DIRETTORE DEL MUSEO CAM DI CASORIA MINACCIATO DI MORTE
Area metropolitana di Napoli. Casoria. Territorio di camorra. CAM Contemporary Art Museum di Casoria. Due settimane fa scompare nel nulla una prestigiosa opera di due tonnellate dell’artista giapponese Kaori Kavakami. L’opera era stata concessa a fini espositivi dal museo stesso alla Villa Comunale di Casoria. Antonio Manfredi, l’artista napoletano che ha fondato e dirige a tutt’oggi il museo, ha ricevuto gravi minacce di morte a seguito della denuncia che ha sporto per la sparizione dell’opera, minacce che preoccupano moltissimo noi di YOUng.
Antonio era già stato attenzionato in passato per delle provocazioni che il museo aveva lanciato contro la camorra, e che qui è padrona indiscussa del territorio. Noi di YOUng preoccupati che queste minacce possano avere anche delle conseguenze concrete lo abbiamo raggiunto per farci raccontare da lui stesso come sono andate le cose.
Prima cosa Antonio: esiste un pericolo concreto per la tua vita?
Questo non sono io a doverlo stabilire, ma la magistratura, e soprattutto a poterlo dichiarare. Posso dire questo: io non ho paura per la mia vita, io ho paura per ciò che può avvenire alle opere di questa collezione. Ovviamente essere soli e abbandonati aiuta la camorra ad infiltrarsi e ad attaccarti.
Ci racconti i fatti accaduti alla Villa Comunale di Casoria.
Questo è l’epilogo di tante battaglie a Casoria. Subito dopo la fondazione del museo, sei mesi dopo, le organizzazioni camorristiche cominciarono con le intimidazioni. Sono dieci anni di guerre continue. Noi non abbiamo mai ricevuto finanziamenti pubblici anche perché io ho sempre creduto che a Casoria ci fosse la necessità di un museo che muovesse un critica mirata alla società e di conseguenza non può essere finanziata da essa, cioè una realtà statale. Da qui abbiamo iniziato a promuovere quella che può essere chiamata “arte cronaca”.
Tu sei un’artista ma anche un imprenditore dell’arte e sei riuscito a fare un museo importante in un luogo in cui pochi avrebbero azzardato scommettere.
Io sono un uomo che ha sempre viaggiato e dieci anni fa accettai questa sfida speranzoso di fare qualcosa di importante nella mia città, questo paese, che era un paese dormitorio diviso tra Napoli e che conduce a Caserta. Casoria è una città fragile che Roberto Saviano inserisce “nel triangolo di Gomorra”, la terra dei fuochi di svariati clan.
Io iniziai proprio da questo fatto: esattamente con una mostra sulla camorra e chiaramente la cosa non passò inosservata tanto che cominciai a ricevere le prime chiamate da strani personaggi che mi intimavano a “stare tranquillo”.
Ma queste telefonate anonime da chi potevano essere fatte, chi potrebbe essere interessato a mandarti via?
Allora mi preme adesso fare un appunto e cioè che è molto importante comprendere la mentalità della camorra o del camorrista. Qui bisogna ora sottolineare la fragilità della sottocultura della violenza. Ci sono molte cose che non funzionano a partire dal contrabbandiere che utilizza il nostro spazio Enel per nascondere le stecche di sigarette alla Finanza e che poi venderà incurante della presenza dei carabinieri i quali non possono fare nulla. A cento metri dal nostro spazio vengono raccolti i ragazzi africani che arrivano dai barconi di Lampedusa e vengono presi poi dai caporali per poi essere portati nelle campagne a raccogliere pomodori, patate ecc., così come le ragazze africane che vengono avviate alla prostituzione. Ecco quando un museo, come il CAM, inizia a fare mostre internazionali avente come protagonista questi temi ecco allora inizi a dare fastidio, a scombinare le carte, ad attrarre attenzione, a far puntare i fari.
Chi sono gli sfruttatori di queste ragazze che vengono avviate alla prostituzione?
Lo sfruttatore è la camorra. Tutte queste ragazze sono schiave di organizzazioni criminali. Ti faccio un esempio sulla mia azione di sabotaggio alla camorra: due anni fa ebbi un incontro organizzato dai giornalisti tedeschi perché in una delle mie proteste scrissi una lettera ad Angela Merkel in cui esponevo la mia richiesta di asilo politico culturale, e questo avvenne all’indomani di una chiamata minatoria poiché il museo rischiava assieme alle duemila opere di artisti internazionali, e con questo atto volevo togliere la bandiera italiana mettendo quella tedesca, cosa che ho fatto successivamente. Chiaramente di questa mia posizione se ne occuparono i giornali di tutto il mondo e dunque per tornare al mio invito a questo convegno, dove erano presenti direttori di musei internazionali i quali si vantavano di avere ottimi contatti con le amministrazioni e di conseguenza a ricevere i finanziamenti ma soprattutto finanziamenti privati da industrie private come i commercianti locali. Io esposi un concetto molto semplice e cioè che apprezzavo ciò che questi colleghi facevano al nord ma il discorso per me al sud si presenta diverso: se io chiedo finanziamenti privati devo fare attenzione alle società che potrebbero essere infiltrate dalla camorra. La stessa amministrazione comunale che mi avrebbe dovuto finanziare all’epoca l’inaugurazione del Museo era sotto pressione di organizzazioni camorristiche. È chiaro a tutti che non è semplice organizzare e organizzarsi in realtà culturali nell’hinterland napoletano. Poi quando si mina l’incolumità della persona qui finiamo nella cronaca.
Perché un museo come il tuo a Casoria?
Io credo che un museo d’arte contemporanea come il CAM in un luogo come Casoria non avrebbe motivo di esistere se non fosse innanzi un luogo dove i giovani si possano incontrare e in cui possano essere fecondati dalla bellezza a una vita di valori umanistici e al rispetto della legge, e a cui gli adulti bisogna che diano il loro sostegno per fargli aprire gli occhi. La cultura è l’unico strumento per combattere questa sottocultura della violenza. Per tornare alla nostra vicenda ecco posso raccontare che fu a Sarajevo che ricevetti la chiamata da un vigile urbano, mio amico d’infanzia, che faceva servizio presso la villa comunale in cui noi abbiamo allocato una decina di sculture e questo per entrare nel circuito urbano dei giovani e delle famiglie per non far apparire questo museo come una navicella spaziale atterrata a Casoria ma come un luogo d’incontro per la popolazione e tra la popolazione. Tra queste sculture date in accomodato d’uso c’era anche l’opera “Rinascita” della famosa artista giapponese Kavakami, un’opera imponente di due tonnellate. Ecco il mio amico mi riferisce che nella villa comunale era scomparsa l’opera di Kavakami lasciandomi sconcertato. Il vigile si informa per comprendere cosa fosse successo per poi arrivare alla verità e cioè che la scultura era stata spostata, senza alcuna autorizzazione del sindaco, senza la mia autorizzazione che sono il responsabile e neppure quella dell’assessore, in un deposito di scuolabus a duecento metri dalla Villa Comunale. Il mio amico cerca di entrare nel deposito ma una persona che si trovava lì lo informa che la scultura poteva essere stata venduta come ferro vecchio. Una struttura monumentale venduta come ferro vecchio: incredibile!
Cosa hai fatto dopo aver saputo la notizia?
Tornai alla Villa Comunale dove non c’erano operatori, anche se tecnicamente ce ne sarebbero una decina pagati, e feci un video che poi ho consegnato ai Carabinieri e ai media come Repubblica piuttosto che il Corriere.it. E da qui è partita la persecuzione di chiamate anonime e minatorie alla mia persona.
Quali sono stati i provvedimenti da parte delle istituzioni a seguito della tua denuncia?
Guarda onestamente ho dovuto aspettare. Solo ieri ho avuto una chiamata di solidarietà da parte dell’amministrazione o meglio piuttosto di qualche assessore, mentre devo dire che non c’è stata nessuna presa di posizione da parte dall’amministrazione comunale. Poi sono riuscito finalmente a comunicare con un giovane comandante dei carabinieri della stazione centrale di Casoria il quale si è preso la responsabilità di avviare una inchiesta. Fino ad oggi non si arrivato a nessuna conclusione se non le chiamate minatorie mosse alla mia persona che ho assolutamente denunciato.
Dove pensi sia finita la scultura?
La cosa incredibile è che siamo in città e non in campagna e questa scultura imponente non è così semplice spostarla perché si tratta di due tonnellate di ferro.
Prima dicevi che hai scritto una lettera alla Cancelliera tedesca Angela Merkel in cui hai esposto la tua richiesta di asilo politico culturale. Cosa è seguito dopo?
Ovviamente la Merkel non mi ha risposto per ovvi motivi istituzionali ma immediatamente l’ambasciatore e il console tedesco a Napoli mi hanno contattato chiedendomi di organizzare una mostra sulla camorra a Berlino dal titolo “Maybe”. Io e i miei collaboratori siamo partiti per Berlino e lì abbiamo incontrato altri artisti tedeschi con i quali abbiamo organizzato la mostra. In questa occasione io presentai l’opera che avevo già portato alla Biennale di Venezia nel 2011 in cui ero stato invitato come artista. L’opera che avevo realizzato era una struttura di dodici pannelli a dimensione umana sulla quale avevo raffigurato i dodici latitanti più pericolosi d’Italia tra mafia, camorra e ‘ndrangheta come il latitante di Casoria Pasquale Scotti che è stato arrestato il 26 maggio 2015 a Recife in Brasile. L’opera che realizzai impegnava lo spettatore ad attraversare questi volti di latitanti che io avevo stampato su dei busti di persone normali proprio per avere un confronto diretto con la nostra coscienza; voglio dire che la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta è intorno a noi, è dentro noi.
Dove si trova quest’opera?
Ecco dopo il fatto Merkel e miei innumerevoli tentativi per salvare il museo ho mosso una provocazione e cioè quella di bruciare e distruggere la mia opera.
Cosa significa Antonio che la mafia, camorra e ‘ndrangeta è intorno a noi, è dentro noi?
Ecco io penso che la mentalità criminosa è insita in tutti noi. Il far finta di non vedere la realtà delle cose e non solo il fare affari con chi sappiamo già è ammanicato con un certo tipo di sistema, basta guardare quello che la ‘ndrangheta combina in Lombardia o la camorra nel Lazio. Questo riguarda tutti e lo vedo quando devo chiedere finanziamenti pubblici, ma preferisco di gran lunga chiedergli ad un privato che ama semplicemente l’arte e che non è colluso, ma devo stare sempre molto attento perché chiunque potrebbe essere ammanicato o magari solo un pagatore del pizzo e questo mi creerebbe problemi. Ovviamente la cosa non riguarda tutti poiché il 90% dei napoletani è brava gente ma all’interno di questo 90% c’è un 70% di queste persone che finge di non vedere o capire, che ha paura di assumersi la responsabilità della vigilanza civile. Anche perché ecco come succede a me poi resti da solo in prima linea, con la tua semplice vita.
Il far finta di non vedere rende complici.
Certo perché ti rende facile preda dei collaboratori del male. Il punto rimane che quando un direttore di museo, quale io sono, decide di mostrare l’africano non più come schiavo piuttosto la donna non più come merce venduta ma che inizia a fare mostre politiche ecco a quel punto ti ritrovi, come a me è successo, di vedere i cancelli del tuo spazio chiusi a catenaccio da qualcuno che agisce nell’oscurità, accompagnato da una scritta “ti chiuderemo” che è un ipermessaggio, anche quest’esperienza è davvero accaduta. O Piuttosto chi ti dice che a Natale ti regalerà un bel cappotto in cachemire che magari al nord ha un significato letterale ma da noi a Napoli s’intende un cappotto di legno, una bara insomma.
La partecipazione alla mancata responsabilità da parte dei cittadini e parlo di quel 70% che decide di rimanere in silenzio, abiurando completamente una presa di posizione. Queste persone che abdicano alla criminalità la loro sovranità nella “res publica” sono il virus della società, la parte infetta. Come si reagisce ad una società malata?
Ecco torniamo a quello che io chiamo sottocultura della violenza. A me dà fastidio il contrabbandiere di sigarette eppure sta lì nonostante possano passare dinanzi alla Finanza piuttosto che ai Carabinieri. Nessuno li ferma. Nessuno fa nulla. Sottocultura è l’erbaccia e le buche per strada, la spazzatura ovunque ecc. Sono le piccole cose che sono sbagliate e che hanno portato ad un disfacimento completo della società e lì ti rendi conto che devi agire in qualche maniera ma purtroppo si finisce ad essere soli ed isolati.
Antonio cosa pensi della realtà culturale italiana?
L’Italia, nel mondo, ha da sempre fatto la differenza nelle arti, nella musica, nella letteratura, nell’architettura ecc. I più grandi artisti che la cultura occidentale ha conosciuto sono stati in gran parte italiani. Ecco negli ultimi anni questo è venuto meno e per ragioni di mercato l’arte contemporanea è divenuta sempre più una spettacolarizzazione insomma un business. Gli artisti sono considerati delle star mentre i musei sono dei veri e propri centri Ikea.
Quindi per sostenere e finanziare la vera arte e rispondere al mercato o business come tu lo chiami c’è bisogno di una economia solidale.
Assolutamente sì ed è questa mentalità che spinge gli artisti di tutto il mondo a donare le loro opere al museo di Casoria proprio perché noi concepiamo politiche alternative, coese e coerenti alla necessità di fare arte. Il CAM è il museo degli artisti. A dimostrazione di questo decisi insieme al consenso degli altri artisti di bruciare un’opera al giorno come provocazione e atto di ribellione rispetto alla realtà e le politiche che ci impongono, rispetto soprattutto all’assenza dello Stato. Gli artisti stessi, consenzienti a questo atto, partecipavano alla distruzione delle loro opere. Questa provocazione ha suscitato scalpore tanto che tutti i giornali del mondo ne hanno parlato dalla CNN alla BBC, tutti a seguire questo pazzo direttore che bruciava le opere d’arte.
Tutto ciò non ti fa paura? Dove si finirà?
Guarda io torno a farti notare il fatto gravissimo e inaudito che il furto e la distruzione della scultura dell’artista Kavakami non ha ricevuto alcuna solidarietà ma la cosa più sconvolgente è che quando ho chiamato l’assessore, perché il sindaco non mi ha risposto, altra follia istituzionale in una situazione del genere, nessuno lo aveva informato e nessuno sapeva nulla anche dopo quindici giorni dalla sparizione dell’opera. La risposta “non ne so nulla” è terribile ed è la manifestazione della completa alienazione delle persone verso la “res publica”. Nessuno ha chiesto o dato le dimissioni rispetto alle responsabilità di coloro che dovevano tutelare l’opera. La cosa disarmante è che mentre i Carabinieri continuano ad indagare le forze politiche tacciono ogni responsabilità. Questo per me è il segno del degrado più assoluto anzi è oltre la camorra.
Possiamo parlare di iper-degrado della società?
Assolutamente sì.
Antonio tu che con uno spirito giovane combatti in una realtà così lacerata dalla criminalità che strada indichi per rispondere a questo stato politico liquefatto?
Il Contemporary Museum of Art è una provocazione, mi spiego: cioè un museo a Casoria con un titolo inglese considerando che qui forse a conoscere l’inglese saranno poche centinaia di persone. Ecco io direi che la risposta è la cultura, l’impegno e soprattutto non avere paura. Si risponde cercando di attirare i giovani a scoprire e a scoprirsi.
Ma come può la cultura fare la differenza considerando che oggi la massa vede il proprio riscatto nei talent, stiamo parlando della più profonda sottocultura della violenza, che si impongono all’immaginario collettivo come dei salvagenti a cui aggrapparsi per non affondare. Un po’ quello che accadeva alla fine dell’Ottocento quando nasceva l’intellettualismo ebraico e i giovani ebrei cercavano la fama attraverso le arti per cercare l’integrazione salvifica nella società gentile. Oggi siamo tutti in questa necessità di assimilarci a qualcosa che ci rassicura?
Nella nostra società sono venuti meno tanti valori. Io non voglio fare politica ma ricordo quando viaggiavo e molti all’estero facevano battute sul nostro ex presidente Berlusconi e io mi vergognavo. Ecco la realtà dipinta è una dichiarazione del desiderio di non faticare e della non accettazione della gavetta, il rifiuto del sacrificio con cui i nostri padri e madri hanno ricostruito dopo la guerra questa nazione. Questo lo vedo quando un giovane artista di ventidue anni si presenta da me convinto di vendere il giorno dopo e magari a prezzi vertiginosi e che in fondo tutto sia così facile e collegato al mercato. Dinanzi allo sfacelo della società la cultura l’arte non ha la prerogativa e la forza autonoma di mutare o cambiare lo stato delle cose ma certamente invita alla riflessione, accende scintille.
Ultima domanda. Come definisci l’era in cui viviamo?
Questa è l’era in cui il mercato ha preso il sopravvento. L’era dei social network, dei 140 caratteri ma è anche l’era dei duecentomila morti sul Mar Mediterraneo. È l’era dei cambiamenti climatici che porteranno le popolazioni ad immigrare in maniera biblica e non ci sarà nessun Salvini o legge politica occidentale che riuscirà a fermarne i flussi, in fondo basta guardare gli ultimi fatti accaduti in Macedonia o i migliaia di disperati a Lampedusa. Ma l’arte continua a indicarci che è nella bellezza e nell’amore umano la via per vincere il male.
Grazie direttore.