Ciascuno cresce solo se sognato

14 Giugno 2013
Redazione YOUng
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Pink Floyd

I bambini nascono slegati da preconcetti e restrizioni. Sono tavole bianche, con occhi svegli e menti pronte a recepire tutto. 
Non aspettano altro che nutrirsi di realtà e di vita, la loro incoscienza è la loro forza: sono liberi, spontanei e veri. 
Ed ecco che si insinua l’educazione, che non sempre è sinonimo di crescita o miglioramento, ma al contrario sterile prerequisito di formazione per l’individuo, animale sociale, destinato spesso a rimanere rilegato in quell’educazione stessa e dentro confini che non lo aiutano nell’ulteriore sviluppo.
Inconsapevolmente il genitore che “educa” erige muri, enormi, che escludono dalla comoda e vicina realtà tutto il resto, il lontano.
Educazione, “educere”. 
Giovanni Sartori ne dà una definizione elastica, acuta, onnicomprensiva.
Non esclude, ma anzi tende a voler unire. Educere significa tirar fuori, un tirar fuori che è poi “valorizzare, nell’uomo, le sue potenzialità di essere ragionevole, e in ultima analisi, razionale”.
Non è quindi reprimere, non è schiacciare: è piuttosto lasciare liberi di formarsi, indirizzando senza tappare le ali, aiutando senza bloccare o censurare.
Non esiste definizione perfetta che racchiuda l’essenza e il significato dell’educazione, ma la definizione di Sartori è tra le più libere, tra le più slegate da valutazioni, giudizi di valore e soprattuto ipocrisie. 
L’oppressione non forma le coscienze. Così si coltivano schiavi, non individui pensanti e razionali.
La chiave sta nel migliorarsi senza chiudersi, nel crescere senza fossilizzarsi, nel mutare senza regredire, nel fare figli senza sentirsi padroni, ma ispiratori e colleghi di vita.
La scuola svolge un ruolo fondamentale, a volte addirittura di supplenza: luogo dove le vite si intrecciano, le esperienze si incrociano e si fondono, dove il bambino diventa o rimane individuo ma impara a stare con l’altro, impara che il diverso non è lontanza e che l’omologazione non è uguaglianza. Prima che i numeri, le lettere, le parole impara ad essere se stesso, un se stesso però immerso nella società.
Più che di una signorina Rottermeier il bambino ha bisogno di un John Keating (L’attimo fuggente, nda) che monta sulle cattedre e smuove le coscienze.
Il bambino non ha bisogno di essere sgridato, ha bisogno di capire. Solo capendo potrà interiorizzare ciò che risulta essere l’ingrediente imprescindibile per un’educazione che non passi dalla costrizione: la scelta.
Il bambino educato alla libertà sarà un adulto capace di scegliere, un adulto capace di emanciparsi dalle bugie o mezze verità altrui, imparando a comprendere da solo, senza la mediazione di nessun altro. Imparerà ad accettare le versioni altrui, le opinioni diverse perché ne avrà di proprie.
Non accetterà dettami o dogmi, ma aprirà le orecchie alle nuove conoscenze, alle prese di coscienza condivise, rimettendo sempre in discussione tutto, non prendendo per buono niente, concedendosi solo qualche sfiziosa certezza. 
L’educazione non si impartisce, la si raggiunge forse solo alla fine, quando si arriva ad essere completamente slegati e liberi, quando si è finalmente educati alla bellezza, al disprezzo per l’omologazione e per le retoriche di società, al rifiuto del preconcetto e del pregiudizio, all’accettazione di se stessi, al rispetto dell’altro che poi è rispetto di sè.
Danilo Dolci, prima poeta, poi animatore sociale ed educatore, è stato definito in molti modi: mistico, rivoluzionario, sociologo, intellettuale, Gandhi della Sicilia. Probabilmente li avrebbe odiati tutti questi appellativi, proprio per il suo sprezzo verso il morboso catalogare che incanala e banalizza l’individuo. “Il primo strumento che ciascun individuo ha a disposizione è se stesso”, sosteneva e non gli piaceva la parola “massa”, dal greco maza, cioè pasta, una materia informe facile da manipolare, gestire, ridurre in niente. Preferiva di gran lunga il termine “persona” che oltre al significato greco di maschera, ha quello latino di per-sonare, suonare attraverso. 
Preferiva educatore a maestro, studente ad alunno, gruppo a classe, scienza dell’educazione a pedagogia. 
L’educazione, quindi, come diversità e arricchimento, mai schiacciamento.
La personalità doveva uscirne intatta, semmai addobbata di nuove preziose esperienze e conoscenze, mai privata delle peculiarità e delle libertà. 
Il suo metodo educativo fu fondato sulla maieutica, ovvero il processo di nascita di nuove idee, di confronto, di progettazione attraverso il dialogo e la partecipazione di tutti. Un metodo basato sul reciproco scambio, sulla partecipazione attiva del soggetto, e sulla ricerca della verità.
Danilo Dolci è riuscito a cogliere in una sola breve poesia il succo e il significato della sua idea di educazione come costruzione della personale coscienza dell’individuo. L’ha fatto con inusuale chiarezza ed incantevole semplicità: 

C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato. 

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

Dolci è un educatore, per la maggior parte della sua vita, inconsapevole.
Dolci ci insegna ad autoeducarci: a non reprimerci, a condividere rimanendo individui, ad esplodere e generare idee. A credere in noi stessi, perché molte volte la visione che l’essere umano ha di se stesso non corrisponde alla realtà percepita dagli altri. Molte volte l’uomo sottovaluta e nasconde i propri talenti per paura di dover investire tutte le energie su se stesso, per paura di fallire, per paura di un abbaglio.
L’unico modo per “educarci” è smetterla con la presunzione di dover insegnare all’altro una bislacca verità assoluta, per iniziare a sognare se stessi con lucidità e occhio realistico.
Danilo Dolci ci insegna che per crescere ognuno, ogni singolo individuo, deve ascoltare l’altro e vedere negli occhi esterni la proiezione della sua capacità interiore, perché “ciascuno cresce solo se sognato”. 

marti.cagliari@gmail.com

L'AUTORE
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