TTIP Atlantico e Pacifico: quali programmi ha Washington?

28 Luglio 2015
Giulio Chinappi
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TTIP

Il TTIP è un progetto che, se portato a termine, potrebbe rivoluzionare il commercio mondiale. Diciamo mondiale, perché mentre gli Stati Uniti trattano su un tavolo per instaurare una zona di libero scambio transatlantica con l’Unione Europea, dall’altro stanno facendo già da tempo lo stesso per stipulare un trattato equivalente a livello transpacifico. Washington, dopo aver recitato per vent’anni il ruolo di centro economico mondiale, si trova infatti a dover lottare per mantenere la sua leadership in un mondo sempre più multipolare: se con il crollo dell’Unione Sovietica si era infatti passati da un sistema bipolare ad una situazione di unipolarità, oggi sono sempre più le potenze emergenti, tra le quali primeggia certamente la Cina, che cercano di mettere a repentaglio il primato a stelle e strisce.

Stipulando due trattati con i suoi principali partner commerciali, l’Europa e l’Asia, gli Stati Uniti puntano a riacquistare una certa centralità nei traffici mondiali, anche perché – cosa da non sottovalutare – i due trattati prevedono due aree di libero scambio distinte, con l’Europa e l’Asia orientale che sarebbero entrambe partner degli USA, ma non lo sarebbero tra loro. L’obiettivo è dunque quello di dividere i commerci mondiali in poche macroregioni, tutte collegate a Washington ma non collegate tra loro. Inoltre, inserendosi prepotentemente nella regione pacifica, gli Stati Uniti puntano a smorzare il ruolo dominante che la Cina ha acquisito in questa area del pianeta, ammettendo nel TTIP transpacifico i principali partner commerciali di Pechino, come il Vietnam ed il Giappone, che vi ha dato la propria adesione ipotetica nel 2011.

Se dovesse essere messo in pratica, il TTIP transpacifico ridurrebbe l’Europa ad un ruolo di partner secondario degli Stati Uniti, visto che la maggioranza della produzione e dei traffici mondiali avvengono già oggi nella regione pacifica. Naturalmente, l’accordo sarebbe poi a tutto vantaggio di Washington e delle sue multinazionali, un po’ come avverrebbe anche con il TTIP transatlantico: non solo non vi sarebbero più imposte doganali, ma l’obiettivo sarebbe quello di stipulare leggi comuni a tutta l’area, naturalmente nel senso della massima liberalizzazione e deregolamentazione. Pensiamo per esempio al settore alimentare, nel quale, seppur fallaci, le regole europee sono ben più ferree rispetto a quelle vigenti degli Stati Uniti, dove la qualità dei prodotti è davvero considerata una questione non di secondo, ma di terzo piano, rispetto alla massimizzazione dei profitti. Inoltre, gli Stati Uniti propongono un’estensione dei brevetti, dai novantacinque ai centoventicinque anni rispetto ai vent’anni attualmente validi per la maggioranza dei brevetti in campo medico. Poche grandi case farmaceutiche avrebbero dunque il monopolio del mercato, con conseguente scomparsa di molti dei farmaci generici, ma i brevetti sarebbero estesi persino alle specie viventi, come le piante e gli organismi geneticamente modificati.

Proprio questi ultimi punti, hanno fatto sì che il TTIP transatlantico, già proposto dagli Stati Uniti nel 2009, non sia ancora entrato in vigore. Inoltre, i Paesi economicamente più deboli temono – a ragione – di non avere vantaggi reali nello stipulare un accordo di libero scambio con una superpotenza come quella a stelle e strisce: l’Unione Europea, dove le differenze tra le economie sono molto minori, ha già dimostrato le difficoltà nel tenere insieme una potenza come la Germania ed una piccola economia come la Grecia, disparità che sarebbe ancora più evidente tra Stati Uniti e Cambogia, tanto per fare un esempio. Nel frattempo, la Cina si è resa conto della volontà di isolarla che muove i progetti di Washington, ed il presidente Xi Jinping ha addirittura proposto un’entrata di Pechino all’interno della zona di libero scambio, ammesso che questa veda un giorno la luce. I cinesi dispongono a loro volta di numerosi accordi con i Paesi dell’area pacifica, in particolare con quelli dell’Asia del Sud-Est, già riuniti fra di loro nell’ASEAN: in questo caso, la situazione sarebbe dunque ribaltata e sarebbero gli USA ad essere risucchiati in un sistema che ruota attorno alla Cina. Proprio ciò che Washington vorrebbe evitare.

GIULIO CHINAPPI
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