Quando il mondo delle fake news incontra quello del cibo, soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto salutistico, il circolo vizioso viene prontamente innescato. Tra complotti alimentari e disinformazione virale, districarsi nel mare delle bufale non è affatto semplice.
Un punto lo mette Marco Celeschi, che molti di voi conosceranno in veste di creatore della pizza più cara d’Italia, che tanto ha fatto e continua a fare scalpore.
[Antonius Musa, la pizza più cara d’Italia]
Celeschi ha alle spalle un passato fatto di alcuni incontri poco fortunati, con truffatori e incompetenti, ma è riuscito sempre a farne tesoro, crescendo umanamente e professionalmente in maniera esponenziale. Proprietario della pizzeria “Corte dei medici”, nata nel 2015 nel centro della Catania storica, reinventa la pizza, regalandole una verve moderna. Un simbolo del folklore gastronomico viene così innalzato a punto di partenza per sperimentare in direzione di un’eccellenza mai uguale a se stessa.
Abbiamo voluto intervistarlo per scoprire non solo il suo libro, ma anche il suo mondo.
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L’INTERVISTA
Si dice da sempre che la prima garanzia di riuscita di un progetto sia amarlo. La sua storia lo conferma. Dall’architettura alla ristorazione: com’è avvenuto questo salto?
Non sono del settore, è vero, mi ci sono imbattuto quasi per caso, dopo aver ristrutturato la casa di campagna di famiglia, lasciatami in eredità da mio nonno, e ormai in rovina. Se si parla di amore, ho amato tanto quella casa e la mia infanzia, che attorno a quella casa ruotava. E per non doverne ora uscire io, come disse il duca di Bedford, dovevo farci entrare gli altri: così la convertii in un agriturismo. Da lì nacque la mia seconda vita professionale, quella di ristoratore appunto.
In molti abbinano il suo nome alla “pizza più esclusiva d’Italia” che è diventata un vero fenomeno mediatico. Per chi non la conoscesse, di cosa si tratta?
Parliamo della pizza Antonius Musa, dedicata al medico romano che salvò la vita ad Augusto. Voglio ricordare che alla Corte dei medici tutte le nostre pizze sono dedicate a medici del mondo classico. Questa pizza, con caviale su panna acida, uova di salmone, uova di quaglia e oro commestibile a 23Kt in briciole, è risultata la più cara d’Italia. Da questo record ne è però disceso un altro: l’incredibile mole di insulti che ne ho ricevuto!
Addirittura insulti? Perché?
Sì, ne ho presi di più per la “Antonius Musa”, che in tutta la mia vita precedente. Perché? Perché ho osato insinuare che la pizza non è tradizione ma modernità! Ricerca cioè.
Ma com’è nata quest’idea e per chi è stata pensata?
La pizza Antonius Musa è nata per spingersi oltre le colonne d’Ercole dell’ovvio e del consueto, oltre la tradizione usata come feticcio dietro il quale ripararsi per non essere costretti a sperimentare. Per chi è stata pensata? Per tutti coloro che credono che senza ricerca una cultura muore, anche quella culinaria.
Oggi i consumatori sono sempre più esigenti così come i gusti estremamente diversificati. Qual è la sua formula (vincente) nell’ambito della ristorazione?
Non so se sia una formula vincente, ma io ho scelto la strada della specializzazione. Facciamo pizze, e nient’altro. La ristorazione generalista, che propone infiniti piatti, primi, secondi, carne, pizza, sushi e caponata, è la strada che non ho voluto seguire. Ho voluto e voglio fare poche cose, ma bene.
[sostieni]
Fake news. Alcune sono facili da individuare, altre sono palesi (ma non per tutti) assurdità. In molti casi però le fake news possono diventare virali, soprattutto quando riguardano il cibo. Lei ha scritto un libro sulle 7 grandi bugie riguardanti la pizza. Ce lo racconta un po’?
Si intitola “Pizza. Quanto ne sai veramente?” e il suo obiettivo è fornire un punto di vista razionale contro i luoghi comuni e le false informazioni, per ragionare in modo autonomo e non rimanere vittima di parolai e imbonitori. Siti improbabili lanciano, spesso, la notizia del giorno secondo la quale, ad esempio, mangiare formaggio fa male, mentre cibarsi solo di mele sarebbe la panacea di tutti i mali. Si demonizzano alcuni cibi, facendone l’oggetto di una caccia alle streghe, come nel caso del latte vaccino o in quello dello zucchero. Tutti hanno ascoltato le affermazioni roboanti di Berrino contro la farina doppio zero, studiate ad arte per fare audience, ma pochissimi hanno letto le secche smentite di Vittorio Krogh, direttore della Struttura complessa di Epidemiologia e Prevenzione dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
E nel caso della pizza?
La pizza rientra, allo stesso modo, in quel gruppo di alimenti che, da un lato, ingolosisce parecchio ma che, dall’altro, è demonizzato perché, secondo l’opinione corrente, fa ingrassare, fa aumentare il colesterolo ed è considerata, in generale, un alimento poco bilanciato. I carboidrati sono visti come il nuovo tabacco. Il consumatore, alla fine, è completamente disorientato. Abbiamo pensato allora di sfatare alcune bufale, o post-verità, per poter gustare una pizza senza più sensi di colpa.
La pizza è da tempo immemore elemento cardine del settore Food. Sicuramente lei ha una sua idea di “pizza perfetta”. In chiusura ci piacerebbe che ce la descrivesse, magari dando un piccolo consiglio prezioso a chiunque si accinga a prepararne una.
Come si fa a stabilire che un libro è un ottimo libro o che un quadro è uno splendido quadro? La risposta è: bisogna aver letto molti libri e bisogna aver visto molti quadri. Dopo lunghe osservazioni cioè si riesce a definire dei parametri. Come per il vino, per esempio: se è un Barolo ci si aspetta caratteristiche diverse da quelle di un Lambrusco.
Stessa cosa per valutare una pizza: bisogna darsi dei riferimenti. La pasta della pizza, per cominciare, non deve essere umida ma ben compatta e con la medesima consistenza al centro come vicino alla crosta. Il profilo della pizza è anch’esso da attenzionare bene. In sezione, se è piano o poco più rialzato al centro, indica che la maturazione, la lievitazione e la cottura della pasta sono andate secondo regola. Altra insidia in cui si perdono molti pizzaioli è la salsa. Pochi la sanno interpretare bene. Troppo sciapa, appiattisce il gusto. Troppo salata, prende il sopravvento con la conseguenza di farla diventare poco digeribile. Con poca acidità, non ha nerbo. I criteri di valutazione sono diversi…
E per conoscere tutti questi criteri?
Ovviamente, non posso che rinviare alla lettura del mio libro!
Potete seguire Marco Celeschi sul blog http://www.sorprendentesicilianita.it/
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