto un rapporto deridente e dissimulatore dell’accaduto ai fratelli.
O popolo immondo, l’altro figlio siamo noi. La coscienza di Cam è la nostra sillepsi. Ammettendo che l’immoralità, come la moralità, non sia indipendente da una situazione storica di un’epoca e di uno Stato e ammettendo che essa può dipendere sia dalle circostanze che dai punti di vista, per quanto esistano delle costanti che definiscano in maniera abbastanza chiara quale sia la condotta immorale, è chiaro che questo concetto ha subito mutazioni nel tempo. Per esempio per il feudatario, nel Medioevo, l’immoralità consisteva nel tradire il signore di cui era vassallo (fellonia), oggi questo concetto si è trasformato, per esempio, nel concetto di tradimento della propria Patria oppure legato al tradimento di un proprio impegno personale. Il nostro impegno personale è difendere il più alto valore che all’uomo è stato e viene concesso immeritatamente: la Vita. La vita accorda ma lo Stato canadese ha deciso di non accordare il permesso ad un padre, Abdullah al-Kurdi, del piccolo Aylan annegato a soli 3 anni in mare assieme al suo fratello Galib di 5 anni e la madre Rehan che di anni ne aveva 35. Il signor al-Kurdi è rientrato a Kobane per seppellire la sua famiglia e dopo aver ricevuto la notizia postuma che il Canada promuoveva l’offerta di asilo e quindi permanenza nel suolo americano l’uomo ha puntualmente rifiutato pieno nella sua dignità poiché certi uomini come il signor Abdullah la dignità non l’hanno mai ceduta e in fondo quale senso avrebbe partire verso un luogo che non ha difeso la vita, un luogo, l’America, dove finalmente si manifesta chiaramente a tutti la caduta: il fallimento del sogno americano. Ma che c’entra la storia del padre e dei suoi tre figli? Che c’entra la coscienza di Cam? Ebbene in questi giorni tutti i giornali più autorevoli del mondo, incluso il nostro YOUng, riportano l’immagine del corpo di un bambino accasciato sulla spiaggia sottolineando l’empietà che la società dello spettacolo ha riservato al piccolo Aylan non coprendolo, non difendendolo ma esponendolo come merce alla coscienza pubblica, la coscienza di Cam, del villaggio mondiale e quindi a quello stato di conosciuta unità in cui dovrebbe essere presente, ma è totalmente assente, la mente. Nella cultura omerica la riflessione interiore è per l’uomo conversazione dell’io con il θυμός (thūmós – mente), o del θυμός con l’io. Il θυμός (thūmós) è quindi la “mente”, la “coscienza” dell’uomo che si interroga, ma anche lo spirito vitale e la sede delle emozioni. Per i greci di Omero, il θυμός (thūmós – mente) è lo “spirito”, il respiro che si identifica con la coscienza, variabile e dinamica: va e viene, muta con il mutare dei sentimenti e con il mutare del pensiero. Allo stesso modo gli dèi pongono ardimento, o audacia, nel θυμός (thūmós – lo spirito) degli uomini, riempendone le φρένες ( frènes – i polmoni)
“Si osservi che gli dèi “soffiano” negli uomini non solo emozioni, ma anche pensieri e propositi di natura relativamente intellettuale. Ciò è altrettanto prevedibile, poiché proprio con il θυμός e con le φρένες o, se è corretta la nostra interpretazione, con l’anima-respiro e con i polmoni, un uomo non solo sente, ma pensa e apprende.”
Onians, p.81
Il θυμός (thūmós – lo spirito) è racchiuso nei polmoni (ritenuti organi dell’intelligenza) come un elemento caldo. Il termine diviene invece ψυχή (psyché – la mente) quando abbandona il corpo con l’ultimo respiro, divenendo un elemento freddo. Ma può succedere anche che θυμός (thūmós – lo spirito) e ψυχή (psyché – la mente) lascino insieme il corpo, tuttavia ψυχή (psyché – la mente) lo abbandona giungendo nell’Ade mentre θυμός (thūmós – lo spirito) viene distrutto dalla morte. La società dello spettacolo offre come sacrificio il funerale dell’immagine. Aylan con la faccia avviluppata dalla sabbia e battezzata dall’acqua del Mar Mediterraneo che gli accarezza il crine con le sue onde.
“Ma l’intelligenza e l’anima intellettuale non agiscono forse per se stesse, essendo prima della sensazione e della relativa impressione? È necessario allora che ci sia un atto prima dell’impressione, poiché “per intelligenza” è la stessa cosa pensare ed essere. E sembra che l’impressione sorga, quando il pensiero si ripiega su se stesso e quando l’essere attivo nella vita dell’anima è come rinviato in senso contrario, simile all’immagine in uno specchio, che sia liscio, brillante e immobile.”
(Plotino, Enneadi, I, 4, 10; traduzione di Giuseppe Faggin nell’edizione della Bompiani (Milano), 2004, pp. 110-1)
E così riempiti dell’ultimo sacrificio gli abitanti del villaggio ebbero da spartire qualcosa: l’assenza della vergogna, oltre le colonne di Ercole in una iper-coscienza di Cam babelicamente si dispersero nelle loro piccole faccende autostracizzandosi dal θυμός, dai polmoni, dallo spirito dell’intelligenza.
Buon viaggio Aylan. Buon viaggio cari miei connazionali. Buon viaggio a tutti voi abitanti del mare di ogni tempo, in ogni luogo. Con voi “tutto cangia, il ciel s’abbella”.
Fine delle trasmissioni.