Al 20 maggio, sono ufficialmente 270 i morti sul luogo di lavoro registrati in Italia da inizio anno, cifra che supera i 450 se si considerano anche i morti sulle strade per raggiungere il luogo di lavoro o per svolgere una mansione lavorativa. Lo scorso anno, invece, i morti sul lavoro sono stati 634, 1.350 comprendendo ancora quelli sui mezzi di trasporto. I numeri sarebbero ancora maggiori considerando i lavoratori informali, molti dei quali resteranno per sempre anonimi, senza parlare di quelle vittime che dopo anni di sofferenze muoiono a causa di malattie contratte sul posto di lavoro.
Sono questi i numeri di un’emergenza, di un bollettino di guerra, di una strage che si ripete giorno dopo giorno, e che colpisce – manco a dirlo – le classi sociali più deboli, quelle facilmente ricattabili, costrette ad accettare qualsiasi tipo di lavoro a qualsiasi condizione, pur di racimolare il minimo indispensabile per campare. Eppure, per la maggioranza del mondo dell’informazione e del mondo politico, la questione dei morti e degli infortuni sul lavoro resta secondaria, relegando ognuno di questi casi sotto la voce “incidente”, e trattando ciascuno di essi come un fatto a sé stante.
Gli incidenti, secondo la lingua italiana, sono “eventi inattesi che interrompono, talvolta con grave danno, un regolare svolgimento” e questo termine è sinonimo di “disgrazia”. Praticamente, si dà la colpa alla cattiva sorte che, secondo questa visione dei fatti, si sarebbe particolarmente accanita contro l’Italia, di gran lunga leader in Europa per morti sul lavoro. La realtà, al contrario, è che gran parte di questi decessi potrebbe essere evitata semplicemente rispettando le leggi sulla sicurezza e la manutenzione: la maggioranza delle aziende, tuttavia, risponde ad una sola legge, quella del profitto, anche a costo della vita dei dipendenti.
Torniamo però ai numeri iniziali, con i quali abbiamo visto che, in meno di un anno e mezzo, in Italia si sono registrati 1.800 morti per cause lavorative (cifra che, come abbiamo visto, dovrebbe essere in verità assai più elevata). In questo stesso arco di tempo, invece, quanti sono stati i morti in Italia per “terrorismo”? Zero. Eppure, il “terrorismo”, soprattutto se “di matrice islamica”, sembra essere in testa alle preoccupazioni di tutti i media e gli uomini politici.
Proprio per questo, allora, possiamo dire senza remore che il vero terrorista è il capitale, che nel mondo iperliberista ha ulteriormente acuito il proprio carattere cinico, raggiungendo livelli di ingiustizia che neanche il buon Karl Marx avrebbe osato immaginare. E, in seconda battuta, diciamo che terrorista è anche il contratto di governo stipulato da Lega e Movimento 5 Stelle, nel quale si sbandiera tanto la questione della sicurezza, ma non si intravedono provvedimenti per fermare la strage dei morti sul lavoro, a dimostrazione del fatto – qualora ve ne fosse bisogno – che questi due partiti non incarnano affatto gli interessi delle classi subalterne, ma rappresentano solo una manifestazione un po’ eccentrica delle classi dominanti.
Quanto analizzato, rilancia ancora una volta la necessità di ricominciare una vera lotta di classe dal basso, ripartendo dalla ricostruzione della coscienza di classe, andata perduta per inseguire le promesse dell’utopia iperliberista. Perché, al contrario di quanto ci viene raccontato dai mezzi d’informazione, la società nella quale viviamo è ancora divisa in classi, e, coloro che lo negano vogliono nascondere alla classe dominata l’esistenza di una classe dominante, annullando così la tendenza della classe dominata a lottare per la propria emancipazione.
“Solamente a due gruppi è concesso avere una coscienza di classe”, scriveva Noam Chomsky nel 1993 (“The prosperous few and the restless many“), parlando dell’élite finanziaria e di quella politica. Per lo studioso statunitense di origine ebrea, questi due gruppi, che compongono la classe dominante, temono fortemente il pericolo di una rivolta popolare, e di conseguenza sviluppano una lotta di classe contro i dominati, in quello che lo stesso Chomsky descrive come “un marxismo volgare e rovesciato”. Parte di questa lotta di classe è proprio il far credere alle masse popolari che non esistano le classi: “L’idea è di creare un’immagine fra la popolazione secondo la quale siamo tutti un’unica famiglia felice”.
Immagine, però, quanto mai distante dalla realtà, visto che la lotta di classe oggi continua ad esistere, solamente che a condurla, come abbiamo visto, sono i dominanti ai danni dei dominati, e le cui vittime sono quei lavoratori che ogni giorno non fanno ritorno a casa.
“Solo la forma in cui viene spremuto al produttore immediato, al lavoratore, questo pluslavoro, distingue le formazioni economiche della società; ad esempio, la società della schiavitù da quella del lavoro salariato“.
Karl Marx, “Il Capitale“, primo volume (1867)
N.B.: tutti i dati statistici sono tratti dalla pagina dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro (http://cadutisullavoro.blogspot.com/2018/).