SONO UN IKEMESO
La pioggia scende scrosciante tra le vie di Ginza, tocca le insegne al neon e rimbalza sull’asfalto. Rumiko è appena uscita da lavoro. Sono le 8 passate. È impiegata in banca, smista la corrispondenza, maneggia soldi e sorride sempre, sorride a tutti i clienti. Nonostante la stagione delle piogge sia ormai arrivata anche a Tōkyō, Rumiko non ha con sé un ombrello ma sembra non curarsene molto. È troppo agitata per pensare a come ripararsi.
Ormai è arrivata a Shibuya, attraversa il grande incrocio pedonale diventando anonima come una formica, nera come tutti gli altri che si muovono in massa al comando del semaforo. Eppure oggi qualcosa è diverso, oggi Rumiko non sarà una formica. Ha un appuntamento importante: «L’edificio vicino al Torafugutei… Ecco, dovrebbe essere qui». Il Torafugutei è uno dei tanti ristoranti “acchiappaturisti”, che cucina un insipido pesce palla in qualsiasi modo possibile. Attira i turisti perché, com’è noto, il pesce palla ha una sacca velenosa, che se si rompe durante la preparazione e poi viene ingerita, può essere letale. L’appuntamento è al sesto piano di un palazzo nel quartiere di Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tōkyō controllato dalla Yakuza. “Chissà come sarà…Chissà se riuscirò a lasciarmi andare con uno sconosciuto…”. L’aveva visto in foto sul sito, la faccia pulita e rassicurante aveva fatto scattare qualcosa in lei che l’aveva convinta a sceglierlo. Certo, faccia a faccia sarebbe potuto essere tutto diverso. Facendosi coraggio, Rumiko si decide a suonare il campanello. Attende.
Il portone viene aperto e Rumiko entra, cominciando a salire le scale. “Posso ancora tornare indietro, posso andarmene ora e tutto questo non sarà mai successo. Non ho bisogno di pagare per…”. «Vieni pure», una voce maschile rimbomba nel corridoio alla fine delle scale. Rumiko arriva in cima, è un po’ affannata e completamente zuppa. «Ciao. Tu devi essere Rumiko-san. Molto piacere, sono Ikeda, in arte Mister Tōkyō». Rumiko annuisce, accennando un inchino, ma non parla.
«Sei tutta bagnata, devi avere freddo. Ti porto un cambio e un asciugacapelli». Rumiko non riesce a dire nulla, se non un sussurato grazie. Aveva trovato il sito tramite una collega di lavoro, che ne aveva parlato dopo aver visto un volantino per strada. «Chissà chi sarà mai disposto a pagare per un tale servizio. Bah», era stato il suo commento. Rumiko le aveva sorriso, ma poi si è incuriosita ed è andata a controllare sul sito. C’erano 6 ragazzi diversi, classificati in base a tratti caratteristici di ognuno di loro: c’era il dentista con la divisa da lavoro, il giovane con il volto adulto, il fratello maggiore, l’intellettuale, il ragazzaccio. E poi c’era Mister Tōkyō. L’aveva colpita per lo sguardo rassicurante e non ci aveva pensato su un attimo. Senza nemmeno rendersene conto aveva prenotato quel ragazzo, di cui ancora non sapeva il nome, e preso appuntamento per il lunedì successivo, alle 8.30.
«Ecco – le fa Ikeda porgendole una felpa. Il fon è lì. Giornataccia al lavoro?». Rumiko è molto tesa, ma stavolta riesce a parlare. «Grazie. Sì, a volte può essere molto stressante. E lo è ancora di più durante questa stagione. L’aria è fredda e le giornate sono cupe, ma dobbiamo continuare a sorridere; è proprio un controsenso – mormora abbassando lo sguardo. «Posso immaginare che tu abbia bisogno di sfogarti un po’. Io sono qui per questo». Ikeda le si avvicina lentamente prendendole il mento tra indice e pollice, le tira su lo sguardo: «Non c’è niente di cui vergognarsi, è del tutto normale avere certe necessità». Rumiko indietreggia lentamente, guarda fuori, guarda tutta quell’acqua riversarsi incessantemente sulla città. Si sente come lei, come Tōkyō, vorrebbe che tutto scivolasse via, anche se per una sola notte. Sente il bisogno di piangere, ma non riesce. Davanti a lei c’è uno sconosciuto. Come si fa ad aprirsi così, a condividere intimamente una parte di sé con una persona affittata su internet? «Lo so che è normale, ma non è facile. Dopotutto non so nemmeno chi sei…», riesce a dire la verità in un modo così diretto a quel ragazzo, che la guarda senza smettere di sorriderle, nemmeno per un secondo. «Ti va se vediamo un film?». Rumiko annuisce.
È un cortometraggio, la storia di una coppia che si conosce tra i banchi di scuola e invecchia insieme. A un certo punto lei si ammala, lui l’assiste fino alla fine senza perdere mai il sorriso. Moriranno a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra.
Ikeda si volta e guarda Rumiko, il volto coperto di lacrime. È un fiume in piena, non riesce più a fermarsi e quasi singhiozza. Si alza, fa per allontanarsi, nasconde la faccia contro un muro per non mostrarsi debole agli occhi di quello sconosciuto che però si alza con lei. Con delicatezza poggia il braccio destro contro il muro, quasi a bloccarle ogni via di fuga. Con l’altra mano, gentilmente, le sfiora la guancia e le asciuga le lacrime. Rumiko finalmente è più serena, sente che si è creato un legame con Ikeda e può piangere davanti a lui senza essere giudicata.
«7.900 yen, giusto?», Rumiko conta i soldi e li porge a Ikeda, che la ringrazia. Si salutano, Rumiko esce, ma si accorge che piove ancora. Torna indietro, bussa alla porta di Ikeda e chiede in prestito un ombrello. «Te lo darò quando ci rivedremo», aggiunge. Entrambi sanno che non succederà. La porta si richiude, Rumiko esce in strada e, camminando, apre l’ombrello.
I FATTI E LE CURIOSITÀ
Si chiamano Ikemeso, un termine che deriva dalla fusione di due parole giapponesi: イケメン (ikemen = bell’uomo) e メソメソ (mesomeso = singhiozzare). Sono uomini a pagamento, che le donne giapponesi possono affittare per piangere e farsi consolare, al prezzo di 7.900 yen (circa 58 euro) al pianto. Il servizio è offerto da una società chiamata Ikemeso Danshi e per ora il servizio è attivo solamente nella regione del Kantō, che è parte dell’Honshū, l’isola principale del Giappone dove si trova Tōkyō. L’azienda ha scoperto che sono molte le giapponesi lavoratrici sottoposte a stress.
Il fondatore si chiama Hiroki Terai e ha precedentemente prodotto anche un libro in cui sono raffigurati otto uomini mentre piangono: 100 pagine di pianto in tutte le salse. Sembra che, stando a Mayumi Umesaki, portavoce della società che ha stampato il libro, la Libre Publishing, il livello di stress ridurrebbe nelle donne che guardano queste immagini. Questa tesi è sostenuta da uno studio (citato dalla Umesaki), in cui il Professor Hideo Arita sostiene che osservare queste immagini creerebbe empatia, diminuendo il livello di stress di chi guarda. Hiroki Terai ha anche un sito, chiamato rui-katsu (涙活, letteralmente attività delle lacrime) dove sponsorizza la sua attività basata sul pianto. Terai sostiene che 1-2 minuti di pianto al mese aiuterebbero a diminuire lo stress, liberando le proprie emozioni per poi raggiungere, di conseguenza, la felicità. E per fare ciò organizza varie attività che includono la proiezione di film e poesie che stimolerebbero particolarmente il pianto.
Ed è proprio su quest’ultimo principio che si basa il servizio offerto dalla Ikemeso Danshi. Di solito sono i ragazzi a raggiungere le donne in ufficio, o dove desiderano. Hanno con sé filmati che stimolano il pianto, se la donna non è ancora pronta a lasciarsi andare. Inoltre questo uomini avrebbero una particolare mossa che sarebbe considerata sensuale e allo stesso tempo aiuterebbe le donne a sfogarsi. Si chiama kabe-don (壁, kabe significa muro, e ドン, don sarebbe una parola onomatopeica che richiama il suono della mano che si poggia contro il muro), e consiste nel porre un braccio contro il muro, quasi a bloccare qualsiasi movimento della donna, che si sente così dominata. Questo sistema sembra essere efficace, tanto che l’outlet GU a Ginza ha organizzato un evento in cui due ragazzi prestavano questo servizio in un centro commerciale. È stato addirittura aperto un locale, il Kabe-don Café, dove un finto cameriere (neanche a farlo a posta si chiama Mr. Kabedon) in silicone è messo contro il muro a disposizione delle clienti.
Kabukichō è davvero il quartiere a luci rosse di Tokyo, gestito dalla Yakuza (e ora anche dalla mafia cinese) e si trova vicino a Shibuya, dove è presente il famoso incrocio con le enormi strisce pedonali presente in molti film.
Le lavoratrici giapponesi sono sottoposte effettivamente a stress. Innanzitutto esiste una grande discrepanza tra uomini e donne sul lavoro, tanto che il World Economic Forum ha stilato una classifica, la Global Gender Gap Index, dove la prima classificata (nel 2014 è stata l’Islanda) ha un rapporto tra uomini e donne pari quasi a 1, che è il massimo totalizzabile e che significa parità di diritti sul lavoro. Il Giappone è 104esimo su 142 paesi, con un punteggio di 0,6584. L’Italia è al 69esimo posto, con 0,6973. Inoltre, il rigido sistema del lavoro giapponese prevede che molte aziende assumano i dipendenti “a vita”, subito dopo la laurea. Se una donna volesse cambiare lavoro quando non è più giovanissima, sarebbe molto difficile. Nessuno la assumerebbe perché a trenta-quarant’anni si pensa che la donna dovrebbe stare a casa per prendersi cura dei figli. Anche essere una donna single a trent’anni non aiuta, perché i datori di lavoro avrebbero il timore che lei potrebbe andarsene una volta trovato un marito. Non c’è molto da stupirsi perché un sondaggio condotto dal Meiji Yasuda Institute of Life and Wellness e riportato dal Japan Times spiega che il 40% degli intervistati (sia uomini che donne) pensano che il marito debba lavorare a tempo pieno, mentre la moglie dovrebbe rimanere a casa.
Inoltre il 65% degli uomini e il 71% delle donne sostiene che queste ultime non dovrebbero lavorare per occuparsi dell’educazione dei figli. Quindi una donna giovane è messa dinnanzi a una scelta importante: la carriera o la famiglia. E non si torna più indietro una volta presa una decisione. La percentuale di donne impiegate a tempo pieno nel 2013 era del 21,3% contro il 56,5% degli uomini. Molto spesso le donne sono impiegate part-time, ma la mole di lavoro è uguale se non superiore a quella di un tempo pieno e il contratto part-time non garantisce benefit come la maternità e il datore di lavoro, più che sostenerle, le incoraggia ad andarsene, una volta avuto il primo figlio. È vero che le cose stanno migliorando, sebbene molto lentamente. A luglio 2015 la percentuale di donne impiegate era del 43% grazie alla politica del Primo Ministro Abe volta a favore delle donne, ma di questo, il 70% era costituito da lavoro part-time.
Considerando le condizioni di lavoro più in generale, l’attenzione al cliente in Giappone è maniacale. Un dipendente che lavora a contatto con il pubblico deve sempre sorridere, sempre accogliere i clienti al grido di “Irasshiaimase (Benvenuto)” e, soprattutto, non dice mai di no.