Forse siamo in guerra e forse è bene ricordarlo. Non una guerra in cui bisogna preoccuparsi del nemico alle porte, delle sirene che suonano minacciose, dei severi coprifuoco, delle notti insonni, di fame e di morte. In questo noi, in quanto cittadini italiani ed europei, siamo fortunati, ma “noi”, in quanto appartenenti al medesimo genere umano, siamo costantemente in guerra.
Non mi riferisco alla guerra concreta che troppi popoli stanno già subendo – e quel noi dovrebbe bastare a farci sentire solidali con chi queste guerre le sta affrontando – ma una guerra che impedisce un cambiamento di condizione, una guerra mentale e di pensiero, poiché di certo non viviamo nel migliore dei mondi possibili, come insegnava Pangloss a Candido. È una lotta quotidiana volta a combattere pregiudizi, azioni, parole che impediscono quel miglioramento di condizione fisica, mentale e spirituale che, in fondo, tutti invochiamo. D’altronde la parola jihad, tradotta spesso con guerra santa, che tanto ci fa paura e che associamo ai terroristi, nemici concreti e pericolosi, non vuole significare semplicemente una caccia sanguinaria agli infedeli. Solo attraverso un’interpretazione superficiale e funzionale a determinati scopi politici, questo concetto può essere identificato con una guerra vera e propria. Piuttosto il suo significato è da intendere come uno sforzo interiore teso verso un miglioramento, con tutto ciò che ne segue. Una lotta, appunto, per aggredire uno status quo.
Parlare di una cultura a noi estranea o, come nel caso dell’islam, percepita addirittura pericolosa, ha come scopo proprio quello di combattere i pregiudizi che il luogo comune continua ad alimentare. Sono parole che vogliono favorire la conoscenza, il dialogo e soprattutto il contatto con tale cultura.
La cultura artistica di un popolo, è forse uno degli strumenti più utili e affascinanti per sondare aspetti che l’informazione giornalistica può spesso offuscare. Secondo il principio che pensare per immagini è forse ciò che ci distingue dal resto del mondo animale e contemporaneamente ciò che accumuna tutto il genere umano, le immagini che caratterizzano e circondano una determinata cultura rappresentano la chiave di volta per comprendere e convivere con popoli differenti.
Ci sono aspetti dell’arte islamica antica che sono estremamente moderni e contemporanei, nei quali viene alla luce l’importanza della libertà dello spettatore.
Nell’arte contemporanea una delle rivoluzioni che più rompe col passato è da individuare nel nuovo rapporto che si instaura tra opera e soggetto osservante, in cui l’importante è la moltitudine di significati che varia in relazione a chi si pone di fronte all’opera d’arte. A titolo esemplificativo si prenda la famosa Flag di Jasper Johns, una delle icone del new dada e dell’arte nordamericana. L’opera non corrisponde al concetto di Stati Uniti d’America che la bandiera raffigura evidentemente, ma ai vari significati che quella bandiera riesce a far emergere nelle menti di chi la osserva. Così quella stessa bandiera può significare un sentimento patriottico, una vacanza passata in quel paese, una repulsione per qualcuno e dell’amore per altri, può non significare assolutamente nulla o raffigurare semplicemente gli U.S.A, e così via. L’opera consiste in questa indeterminazione di significati univoci. Ovviamente sarebbe riduttivo concludere così il discorso su un artista emblematico come Jasper Johns e sulle sue Flags, così come, a maggior ragione, sarebbe impossibile un discorso sintetico sull’arte contemporanea. Ciò che però si vuole fare è, lo ripeto, creare punti di contatto, guardare all’altro per cercare di comprenderlo, creare curiosità.
L’arabesco nell’arte islamica del passato -ma ciò è vero ancora oggi- ha rappresentato una parte essenziale della cultura visiva nel mondo musulmano, dār al-Islām, talmente identificativa con quel mondo, che la stessa parola italiana fa riferimento in modo generico a un certo tipo di decorazione – nello stesso modo con cui si utilizza la parola greca. Come spesso avviene nella formazione dell’arte propria di una civiltà, l’arabesco fonde elementi antichi, regionali ed estranei con idee e innovazioni tipiche della nuova cultura islamica. Ciò spiega perché la sopravvivenza delle immagini è un fenomeno del tutto naturale, è l’iconoclastia che risulta essere un’anomalia.
Uno degli innesti più rappresentativi dell’arte islamica riguarda l’impatto della geometria sui monumenti pubblici, così come nei piccoli oggetti di utilizzo domestico. La geometria nell’arte islamica richiederebbe, e ce ne sono, interi trattati, ma qui interessa sottolineare quel rapporto contemporaneo tra opera e spettatore di cui abbiamo parlato poco sopra.
Se da un lato un principio moderno dell’ornamento islamico è da individuare nella possibilità di crescita infinita, dove il disegno può essere esteso senza fine in qualsiasi direzione e solo la volontà del decoratore definisce i limiti, dall’altro lato questo tipo di decorazione concede all’osservatore una grande libertà. Chi osserva infatti può scegliere senza imposizioni il punto di vista da cui preferisce godere o apprezzare forme come quelle dell’arabesco geometrico o di derivazione vegetale. Ci si può perdere nella contemplazione dei dettagli, seguire un singolo motivo e osservarne la continuazione in triangoli, cerchi e vari poligoni, immaginare questi stessi poligoni come poliedri, o ancora esaminare ogni singola struttura compositiva, gli effetti di luce e ombra. Come scrisse Oleg Grabar è come se una sinfonia riccamente orchestrata fosse stata congelata nello spazio.
Lo scontro tra culture porta inevitabilmente a una chiusura, a prese di posizione che tentano retoricamente e reciprocamente di sopraffare colui che consideriamo culturalmente lontano. Perché i terroristi, gli estremismi e la semplice ignoranza distruggono le immagini? Per diverse ragioni, una delle quali è quella di spegnere il dialogo per affermare con violenza la propria ideologia, ma fortunatamente le immagini hanno il potere di sopravvivere alla loro distruzione. La nostra guerra è quella di fermare questa distruzione delle immagini, di svelarne i significati, di farle sopravvivere.