Per me, che sono ancora in piena formazione e che ho appena cominciato un proprio percorso professionalizzante, non è cosa da poco cercare di riportare una lettura lucida dell’eccellente libro di Giorgio Griziotti. Gli eventi nella capitale francese si susseguono a ritmo sostenuto, eppure il testo “Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche e linee di fuga” non poteva forse uscire in un momento più propizio. Gli spazi che stanno deflagrando con l’innesco del dispositivo sulla nuova legge del lavoro, stanno organizzando resistenze tenaci di una moltitudine la cui composizione sembra sfuggire a tutti i canoni classici della sociologia. Ed è proprio quando la lotta si intensifica che l’analisi deve farsi ancora più tagliente e chirurgica.
Il libro di Griziotti rappresenta dunque uno strumento essenziale da aggiungere alla tanto abusata metafora della cassetta-degli-attrezzi-del-rivoluzionario. Se non altro perché si tratta di un documento militante, composto da un autore che non è certamente lontano dalle riflessioni accademiche – pur non essendone organico – ma che ha anche avuto l’opportunità di vivere a far vivere esperienze pratiche e gestionali di quello che affronta. Basta solo il suo curriculum per fornire una forte base teorico-pratica: più di trent’anni d’attività come ingegnere informatico in cooperative ed associazioni dell’economia sociale ma anche in una multinazionale francese dei servizi informatici, dieci anni di formazione nell’area dell’antagonismo autonomo in Italia. Due percorsi all’apparenza complementari, ma che permettono di riproporre una visione equidistante dagli approcci apocalittici e quelli tecnoutipistici verso i nuovi media.
Griziotti cerca di tratteggiare gli scenari del dominio e del conflitto innescati dai processi guidati dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da trent’anni a questa parte, dall’inizio della controrivoluzione neoliberale. Ma oltre a entrare nel dettaglio di meccanismi che per molti sarebbe complicato anche solo immaginare, Griziotti riesce a ricomporre il tutto con un linguaggio accessibile anche a i non iniziati. Oddio, aver letto qualche testo della scuola posteoperaista sulle nuove forme del capitalismo cognitivo aiuta, ma diciamo anche che Neurocapitalismo aiuta a decifrare meglio molti scritti accademici a riguardo: ma il pregio ulteriore è quello di riuscire a guardare oltre l’infinito presente che subiamo e delineare primi immaginari postcapitalistici.
Tutto parte da una semplice constatazione di base. Ormai i dispositivi tecnologici di calcolo e comunicazione sono talmente diffusi e integrati non solo al nostro quotidiano, ma anche ai nostri copri, da poter essere definiti bioipermedia: un “interazione continua dei corpi e dei sistemi nervosi organici con il mondo tramite il complesso dei dispositivi mobili, delle applicazioni e delle infrastrutture reticolari” (pag. 120). È dal nucleo di questo concetto che si sviluppa tutta la riflessione attorno alla “fusione dell’umano e del tecnologico. Una fusione che crea nuove relazioni di potere che si fonde con l’ambiente planetario modificato e che queste nuove relazioni … radicali e gioiose … sostengono l’etica vitalista della mutua interazione fra specie. Questo postantropocentrismo è una nuova utopia, ed abbiamo un grande bisogno d’utopie in questo momento” (pag. 121). Il libro non fa altro che ripercorre quel sistema complesso e rizomatico su cui sfrecciano oggi i rapporti di dominio tecnologico, ma anche di resistenza: resistenze che si danno in maniera autonoma e cooperativistica, rifuggendo i rigidi e obsoleti modelli sindacali classici e ritrovando nello slancio individuale e mutualistico nuovi gesti di sabotaggio.
Una cosa è certa: per vincere sulla macchina, per rendere efficace il guasto, bisogna conoscerla, averne confidenza. E il libro di Griziotti è anche un’esortazione a non smettere mai di studiare e di approfondire, apposta per meglio affinare le proprie armi di lotta, che poi sono anche quelle di lavoro: è negli spazi liberati sulla rete che si riesce a fornire più solide basi per aprire spazi di libertà nel reale interconnesso.
Forse nella mia rilettura di Neurocapitalismo sono riuscito ad essere oscuro e superficiale al tempo stesso, ma pochi libri come quelli di Griziotti sono stati capaci di ridarmi il senso di “relazioni rizomatiche” e “soggettività nomadi” con la sua stessa chiarezza. Giorgio riesce a scorge lo sviluppo di forme individualizzate e valorizzanti di lotta, una sorta di ribaltamento di dell’individualismo capitalistico e autolesionista, senza lasciarsi andare a facili entusiasmi, ma anzi rimarcando una filosofia dell’attraversamento capace di cavalcare diverse situazioni, diversi stimoli.
“Siamo quindi a un bivio: quello che è in gioco non è tanto lo sviluppo di scienze e tecnologie sempre più integrate, ma il modo di usarle per organizzare la lotta e l’uscita dal modello letale in cui la tecnologia prende il posto dell’ontologia” (pag. 179).