Fenestrelle: "la memoria" del lager della resistenza

27 Gennaio 2012
Maria Melania Barone
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di Maria Melania Barone

FENESTRELLE– E c’è anche chi rivendica la presenza della Fortezza di Fenestrelle in quel macabro elenco di lager e campi di concentramento che solitamente viene citato nel “Giorno della memoria”. Il giorno dove si ricorda la violenza e l’atrocità umana volta alla repressione dei popoli diventa il giorno di un grido di storia, soprattutto per quella risorgimentale da sempre taciuta. Per i comitati meridionalisti infatti si tratta di due repressioni verso due popoli differenti nate per comuni motivi economici e politici.

La shoah duo-siciliana, questo il nome dato alle repressioni risorgimentali contro i resistenti del Mezzogiorno. Una storia taciuta con la stessa vergogna con cui si sarebbero taciute le repressioni naziste degli anni ’40. Troppo difficile dire che il Risorgimento non è stato un’epoca di rinascita ma di morte, troppo difficile disonorare uno “Stato democratico” nato grazie alle invasioni e le repressioni di altri Stati liberi ed indipendenti

Un unico grido quello dei meridionalisti: “Mai più campi di sterminio”. “Campi di sterminio”, forse, è una definizione troppo grossa per molti, soprattutto per coloro che negano apertamente la presenza di detenzioni e torture nel Nord Italia in epoca risorgimentale. Eppure si tratta di una realtà non negata dagli archivi e presente anche nei Carteggi di Cavour.

 

Tuttavia è proprio la shoah duo-siciliana la realtà storica che molti rivendicano, come il prof. Roberto Martucci, storico dell’Università di Macerata, che ha scritto con coraggio: il silenzio della piú consolidata riflessione storiografica sull’argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l’inesistenza o la non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a causa della stessa brevità degli eventi bellici di quella fase storica, generalmente limitati a poche settimane di conflitto. Impressione che risulta rafforzata dalla lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace. Meraviglia di piú il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla base di testimonianze dirette integrate da un’interessante bibliografia, senza tuttavia prestare la minima attenzione al problema. Il fatto poi che neppure il compiuto affresco legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi piú vicini, si riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una presa di distanza dalle poche righe con cui padre Buttà tentò a suo tempo di sfidare l’oblio dei posteri“.

Ma cosa hanno di diverso “la liberazione del Mezzogiorno” del 1861 e l’olocausto ebreo? Apparentemente poco, sostanzialmente tutto. 

La vera differenza è il silenzio che li accompagna. Pochi hanno avuto il coraggio di dichiarare la presenza di lager in zone piemontesi durante il 1861.  Perfino Montanelli li ha negati. Eppure è stato un genocidio di guerra che ha visto morire tra il 1860 ed il 1865, 51 giovanissimi tra i 21 e 32 anni. Tutti Napoletani, Salernitani, Abruzzesi e Pugliesi. Giovani relegati a Fenestrelle, morti per quello che sarebbero stati: dei futuri briganti. Volendo parlare in termini liberali, la loro colpa è ciò che avrebbero prodotto: resistenza e brigantaggio. Si legge ancora a Fenestrelle: “OGNUNO VALE NON IN QUANTO E’ MA IN QUANTO PRODUCE” che tanto ricorda l’iscrizione dei lager nazisti: “ARBEIT MACHT FREI”. 51 solo i giovani accertati di cui si conosce il nome. Ma in un frangente di storia mai raccontata sappiamo che ci sono molti altri morti mai dichiarati, caduti di guerra mai riconosciuti. Per cominciare a ricordarli bisognerebbe avere il coraggio di guardare in faccia la storia. 

Ma dicevamo: cos’hanno in comune il 1861 ed il 1943? Tutto e niente. Sui lager nazisti si è scritto e detto di tutto. Su quelli piemontesi e pre-unitari praticamente nulla. Anzi, l’unico film: “Li chiamarono … Briganti!” è stato ritirato dalle sale italiane nel 1998 perché “offendeva l’esercito del Paese”. Non ci resta che sentire degli echi storici quasi indecifrabili. Bisognerebbe dar loro un nome, trovare il coraggio di raccontarli… Forse anche per questo al giorno d’oggi servirebbero dei soldi, per produrre dei films, per pubblicare dei libri, ma quei denari al Mezzogiorno sono stati portati via per rimpinguare le casse del Regno d’Italia. Oggi ci resta un paese, l’Italia appunto, che tra grida secessioniste celebra il giorno della Memoria senza avere il coraggio di raccontare la propria nascita.

 

L'AUTORE
Giornalista pubblicista nasce a nel cuore di Napoli ma vive in molte città italiane, dopo aver compiuto studi umanistici si interessa al mondo editoriale con particolare attenzione alla politica, ambiente e geopolitica.
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