Non so se sono un’attrice, una grande attrice o una grande artista. Non so se sono capace di recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne. Ho solo bisogno di incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto. Anna Magnani
Laureata in Filosofia della scienza, formatasi alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, Federica Fracassi è un’attrice raffinata, sensibile alle nuove drammaturgie e acuta interprete di opere visionarie. Il suo lavoro è un’intensa e minuziosa ricerca sia sui personaggi che sui testi da interpretare. Protagonista assoluta nel panorama del teatro di ricerca è fondatrice assieme a Renzo Martinelli (regista teatrale) di Teatro “i” a Milano. Federica in questa intervista ci parla soprattutto delle sue esperienze in ambito cinematografico, un mondo che le si è dischiuso solo recentemente. La incontro in esclusiva per YOUng nella sua casa a Milano per parlare della sua presenza alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il film “Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio.
Ti va di presentarti in breve?
Sono un’attrice che ha una carriera teatrale ventennale, ma che si è affacciata al cinema solo negli ultimi anni con ruoli minori aiutata dall’incontro fortunato con registi di grandissimo spessore. Il teatro è ed è stato la mia vita, ma mettermi a nudo davanti ad una macchina da presa mi incuriosisce e rapisce. Il cinema crea un rapporto eterno con il tempo mentre il teatro ti chiede una presenza sempre vigile al continuo mutamento della relazione con lo spettatore. Il cinema è oggi e rimane per sempre, il teatro è oggi per chi ha la volontà di sedersi a osservarlo.
Quando hai iniziato a fare teatro?
Il teatro è stato una scommessa, mi ci sono avvicinata senza sapere cosa fosse. Io vengo dalla provincia, da un paese, Cornaredo, molto vicino a Milano. Ebbi l’occasione sin dall’adolescenza di esibirmi con spettacoli di danza classica. Fui molto colpita dalla mia emozione sul palco e cominciai ad accarezzare il desiderio di raccontare storie davanti a degli spettatori. Da sempre ho amato la letteratura classica come Shakespeare, Ibsen, Checov, Dostoevskij, Joyce, Mann, Goethe, Faulkner fino ai tanti autori contemporanei che ho divorato e portato in scena.
Raccontami il tuo percorso accademico formativo?
Fui ammessa alla “Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi” di Milano a diciannove anni e da lì partì il mio percorso. Se ci penso non avevo strumenti al provino ma ricordo lucidamente che gli esaminatori furono colpiti dal mio entusiasmo e addirittura dal vestito bluette che scelsi per interpretare Miranda ne “La Tempesta” di Shakespeare. Parallelamente iniziò la mia collaborazione con Renzo Martinelli (non il regista cinematografico ndr.) che ci portò a fondare una compagnia e a costruire una nostra carriera nell’ambito del teatro di ricerca. Nacque da questo incontro il Teatro “i” che ha all’attivo dieci stagioni e che co-dirigo assieme a Martinelli e Francesca Garolla. Questo percorso mi ha permesso di essere sempre protagonista sia in scena che nelle scelte dei testi che talvolta io stessa ho scritto: un lavoro da officina. Paradossalmente appena ho sentito che la sala del Teatro “i” era avviata ho cominciato ad aprirmi alle collaborazioni con registi esterni, mossa dal desiderio di confrontarmi con nuovi linguaggi.
Quando fu il momento in cui comprendesti che il teatro, e successivamente il cinema, sarebbe stata la tua strada, la tua vita?
Già a diciannove anni avevo chiaro il mio desiderio. Alla fine degli anni novanta con la mia compagnia feci uno spettacolo “La Santa”, scritto da Antonio Moresco, che venne scelto da Mario Martone come rappresentativo, insieme ad altri sei lavori, dell’anno del Giubileo. Il Teatro di Roma produsse lo spettacolo che mi vedeva protagonista e così passammo dalle prove al Centro Sociale “Leoncavallo” al palco del Teatro Argentina. Ecco lì compresi che volevo essere non una semplice teatrante ma un’attrice.
Sei considerata un’attrice eclettica e sei molto apprezzata. Condividesti nel 2011 il premio UBU con Mariangela Melato. Raccontaci quel momento.
Devo precisare che la Melato e Monica Vitti sono sempre state le mie attrici italiane di riferimento e quindi la mia emozione fu inenarrabile. Di quella serata con Mariangela porto con me bellissime immagini e ricordi anche se è stato tutto troppo veloce e purtroppo il destino non ci ha dato una seconda opportunità. Ricordo che mi promise che sarebbe venuta a vedermi in scena ma era già ammalata e il resto è cronaca.
Beh considerando i tuoi lavori paradossalmente quella notte ci fu uno scambio di testimone…
(Federica arrossisce) Non esageriamo, stiamo parlando di Mariangela Melato.
Certo, ma tu sei Federica Fracassi.
Parliamo del film di Marco Bellocchio che ti vede co-protagonista assieme ad Alba Rohrwacher alla 72° Festival del Cinema di Venezia. Cosa ci puoi raccontare?
Senza dubbio è uno dei film più intimi di Marco Bellocchio. Girato interamente a Bobbio, il paese di “Pugni in tasca”, “Sangue del mio sangue” narra di Federico, un giovane uomo d’armi, che viene sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Nello stesso luogo, secoli dopo, tornerà un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l’edificio è ancora abitato da un misterioso Conte, che vive solo di notte. Io e Alba siamo due nobildonne che accolgono Federico e gli danno ospitalità in paese. Essendo due donne sole, che non conoscono il mondo, siamo vittime di turbamenti che non riusciamo a codificare.
Com’è stato lavorare con Marco Bellocchio?
Marco Bellocchio è geniale. È un regista capace di mettere a proprio agio l’attore ma soprattutto di guidare alla perfezione un intero set. Non è la prima volta che lavoro con lui perché già nel 2012 ebbi l’occasione di recitare in “Bella Addormentata” e poi nel cortometraggio, che non è ancora uscito, “Pagliacci” nel 2013. Quello che posso dire di Marco è che lavorare con lui è un piacere, da attrice non mi sono mai sentita giudicata ma piuttosto spronata a trovare i gesti e le parole giuste. È un grande: solo i grandi riescono a dire tutto con espressioni essenziali.
Cosa pensi del Cinema Italiano?
Credo che il cinema italiano oggi possa vantare grandi autori e registi di qualità ormai affermati a livello internazionale. Grazie anche alle nuove tecnologie, che permettono di girare a costi più gestibili, si stanno affacciando al cinema nuovi talenti. Mi capita sempre più spesso che mi piacciano opere prime forse anche perché leggo in questi lavori una maggiore libertà espressiva. I giovani registi sono paradossalmente più liberi da vincoli produttivi e questa è forza, in un paese dove sempre più spesso c’è un atteggiamento produttivo che ricerca il consenso senza rischiare e quindi non dà la possibilità alle idee più alternative di avere un libero sviluppo.
Qual è il regista di cinema con il quale hai trovato più affinità?
Innanzitutto devo dire di essere stata molto fortunata perché ognuno dei registi che mi ha diretta mi ha dato indicazioni e immagini precise che mi hanno permesso di incidere con efficacia sul ruolo che avrei dovuto interpretare. L’incontro con tutti loro è stata un’esperienza importante e fondamentale nella mia crescita in campo cinematografico. Ma se proprio devo sbilanciarmi… con Marco Bellocchio ho sviluppato un’affinità profonda dettata anche dal fatto che ho avuto più di una possibilità di collaborare con lui.
Tu sei stata alla scorsa edizione del Festival del Cinema di Venezia nella “Sezione Orizzonti” con il film “La Vita Oscena” di Renato De Maria tratto dal romanzo di Aldo Nove.
Con De Maria inventammo assieme le due apparizioni del mio personaggio, fu per me molto importante prendere parte a questo progetto sia per il profondo rapporto che mi lega ad Aldo Nove e sia per l’energia visionaria di Renato De Maria, anche se per il mio ruolo si trattava soltanto di un cameo.
Sei protagonista assoluta nei migliori teatri italiani, ma capace di accettare ruoli minori nel cinema. Quando finirà questa gavetta? Quando vedremo finalmente la tua meravigliosa capacità interpretativa sul grande schermo?
I miei amici si burlano di me dicendomi che di questo passo rientrerò perfettamente nella categoria delle attrici che vengono riconosciute dal grande pubblico a ottant’anni quando uccidono le rivali per sfinimento (Federica ride). Ovviamente sono speranzosa di avere l’opportunità finalmente di avere un ruolo da protagonista al cinema.
Quali sono i tuoi prossimi impegni dopo il Festival?
Dal 3 novembre sarò in scena al Teatro Sociale di Brescia e poi al Teatro Franco Parenti di Milano con “Mephisto” tratto dal romanzo di Klaus Mann per la regia di Luca Micheletti. È una mise en scène, una riflessione sull’ambizione dell’attore e sulla sua incapacità di prendere posizione nella vita e nella società. Da febbraio invece riprenderò la tournée di “Euridice e Orfeo” di Valeria Parrella per la regia di Davide Iodice con Michele Riondino e infine continua il mio impegno nel progetto “Innamorate dello spavento” scritto da Massimo Sgorbani e prodotto da Teatro “i”. Saremo in scena al Teatro Elfo Puccini e al Teatro India di Roma.
Grazie Federica e “tanta merda” dai lettori di YOUng.