Burundi: aperte le urne tra esplosioni e sparatorie. Nkurunziza chiede il terzo mandato

21 Luglio 2015
Giulio Chinappi
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Burundi - Pierre Nkurunziza

Dopo lunghi dibattiti, hanno aperto quest’oggi i seggi elettorali per le presidenziali del Burundi, dove il presidente Pierre Nkurunziza si è candidato per un terzo mandato nonostante questo sia contrario alla costituzione vigente. Nkurunziza, leader del partito Hutu CNDD-FDD (Conseil National pour la Défense de la Démocratie-Forces pour la Défense de la Démocratie) si prepara dunque a mantenere la sua poltrona per i prossimi due anni, anche perché gran parte dell’opposizione ha deciso di boicottare le elezioni in segno di protesta. Il capo di stato, dal canto suo, ribadisce che la sua prima elezione, avvenuta nel 2005, non può essere considerata in questi termini in quanto avvenuta in modo indiretto (per mezzo di un voto parlamentare), dunque, secondo questa interpretazione della costituzione, avrebbe il diritto di chiedere un secondo mandato per elezione diretta. Da notare che la nuova candidatura di Nkurunziza viola anche gli Accordi di Arusha del 2000, firmati anche con la mediazione di Nelson Mandela, che avevano riportato la pace del Paese con l’entrata in vigore del novembre 2001, limitando i poteri del capo di stato.

Mentre, dalle ore sei di questa mattina, 3,8 milioni di aventi diritto sono stati chiamati ad esprimere la propria preferenza, il clima nel Paese, e soprattutto nella capitale Bujumbura, si è surriscaldato. Diverse sono le testimonianze di esplosioni e sparatorie avvenute nelle ultime ore, in particolare nei quartieri di Ngangara, Nyakabiga e Kanyosha, anche se non è stato fornito nessun bilancio circa le eventuali vittime. Da quando Nkrurunziza ha annunciato di voler chiedere un nuovo mandato, sarebbero invece almeno ottanta le morti violente avvenute nel Paese, mentre si calcola che negli ultimi tempi sarebbero circa 150.000 i burundesi che hanno varcato i confini dei Paesi vicini, in particolare della Tanzania, per trovarvi rifugio.

L’opposizione politica a Nkurunziza, ha invece continuato ad attaccare verbalmente il presidente in carica, definendo le elezioni una farsa, con tre degli otto candidati che si sono ritirati, invitando i votanti a non recarsi alle urne. L’unico oppositore che potrebbe raccogliere un numero di voti considerevole sembrerebbe essere Agathon Rwasa, del FNL (Forces Nationales de Libération), mentre non ha presentato nessun candidato l’UPRONA (Union pour le Progrès National) dell’ex presidente Pierre Buyoya, leader Tutsi, che già aveva boicottato le presidenziali di cinque anni fa. Ricordiamo anche che, solamente due mesi fa, il governo aveva sventato un colpo di stato militare anti-Nkurunziza, anche questo ordito per evitare un terzo mandato consecutivo del cinquantaduenne capo di stato (clicca qui per saperne di più).

Al di là dei conflitti politici, la situazione creata da Nkurunziza rischia di risvegliare i vecchi conflitti etnici che erano stati sedati proprio dagli Accordi di Arusha, simbolicamente firmati nella stessa città degli accordi che, nel 1993, avevano posto fine al conflitto ruandese. Ma ad essere minacciata non è solamente la pace e la stabilità del Paese, bensì quella dell’intera regione (la regione dei Grand Laghi), formata da stati dove la pace tra i diversi gruppi etnici è spesso attaccata ad un filo, e che inoltre potrebbero essere messi in difficoltà se continueranno ad affluire migliaia di burundesi in cerca di rifugio. Di fronte a questa situazione, la comunità internazionale ha per ora chiuso gli occhi, al di là di alcuni Paesi africani che hanno espresso il proprio disaccordo con le politiche del presidente del Burundi: i Paesi occidentali, al contrario, continuano a sostenere silenziosamente Nkurunziza, basti pensare che metà del budget dello stato del Burundi proviene dall’estero. Un budget del quale non beneficia certamente la popolazione, sempre più povera, ma solamente la “cricca” di Nkurunziza, in un Paese dove la corruzione è dilagante.

GIULIO CHINAPPI
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