“Un articolo sul femminismo scritto da una donna” può portare a due sole conclusioni:
- Il femminismo è un male necessario
- Le femministe sono delle attention whore
Purtroppo questo articolo non porterà a nessuna delle due conclusioni pertanto, se questo era il vostro interesse, vi suggerisco di chiudere la pagina e andare a divertirvi su ben altri gruppi Facebook.
Non ci sono numeri, non ci sono statistiche, nè dati alla mano. C’è del buonsenso, della discussione – come quella di una volta – e per oggi ce la facciamo bastare.
Piccolo antefatto.
Pochi giorni fa, entrando in una nota libreria, ho avuto il (dis)piacere di fare una scoperta che mi ha lasciata interdetta. Mi trovavo nella sezione Storia e non riuscivo a trovare libri scritti da donne che non parlassero di donne. Mi sono quindi spostata nella sezione narrativa e, anche lì, non riuscivo a trovare libri scritti da donne che non avessero come protagonista una donna, una saga familiare femminile oppure personaggi maschili con una forte presenza femminile a parte. Caso a parte è il settore fantasy.
Ma nella narrativa moderna è piuttosto difficile riuscire a trovare donne che parlano di argomenti che non siano strettamente riferibili alla sfera del femminile.
Perchè?
Perchè questa autoreferenzialità? Non si rischia di scadere, come già fatto, nel cliché del “i neri scrivono solo di questioni da neri”?
Entriamo nella questione.
C’è una differenza: mentre le minoranze tendono a portare avanti il dibattito razziale tramite libri creati ad hoc, l’altra metà del cielo non sfiora quasi mai l’argomento e, quando lo fa, ottiene risultati pessimi. Le donne scrivono di donne senza mai entrare a fondo nel dibattito femminista: non vende.
Quando si comincia ad entrare nel dibattito femminista, infatti, le dinamiche cominciano a cominciare e (Facebook docet) si entra in una realtà parallela.
Una delle più brutte esperienze della mia vita è stata leggere una ragazza di vent’anni scrivere orgogliosa “Io non sono femminista, ci mancherebbe, non sono mica come quelle là!”.
Seguito di applausi, genia, stupenda, immensa, plauso del popolo maschile.
Probabilmente è facile proclamarsi non femminista a vent’anni, quando sei bella, giovane e non lavori. Ma come sei arrivata a questo?
Perchè una ragazza di vent’anni dovrebbe dirlo? E’ davvero cosciente di cos’è il femminismo oppure sta facendo sue una serie di meme trovate in internet?
Ma soprattutto: perchè la gente ha paura del femminismo?
Sono abbastanza sicura che se le dicessi che Emma Watson è simbolo del femminismo moderno al mondo, mi guarderebbe come fossi una pazza. Non riuscivo a capire cosa fosse il femminismo per loro, ma poi alcuni amici mi hanno facilmente rinfrescato la memoria.
Femen.
Alpha Woman.
Nazifemministe.
Abbatto i Muri.
#metoo abusato.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui una ventenne si sente legittimata a non essere femminista.
Se io avessi vent’anni e mi approcciassi al mondo con la freschezza di un’universitaria solamente con Facebook in mano, probabilmente concorderei con quella ragazza.
Lo ammetto.
Nei gruppi Facebook la questione femminista è rappresentata per la maggior parte dai meme di Alpha Woman e pagine derivate. Una visione distorta del femminismo creata da una pagina satirica gestita da un uomo per la quale le donne si ritengono superiori agli uomini e guardano solo prestazioni sessuali e denaro.
Da questo purtroppo derivano gli incel, dei quali però parleremo in separata sede.
Oltre a questi meme contribuiscono i molti, moltissimi articoli di giornali nei quali si parla di femminicidi usando il termine a sproposito. Il femminicidio è l’uccisione di una donna in quanto donna, non è un omicidio: l’uccisione di una donna in una rapina è un omicidio; l’uccisione di una donna da parte di un conoscente perchè lei ha detto “no” o in quanto donna è un femminicidio.
Abusare di questo termine non fa bene né alla circoscrizione e alla ricerca del fenomeno, né alla sua lotta.
Non manca un costante bombardamento di ricerche di pseudo giornali online nei quali si parla esclusivamente di presunta superiorità femminile.
Tutto questo, messo nel grande calderone che è internet, non fa altro che provocare un rigetto da parte di chi legge.
Una visione del femminismo nella quale si sostiene la superiorità femminile è ovviamente a priori sbagliata, poiché contraddice in termini il suo essere.
Il femminismo si pone come movimento di uguaglianza e di affermazione, così come i movimenti delle minoranze.
“Ma le donne non sono una minoranza”. No. I movimenti riguardanti le minoranze si definiscono tali non in quanto la parte rappresentata è in inferiorità numerica, bensì in inferiorità sociale. Per questo motivo negli Stati Uniti, dagli anni ’70 in poi, ha cominciato il proliferare di una serie di movimenti divenuti poi veri e propri corsi di laurea chiamati “Gender Studies”.
Gli studi di Genere (poi impropriamente utilizzati in Italia per riferirsi alle comunità LGBT) non sono altro che studi della figura femminile nella letteratura e in tutti i reami della cultura. Negli Stati Uniti sono un normale corso di studi mentre in Italia non ha mai preso piede.
Studiare la figura femminile nella narrativa mondiale è uno strumento utile per il femminismo.
Il dibattito femminista non è stato sempre fisso e immobile nel tempo e sarebbe innaturale; tutto deve adattarsi alla società e inserirsi nel contesto politico in cui si trova.
Le prime femministe dell’era moderna sono considerate le suffragette di epoca vittoriana (lascio stare le povere francesi che trovarono la morte tra le braccia di Madame La Guillotine grazie all’illuminata rivoluzione di Robespierre). Parlo delle inglesi perchè è proprio Mary Wollstonecraft a scrivere A Vindication of the Right of Women nel 1792. Ma fu, ovviamente, in epoca vittoriana che il primo vero movimento femminista si costituì.
E non lo fece tramite pantaloni e capelli corti; non avrebbe avuto successo. Perchè rivendicare i diritti delle donne trasformandole in uomini? Così le suffragette cominciarono ad indossare abiti alla moda e ad organizzare circoli del tè e salotti letterari nei quali, misteriosamente, cominciarono a girare pamphlet sul voto e sui diritti femminili. Avevano dei colori, degli accessori alla moda per riconoscersi. Era il primo femminismo e rivendicava l’uguaglianza sociale.
Ovviamente la società cambia e, al cambiare delle necessità e del tenore di vita, cambiano anche le richieste di uguaglianza. Non solamente a livello giuridico, ma anche a livello economico, sociale, culturale.
Negli anni ’70 si tagliavano i capelli e gridavano “l’utero è mio e me lo gestisco io”? Certo. Nell’ambito di un dibattito sull’aborto, gridare era l’unica soluzione possibile in un mondo che le voleva silenziose.
Remano contro anche le donne che dicono “In un mondo pieno di Kardashian sii una Curie”.
Perchè?
Il femminismo promuove l’uguaglianza e il seguire le inclinazioni naturali di ognuno, uomo o donna che sia. Se tua figlia vuole essere una modella, sostienila; non obbligarla a diventare un’astronauta.
Da sempre le donne si scagliano contro le femministe chiamandole “lesbiche”, “mezzi uomini”, “ma cosa vi manca?”. Personalmente, mi mancano molte cose.
Mi manca soprattutto la libertà di poter postare su Instagram un seno scoperto senza che qualcuno mi dica “Se mostri le tette non puoi lottare per i diritti delle donne”. Questo è ciò che è successo anni fa ad Emma Watson, la quale rispose candidamente “Ora dicono che non posso essere femminista se ho le tette”.
Mi manca uscire di casa e non aver nessuno che mi chiede quando farò figli, perchè sei realizzata solamente con un bimbo tra le braccia ed è lì che diventi veramente donna.
Mi manca anche un governo che capisca che un pezzo di terreno non è la soluzione per la natalità.
Una coppia fa figli (se li vuole fare, perchè non è una gara nella quale c’è in palio un trattore!) se ci sono politiche familiari adatte e se una donna può godere di politiche lavorative stabili e sicure.
Mi manca poter postare un insulto ricevuto senza che un uomo mi chieda “sì ma tu,che cosa gli avevi detto?”. Che cosa avevi fatto per istigarlo?
Ho visto gente denigrare Il Racconto dell’Ancella della Atwood marchiandolo come “fantasy femminista” per poi vederlo avvicinarsi pericolosamente alla realtà.
Lo ammetto e me ne rammarico: questa parola è stata svuotata del suo significato, pestata e lasciata lì morente. L’hashtag del #metoo era destinato a morire sul nascere; non si può fondare un movimento su di un hashtag: è come prendere una scatola e chiedere a tutti di inserire la propria testimonianza; fra mille racconti del terrore arriverà il racconto di cui prendersi gioco e sul quale i giornali mangeranno per mesi.
Ma ciò che non si è ancora capito – e questo è un fenomeno tutto italiano – è il fatto che il femminismo è una presa di coscienza da parte di donne e uomini. Nel mondo il movimento He For She ha moltissimi autorevoli iscritti e tutti dalla parte dell’uguaglianza di genere.
Di base, il femminismo è semplicemente una ricerca di uguaglianza (sia essa economica, sociale e culturale) tra esseri viventi. Uguaglianza di e tra generi. Se cominciamo ad aver paura dell’uguaglianza, dobbiamo cominciare ad intimorirci della democrazia, la quale si basa sulla parità fra i suoi individui. E noi non vogliamo aver paura della democrazia, vero?
Ci si stava lavorando, i passi erano buoni; ora stiamo drammaticamente tornando indietro e non possiamo permettercelo. Non abbiamo il lusso di cedere un solo giorno.
Mi piacerebbe molto che quella ragazza capisse che essere femminista, a vent’anni, è un dovere. Etico, sociale, personale. E’ un dovere verso il prossimo.