Egitto Democrazia Militare il nuovo libro di Giuseppe Acconcia
E’ recentemente uscito il nuovo libro di un bravissimo giornalista originario della provincia di Salerno che ha trascorso gran parte della sua vita a studiare, conoscere ma soprattutto viaggiare all’interno di paesi come Egitto, Siria ed Iran, raccontando poi con dovizia di particolari ogni esperienza e cambiamento sociale e politico che è riuscito a vivere in prima persona. Sto parlando di Giuseppe Acconcia, che ho avuto il piacere di conoscere nel novembre del 2012 quando ho presentato, insieme ad altri giornalisti e professori universitari, il suo primo libro dal titolo “La primavera egiziana e le rivoluzioni in Medio Oriente”, un viaggio attraverso le rivolte arabe che hanno sconvolto l’antico ordine dittatoriale presente in alcune regioni del mondo arabo da decenni. In particolare, come si evince anche dal titolo, la maggiore attenzione del suo lavoro si concentrò sull’Egitto, paese nel quale Giuseppe ha vissuto prima, durante e dopo la rivoluzione che ha portato alla fuga di Mubarak.
Il suo lavoro d’inchiesta e di ricerca ovviamente non si è fermato a quegli eventi e così, continuando a vivere in maniera diretta quei territori, è nato il suo nuovo lavoro, uscito per Exorma Edizioni, cioè “Egitto. Democrazia Militare”, un’altra interessantissima analisi della realtà egiziana vista con gli occhi di chi ha raccontato anche per importanti giornali come Il Manifesto e il britannico The Independent quel fenomeno rivoluzionario conosciuto in occidente come Primavera Araba. Un nuovo viaggio, un nuovo documentario scritto (ma non mancano ottime foto della piazza e degli usi e costumi egiziani) ancora una volta nato dal basso, dagli incontri quotidiani di chi quel mondo arabo lo vive direttamente.
Per meglio comprendere come alcune di quelle rivolte, in particolar modo in Egitto, siano rimaste delle rivoluzioni mancate e anche per inquadrare il suo nuovo lavoro, Giuseppe ha gentilmente risposto ad alcune mie domande.
Come si sviluppa il tuo nuovo libro o per meglio dire reportage, dato che il viaggio è sempre al centro del tuo lavoro?
Questo libro è prima di tutto una cronaca giornalistica che parte dall’elezione dell’ex generale Abdel Fattah al Sisi il 27 maggio 2014 e ripercorre le tappe salienti delle rivolte egiziane fino alle manifestazioni di piazza Tahrir del gennaio 2011. E’ un reportage perché raccoglie testimonianze di attivisti, politici, artisti e gente comune rigorosamente dal basso, cioè in quartieri disagiati e periferici. Non solo, questo libro racconta volutamente una realtà diversa da quella descritta dai media mainstream andando fuori dai luoghi ripresi dalle telecamere e quindi necessariamente lontano dal Cairo: tra Suez e Alessandria d’Egitto, tra Asuan e Mahallah al Kubra, per raccontare la complessità di un paese molto visitato ma poco conosciuto.
Senza entrare troppo nei dettagli scritti nel libro, in Egitto oggi la situazione politica e sociale qual è?
Provocatoriamente parlo di Democrazia militare, in realtà l’Egitto ora è un regime militare. La giunta militare controlla l’esecutivo e la presidenza della Repubblica, non c’è un parlamento e le elezioni legislative sono state spostate ben oltre i limiti stabiliti, non esiste libertà di stampa per questo 400 giornalisti hanno firmato una petizione spiegando perché non vogliono allinearsi alle direttive del regime, la legge anti-proteste impedisce le manifestazioni, migliaia sono gli attivisti in prigione in sciopero della fame. La repressione colpisce tutto lo spettro politico dagli islamisti agli attivisti laici e di sinistra. Infine due nuove leggi mettono il bavaglio alle organizzazioni non governative e impediscono di fare politica negli atenei. Un quadro desolante rispetto alle attese del 2011.
Nel primo libro hai raccontato nel dettaglio le prime fasi della rivoluzione in Egitto analizzando però anche altre rivolte, meno conosciute in occidente, che secondo te sono state in un certo senso un trampolino di lancio per quello che poi giornalisticamente parlando abbiamo definito la “primavera araba”. Negli ultimi 3 anni, come è cambiata la geopolitica del medio oriente, secondo il tuo punto di vista?
Ormai delle rivolte del 2011 che sono durate proprio una primavera, come ricorda il titolo del mio libro precedente, resta solo la buona pratica tunisina con l’interessante risultato elettorale che ha portato alla vittoria di un partito laico sui partiti ispirati all’Islam politico. Per il resto c’è troppo poco. Non solo, il colpo di stato militare egiziano del 3 luglio 2013 ha segnato il processo di transizione in molti altri paesi. Cito qui la Libia dove l’ex generale Khalifa Haftar ha preso in prestito, con l’aiuto dell’esercito egiziano, il modello di Sisi dello “Stato contro il terrorismo” per tentare un golpe ancora in corso che mettesse in un angolo gli islamisti. Fin qui il risultato è l’anarchia, ma il messaggio sbagliato che passa nei media occidentali è la generica lotta contro gli islamisti, come se fossero tutti terroristi invece è essenziale distinguere tra i partiti moderati, come i Fratelli musulmani e i gruppi jihadisti come Ansar al Sharia, attivo a Bengasi. Solo in questo modo la transizione democratica nei prossimi anni potrà essere efficace: includendo i movimenti moderati che hanno abbandonato la violenza e mettendo fuori legge chi prosegue nella lotta armata.