Hiroshima e Nagasaki: prove generali contro Mosca

9 Agosto 2015
Giulio Chinappi
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Bomba atomica Hiroshima

Ore 8:14 del 6 agosto 1945: la prima bomba atomica, denominata “Little Boy”, viene sganciata sulla città di Hiroshima. Tre giorni dopo, è la volta di Nagasaki. “Un male necessario” ci dirà a lungo la storiografia ufficiale, quella scritta dai vincitori, una mossa obbligata per causare la capitolazione di quel Giappone che, anche dopo la caduta definitiva della Germania nazista di Adolf Hitler, non ne voleva sapere di accettare la sconfitta. Addirittura, nei primi tempi e per qualche decennio, fu negata ogni conseguenza sui civili, ed il presidente Harry Truman annunciò che le bombe erano state lanciate su delle basi militari. Ma qual è la verità?

È nel 1938 che tutto ebbe inizio, quando i tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprirono la fissione nucleare. Una scoperta che, a lungo, fece temere un possibile utilizzo della bomba più potente che potesse essere concepita all’epoca da parte dei nazisti. La paura fu tale che, nel 1942, gli Stati Uniti lanciarono il “progetto Manhattan”, diretto da Leslie Groves e Robert Oppenheimer, il quale portò ai suoi frutti il 16 luglio 1945, con il completamento dell’ordigno e successivamente con il test dell’isola di Tinian, nell’arcipelago delle Marianne, nell’Oceano Pacifico (ricordiamo che in questo momento la Germania era già uscita sconfitta dalla guerra). Con questo primo gesto, gli Stati Uniti divennero il primo Paese a dimostrare di avere non solamente la tecnologia per l’utilizzo della bomba atomica, ma la bomba atomica stessa. Poi, il lancio delle bombe sul Giappone, con almeno 250.000 morti e 313.000 contaminati, senza dimenticare le conseguenze a lungo termine, tra malattie e malformazioni alla nascita per esseri umani ed animali.

Di fatto, però, l’attacco finale di Washington sul Giappone era iniziato già nel marzo del 1945, con la “pioggia di distruzione” voluta da Harry Truman, il presidente che da poco aveva preso il posto del deceduto Franklin Delano Roosevelt. Questo piano ridusse già la potenza nipponica ad una piccola roccaforte, con l’intero impero che era stato costruito in quegli anni nell’Asia orientale e nel Pacifico oramai perduto. Il Giappone era pronto a capitolare, ma sperava di avere un certo margine per contrattarne le condizioni, per questo decise di temporeggiare. Una scelta che diede a Truman il buon pretesto per lanciare le due bombe atomiche, non tanto per causare l’immediata capitolazione (14 agosto 1945) di un Paese già ridotto in ginocchio, ma per dare una prova di forza a Mosca, visto che immediatamente dopo la caduta della Germania nazista Washington individuò nell’Unione Sovietica il nuovo nemico. Non è un caso, infatti, che lo stesso Truman avesse spinto per realizzare il test delle Marianne prima della conferenza di Potsdam, potendosi così presentare al cospetto di Winston Churchill e soprattutto di Stalin con il coltello dalla parte del manico. Fu infatti lo stesso Truman che informò il leader sovietico ed il ministro degli esteri Vjačeslav Molotov della realizzazione della bomba in quel di Potsdam.

In pratica, con il lancio delle due bombe atomiche, Truman provò la propria superiorità in tema di armamenti nei confronti di Mosca (momentaneamente, perché ben presto anche i sovietici avrebbero avuto la loro bomba atomica, sulla quale già stavano lavorando all’insaputa di Washington), fatto già intuito a quell’epoca da Albert Camus, ed evitò che fosse l’Armata Rossa ad occupare il Giappone prima del proprio esercito. Con la sconfitta definitiva della Germania, infatti, l’Unione Sovietica si impegnò a sua volta sul fronte pacifico, e, attraverso l’isola di di Sakhalin, a pochi chilometri dalle coste nipponiche, avrebbero potuto invadere il Paese molto prima degli Stati Uniti. Anticipando la capitolazione nipponica, Truman ottenne un’occupazione a stelle e strisce del suolo giapponese, portandolo di fatto nella propria orbita, nonostante in molti, compreso il generale Dwight Eisenhower, si fossero espressi contro il lancio delle bombe atomiche. Di fatto, non solo sarebbe stato inutile il lancio della bomba su Hiroshima, ma quello su Nagasaki fu ancor più ingiustificato: già dopo l’esplosione del primo ordigno, infatti, il primo ministro giapponese Kantarō Suzuki si disse pronto a firmare la resa incondizionata. “Il Giappone era pronto a capitolare, colpirlo con questa cosa mostruosa era totalmente inutile”, avrebbe poi ammesso nel 1963 proprio Eisenhower.

GIULIO CHINAPPI
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