Sabina Spielrein
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Se pronunciamo i nomi di Sigmund Freud, il padre della Psicoanalisi, e di Carl Gustav Jung, suo allievo, pensiamo subito alla base della psicologia e agli studi sulla psichiatria.
Ebbene tra questi due nomi se ne inserisce un terzo, quello di una donna, quello di Sabina Spielrein.
Sabina nasce a Rostov il 7 Novembre 1885, la morte prematura della sua sorellina, fece scatenare in lei una serie di comportamenti anomali. Iniziò la sua solitudine. Fu ricoverata presso l’ospedale psichiatrico di Burgholzli, a Zurigo, e fu paziente del giovane dottor Jung.
Lui prese molto a cuore il caso di Sabina e con lei, oltre ad applicare gli insegnamenti del suo maestro Freud, iniziò un lavoro più analitico sui ‘luoghi dell’anima’.
L’incontro con Sabina fu molto di più rispetto a quello tra paziente e dottore, si instaurò un legame profondo, ‘d’amore’ per alcuni , che porterà lei a guarire e a percorrere la strada della medicina (si laureerà nel 1911 specializzandosi proprio in Psichiatria, ndr) mentre lui a distaccarsi dagli insegnamenti di Freud per dedicarsi ai suoi studi.
Sabina divenne membro della Società di Psicoanalisi di Vienna, ma fu lo stesso Freud a dividere i due amanti ritenendo che il rapporto non giovava alla pubblicità della scuola e alla materia che in quegli anni iniziava la sua diffusione. Sabina più volte chiese di incontrare Freud per discutere della situazione ma lui la liquidò con una semplice epistola, dimostrando di non avere ancora elementi validi per affrontare il ‘controtransfert’.
Sabina accolse l’imposizione di Freud di allontanarsi da Jung e dopo un anno sposò un suo collega medico dal quale ebbe due figlie.
Nel 1923 ritornò in Russia e insieme a Vera Schimdt fondò l’Asilo Bianco a Mosca, dove metteva in pratica le sue teorie. Difatti i bambini e le bambine venivano educati in maniera libera di poter esprimere le loro doti. Si dice che tra gli iscritti vi fosse anche il figlio di Stalin, sotto falso nome. In una sua lettera per Jung si legge: ‘Pare sia la prima volta che una psicoanalista viene messa a dirigere un asilo infantile. Ciò che vorrei dimostrare è che se si insegna la libertà ad un bambino fin dall’inizio, forse diventerà un uomo veramente libero… Ci metterò tutta la mia passione’.
L’Asilo fu però chiuso tre anni dopo dalle autorità sovietiche.
Per molti anni la figura di Sabina Spielrein è rimasta nell’ombra, maggiore rilievo ha avuto dopo la pubblicazione della raccolta di lettere intercorse tra lei e Jung, pubblicate nel libro di Aldo Carotenuto, Diario di una segreta simmetria.
Fu grazie a Sabina che il medico iniziò un nuovo percorso elaborando le teorie di Archetipo e Inconscio Collettivo. È proprio questa eredità spirituale che fa riconoscere in Sabina l’importanza della sua presenza e dei suoi studi.
Lei si soffermò, invece, sul concetto di pulsione di morte, ritenendo ‘pericoloso prestare troppa attenzione al complesso sessuale’.
Tracciare tutti gli aspetti della vita di questa donna sarebbe stato impossibile, anche perché la stessa letteratura ha preferito farne un caso ‘sentimentale, romantico’ più che affrontare seriamente le sue scoperte scientifiche, anche nelle università si studia approssimativamente l’importanza delle sue teorie. Sicuramente tra i due pilastri Freud e Jung, Sabina occupò un posto fondamentale, fece mettere in discussione i rapporti tra il maestro e l’allievo, e permise a Jung di aprirsi una strada sua. Riuscire ad ottenere un ruolo di rilievo in quegli anni non fu affatto semplice per la donna.
Soffermandoci sull’aspetto umano sicuramente Sabina è stata una donna sensibile, intelligente, tormentata dal dolore della malattia mentale ma con un’incredibile forza che non solo la portò a guarire totalmente dalla schizofrenia ma ad essere lei stessa una guida per gli altri. Appassionata in tutto quello che faceva affrontò la morte, le usurpazioni e l’allontanamento dal suo grande amore.
Da custode dell’anima di Jung, dovette allontanarsene per l’incapacità di Jung di imporsi a Freud. La donna poteva scegliere di impazzire, di morire, ma decise di vivere per quello stesso amore, di continuare la sua vita dimostrando di essere molto più forte di quei due uomini che l’avevano schiacciata.
Jung incapace di prendere una decisione e Freud impreparato di fronte alla passione dei suoi due allievi.
Sabina vince, dimostra di avere ormai quel carattere per il quale tanto ha sofferto, la sua sensibilità che l’avevano costretta alle mura dell’ospedale psichiatrico ormai l’ha resa una donna forte e unica.
La sua dedizione agli altri è, almeno per me, fonte di continuo studio e ispirazione. Un personaggio a cui sono profondamente legata e chi mi è particolarmente caro.
Sabina, ebrea, fu uccisa nel 1942 a Rostov dai soldati nazisti insieme alle sue due figlie.
Il suo testamento spirituale chiude il film romanzato Prendimi l’anima, di Roberto Faenza. Un film sottovalutato dalla critica, ma bellissimo, intenso, ricco di passione con una regia incredibile e attori davvero bravi nell’interpretazione dei loro ruoli.
«Quando morirò voglio che il Dottor Jung abbia la mia testa, solo lui potrà aprirla e sezionarla. Voglio che il mio corpo sia cremato e che le ceneri siano sparse sotto una quercia, su cui sia scritto: anche io sono stata un essere umano».
Imma I.
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