Ci sono voluti ben due anni per far sì che la nuova serie di punta della HBO vedesse la luce. Due anni dall’annuncio che il film Il mondo dei robot di Michael Crichton (il padre del celebre Jurassic World) sarebbe stato adattato per il piccolo schermo, in una serie tv prodotta da J.J. Abrams e ideata da Lisa Joy e Jonathan Nolan – fratello del famoso regista Christopher e co-sceneggiatore di grandi successi come Interstellar e Il cavaliere oscuro. Ma se questi nomi da capogiro non bastassero, si aggiungono al cast Evan Rachel Wood, Anthony Hopkins ed Ed Harris, facendo di Westworld una delle serie più attese del 2016. E ora che l’abbiamo vista per intero, nei suoi 10 episodi, possiamo dire una delle migliori dell’anno.
In queste lunghe dieci settimane, gli spettatori si sono arrovellati e interrogati su mille congetture e teorie, ma anche spaccati tra chi considera la serie tecnicamente perfetta e chi tremendamente noiosa. Il risultato è uno degli show più discussi dell’anno, che volente o nolente è riuscito a catalizzare l’attenzione del pubblico. Westworld è uno show corale di grandissima portata, come lo è Game of Thrones, ambientato in un futuro distopico non ben definito dove la scienza si è spinta a tal punto da creare robot – meglio noti come host – talmente uguali agli umani da non riuscire a distinguerli da essi, il cui unico scopo è dare piacere e assecondare gli istinti più bassi di uomini ricchi e facoltosi giunti a Westworld, nel parco dove tutto è concesso. Solo una cosa li differenzia: la mancanza di una coscienza. Ma è davvero così?
Il rapporto uomo-macchina è stato esplorato più volte al cinema e non solo. L’eterno dilemma che ruota intorno all’uomo che gioca a fare Dio e della macchina che inevitabilmente finisce per ribellarsi al suo creatore non ha nulla di originale infatti. Da Frankenstein, Blade Runner, il già citato Jurassic World fino ad arrivare al più recente Ex Machina sono solo alcuni degli esempi che hanno approfondimento queste tematiche. Jonathan Nolan, insieme alla moglie Lisa Joy, ha deciso di ritornarci, e sviscerare ancora una volta grandi quesiti esistenziali, facendolo alla sua maniera, ovviamente, con un complicato e intricatissimo rompicapo, un vero e proprio labirinto, tanto difficile e contorto da sembrare non avere soluzione. Insieme a Dolores (Evan Rachel Wood) che inizia la sua ricerca della verità per trovare una via di fuga dal loop infinito, lo spettatore si immerge in un lungo e intenso viaggio, fatto di colpi di scena e rivelazioni inquietanti, sesso, sangue e violenza (come HBO ci ha da sempre abituati), ammaliato da androidi che appaiono più umani degli stessi umani, da paesaggi mozzafiato e sequenze di grande azione, che si susseguono nel grande parco di Westworld, popolato da prostitute, cowboy e fuorilegge. Tutto è sotto il maniacale controllo del Dr. Ford (un grandissimo Anthony Hopkins), creatore del parco, che proprio come Nolan con la serie ha ideato e costruito tutto nei minimi dettagli.
La grandezza della serie sta proprio in questo. In una sceneggiatura scritta con la precisione di un bisturi, con una storia che progredisce con estrema lentezza e aggiunge dubbi, domande e misteri, ma anche indizi, disseminati e centellinati con grande cura, che sfidano le menti più argute a cercare di sbrogliare la matassa. A molti sarà venuta in mente la recente serie evento Mr. Robot, caratterizzata dal complesso intrigo ma anche da un quadro fortemente pessimista e disilluso, lo stesso che dipinge Nolan. L’uomo ancora una volta ne esce malissimo dal confronto con la macchina in Westworld, che dà una visione di un mondo assolutamente amorale, privo di compassione e di umanità, persa del tutto – o quasi – dalla razza umana e acquisita passo, dopo passo dai robot, gli unici eroi positivi che ancora sono in grado di avere sogni e speranze.
Eppure, nonostante sia tecnicamente impeccabile, la serie prodotta da J.J. Abramas ha un grande difetto: non emoziona. Westworld si interroga sulla vita, sull’uomo, sulla creazione e molto altro, affascinando e intrigando lo spettatore con una storia enigmatica e avvincente, ma allo stesso tempo mantenendo le distanze dai suoi personaggi, con i quali non si riesce mai a raggiungere una totale identificazione, neanche nei momenti più catartici. Sull’intera vicenda infatti permane un senso di freddezza asettica, data dalle ambientazioni e dalla fotografia, che impedisce un reale coinvolgimento emotivo e crea un sostanziale distacco. A ben vedere, ciò potrebbe anche essere il preciso intento di Nolan, che finisce per combaciare con la sua visione imbevuta di cinismo, in cui sentimenti ed emozioni si sono estinti da tempo.
In ogni caso, la colpa di questa mancanza non è certo del cast stellare, grande punto di forza della serie, insieme a messa in scena e sceneggiatura. Menzione particolare va a Anthony Hopkins (un inquietante Dr. Ford) e Ed Harris (il misterioso e spietato Uomo in nero), due grandissimi del cinema che nonostante ci regalino due performance eccelse, non fanno sfigurare i più giovani Evan Rachel Wood, James Marsden, Thandie Newton, Jeffrey Wright e Jimmi Simpson.
Insomma, se proprio volessimo trovargli qualche difetto – l’eccessiva lentezza o mancanza di trasporto emotivo -, Westworld resta comunque una serie ambiziosa di altissimo livello, di cui è impossibile non rimanerne stregati e rapiti e che testimonia ancora l’indubbia crescita qualitativa del piccolo schermo. Del resto, il continuo tentativo di risolvere il difficile rompicapo e raggiungere il centro del labirinto, attraverso la mole di congetture nate nelle ultime settimane, ne è la conferma.