Se la guerra non fosse già sufficientemente tragica nella sua essenza, si aggiungono sempre altri fatti collaterali a renderla ancora più insostenibile. Quello che stiamo per raccontarvi ne è un chiaro esempio.
Partiamo dall’inizio.
E’ il 1992, Sarajevo è sotto assedio, la guerra ha travolto la Bosnia ed Herzegovina. Un padre, Stanimir Stojinović, ha perso i contatti con suo figlio. Durante l’assedio della città, peraltro il più lungo di tutta la storia bellica della fine del XX secolo, 46 bambini dell’orfanotrofio di Bjelave sono stati accolti in Italia. Alcuni erano orfani, altri no, ma nonostante questo, nessuno è mai stato rimpatriato. Sono finiti tutti in adozione. Alcuni genitori biologici hanno cercato i propri figli per anni. Per Stanimir il vento del destino non è stato favorevole: ancora oggi non ha ritrovato suo figlio Dejan.
YOUng ha deciso di raccontare questa drammatica vicenda, nonostante i limiti e i lati oscuri che una storia nata dalle viscere di un Paese in guerra, inevitabilmente si porta appresso. Grazie all’attivista per i diritti umani, Jagoda Savić, che dal 2000 si sta occupando del caso, siamo entrati in contatto con il padre di Dejan e gli abbiamo rivolto diverse domande.
Si tratta di una vicenda piuttosto complicata, mai apparsa prima sui media italiani, perché è stata ‘tutelata’ finché sono rimaste attive le procedure legislative e burocratiche tra i Paesi coinvolti (Italia, Bosnia e Serbia).
L’INTERVISTA
Ci racconti la storia tua e di tuo figlio? Quando è stato dato in adozione e soprattutto perché?
‘Tutto è iniziato nell’aprile del 1989, quando io e mia moglie abbiamo divorziato. Fino all’ultimo ho pensato non se ne volesse andare veramente, pensavo che anche quella volta sarebbe tornata indietro e invece non è stato così. Mio figlio Dejan aveva soltanto un anno e mezzo: era nato il 5 ottobre del 1987. Ho pensato fosse giusto rimanesse al fianco della sua mamma – il suo calore è insostituibile – pensavo. Io andavo regolarmente a fargli visita. Prima dell’inizio della guerra in Bosnia ed Erzegovina però, abbiamo perso i contatti’.
A quando risale l’ultima volta che hai visto Dejan? Quando l’ultima volta che hai avuto notizie di lui?
‘Dopo due mesi dall’inizio dei bombardamenti sono andato dai genitori della mia ex moglie per vedere se mio figlio stesse bene, ma ho fatto una scoperta scioccante: loro non avevano mai visto il piccolo. Mi sono sentito mancare, ricordo ancora molto bene quella sensazione di smarrimento.
Poi i bombardamenti sono arrivati in Bosnia ed Erzegovina. Nel buio della notte, col sottofondo del rumore delle bombe, nella mia testa continuava a fare rumore un solo pensiero: dov’era Dejan, che fine aveva fatto. Quando ancora ci vedevamo, sul suo viso si apriva un grande sorriso, poi mi correva incontro e appoggiava la sua testa sulla mia spalla. Lo ricordo come se fosse ieri.
Ho iniziato a maledire il giorno in cui ho firmato i documenti del Tribunale in cui accettavo che la custodia di mio figlio fosse affidata alle madre. Sentivo il vuoto della sua assenza crescere dentro di me. Ogni volta che aprivo il portone del nostro cortile mi appariva l’immagine del suo sorriso. Era come il fumo, poi spariva e io rimanevo con il peso del dolore sul cuore. Ancora oggi spesso vado a pregare in un monastero qui vicino a dove abito, in Serbia. Spero sempre che un giorno la Madonna esaudisca le mie preghiere’.
Cosa hai fatto per ritrovare tuo figlio? Quando sei entrato in contatto con Jagoda?
‘Dopo due anni di inutili tentativi di ritrovare mio figlio mi sono rivolto al Centro degli Affari Sociali di Loznica. La direttrice Branka Miletić ha scoperto che la mia ex-moglie si era presa cura di Dejan soltanto per due mesi, poi lo ha portato in orfanotrofio. Io non sapevo nulla di tutto ciò. Avrei potuto tenerlo nella mia casa, anche la mia nuova moglie era disposta a prendersene cura.
Grazie all’aiuto dei servizi sociali è stata avviata la procedura per il cambiamento di custodia. Alla fine di tutto l’iter giudiziario sono diventato a tutti gli effetti il custode legale di Dejan.
Mio figlio è entrato nella procedura di adozione nel 1996. Dopo il cambio di custodia la direttrice Miletić ha inoltrato i documenti al Tribunale dei Minori milanese, che però ha continuato il procedimento come se niente fosse. Mio figlio è stato quindi adottato in Italia senza il mio consenso.
Degli intrecci legislativi del Tribunale dei Minori di Milano si è occupata personalmente Jagoda Savić, attivista per i diritti dei bambini di Sarajevo. Nel corso delle verifiche ha scoperto che la mia rogatoria internazionale è stata spedita nel Paese sbagliato: in Bosnia ed Erzegovina anziché in Serbia.
Ha poi trovato traccia della spedizione in Italia del verdetto di cambio di custodia, in un fascicolo a mio nome presso il Ministero di Giustizia e Ministero degli Affari Sociali della Serbia e dell’Ambasciata Serba a Roma. Nel 2014, il Ministero degli Affari Esteri della Serbia, dove attualmente vivo, ha inoltrato una nota verbale 631/ 14 al CAI, la Commissione per le Adozioni Internazionali, senza mai ottenere risposta. Tale commissione, contattata da Jagoda, ha risposto che il fascicolo di Dejan non si trovava nell’archivio. Lei ha quindi fatto un esposto a nome mio contro il tribunale milanese presso il Consiglio superiore della magistratura.
Nonostante tutte queste azioni, non ho ottenuto alcuna valida risposta. Sono affranto. Nutrivo tante speranze della giustizia italiana’.
Quando tuo figlio sarebbe arrivato a Mamma Rita?
‘Mio figlio è partito da Sarajevo il 18 Luglio 1992, si è diretto a Spalato e poi si è imbarcato per Ancona. Una volta approdato in Italia è stato portato a Mamma Rita, a Monza. Il viaggio è durato 3 giorni interi’.
Hai sue foto, oltre a quelle che hai ricevuto da Mamma Rita?
‘No, purtroppo non ho nessun’altra foto di mio figlio. All’epoca non era così semplice farle, non esistevano i telefoni cellulari. Doveva abitavamo non c’era neanche un fotografo’.
Tu hai idea di dove possa essere tuo figlio?
‘Quasi tutti i bambini provenienti dall’orfanotrofio di Sarajevo si trovano nella regione Lombardia e credo che anche mio figlio sia li. Grazie alla signora Jagoda ho saputo che l’ex psicologa volontaria del centro Mamma Rita di Monza era in contatto continuo con Dejan. E’ probabile che lei sappia dove vive ora. Purtroppo non siamo mai riusciti a comunicare con questa persona, nessuno ci ha voluto dare i suoi riferimenti’.
Nel corso degli anni hai mai avuto contatti con qualcuno che dice di aver visto Dejan?
‘Si, purtroppo però si sono sempre rivelate segnalazioni false’.
Hai mai più sentito la tua ex moglie?
‘Con la mia ex moglie non più avuto alcun contatto’.
Intendi continuare ancora a cercare tuo figlio?
‘Io non smetterò mai di cercarlo, le mie speranze non hanno fine. Vorrei anche precisare una cosa: sono una persona autosufficiente, ho una casa, possiedo del terreno che coltivo personalmente, quindi la frutta e verdura non mi mancano mai. Ho delle galline, alcuni maiali, una mucca, e non sto cercando mio figlio per motivi economici. Vorrei tanto che Dejan sapesse che io non l’ho abbandonato. Io e lui siamo rimasti vittime di un errore amministrativo. Vorrei che mio figlio potesse conoscere tutta questa storia, ogni dettaglio, per avere tutti gli elementi necessari per scegliere se stabilire un contatto con suo padre’.
Stanimir continua a rimanere in attesa, ogni giorno come in un rituale sacro, osserva il mondo fuori dalla finestra della sua casa con la speranza sempre viva in fondo al cuore di vedere all’orizzonte suo figlio Dejan che gli corre incontro.
Ricordiamo che gli intrecci legislativi che hanno visti coinvolti lo stato Italiano e quello Bosniaco, nonché quello Serbo sono stati riportati integralmente così come da dichiarazioni del padre. Rimaniamo a disposizione qualora qualsiasi autorità intenda replicare. A chiunque riconosca invece elementi familiari in questa storia chiediamo di contattare la redazione.
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