Attenzione all’ “educazione sentimentale”

6 Febbraio 2014
Redazione YOUng
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Il 7 agosto dello scorso anno è stato presentato, dalla deputata Celestina Costantino (SEL) e altri suoi colleghi, una proposta di legge intitolata “Introduzione dell’insegnamento dell’educazione sentimentale nelle scuole del primo e del secondo ciclo dell’istruzione”. L’espressione “educazione sentimentale” era già comparsa in qualche articolo a proposito di femminicidi, e poi in altri articoli esplicativi; ci sono state delle critiche a questo possibile modo di intepretare il ruolo della scuola riguardo lo studio dei problemi di genere. Leggo però nel testo della proposta qualcosa che non mi convince.

Una scena de l' educazione-sentimentale-di-Eugenie

Una scena de l’ educazione-sentimentale-di-Eugenie

Citiamo per esteso, dal testo, l’articolo 1:

Art. 1.      1. Nelle scuole del primo e del secondo ciclo è introdotto l’insegnamento dell’educazione sentimentale finalizzato alla crescita educativa, culturale e emotiva dei giovani in materia di parità e di solidarietà tra uomini e donne.
2. La scuola, anche attraverso l’educazione sentimentale, promuove il cambiamento nei modelli di comportamento socio-culturali delle donne e degli uomini al fine di rimuovere i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea di una distinzione delle persone in ragione del genere di appartenenza o su ruoli stereotipati per le donne e per gli uomini, in grado di alimentare, giustificare o motivare la discriminazione o la violenza di un genere sull’altro.

Gli intenti sono meritevoli e assolutamente degni della massima attenzione. Tra l’altro, questa è una delle tante iniziative che è doveroso intraprendere in Italia dopo la brutta fine fatta fare (in parte proprio dai nostri rappresentanti a Bruxelles) al rapporto Estrela. Quello che non mi convince, però, è la scelta del nome “educazione sentimentale”. Perché usare un altro nome per quegli argomenti? Non ce n’è già uno?

Art. 3.      1. Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione sentimentale.

Eh? Nelle università ci dovrebbero essere (sostanzialmente adesso non ci sono, ma vabbè) dei corsi di “studi di genere” i quali formano competenze non per “educazione di genere”, ma per “educazione sentimentale”. E come motivare questo cambiamento? Cosa significa voler rinominare un tipo di studi?

Art. 4.      1. Con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Dipartimento per le pari opportunità della Presidente del Consiglio dei ministri e, per quanto di competenza, d’intesa con le regioni e con le province autonome, sono definiti i programmi e le linee guida dell’insegnamento dell’educazione sentimentale. Il decreto è adottato entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge.
2. Le linee guida di cui al comma 1 forniscono indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ciclo e nelle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, i temi della parità tra i sessi, dei ruoli di genere non stereotipati, del reciproco rispetto, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi.

I temi indicati qui sopra sono in gran parte quelli degli studi di genere. Della “soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpresonali” se ne occupano sia loro che la psicologia. Non esistono gli “studi sentimentali” – o meglio, certo che esistono, ma non è di questo che si parla qui. Sono questioni di genere, ma non le si vuole nominare come tali. Perché?

Io capisco che siamo in Italia, e che faccia parte dell’opportunismo politico fare attenzione ai moralismi e alla correctness ipocrita tipica nel nostro Parlamento. Posso arrivare a concepire che la scelta di “educazione sentimentale” sia dovuta alla necessità di smarcarsi subito dai pregiudizi di molti attori politici, i quali al solo suono di espressioni come “educazione sessuale” o “educazione di genere” (o “al genere”, se preferite) si opporrebbero senza neanche provare a dialogare. Rendiamoci conto che in giro ci sono fior di professoroni convinti che esista una ideologia totalitaria di genere, e che essa è ormai capace di condizionare la politica mondiale tanto da provocare una rivoluzione sessuale globale. Questa è la situazione.

Se però il cambiamento lo si vuole fare con i sotterfugi retorici, si corrono grossi rischi. Il rischio di denominare “educazione sentimentale” qualcosa che non lo è, perché è educazione di genere, è duplice:
– si permette di far entrare dalla finestra quei moralismi che si vorrebbero finalmente cacciati dalla porta; dato che mettendo l’accento sui sentimenti (con tutti i rischi di definirli univocamente), si ammanta di buonismo la carica rivoluzionaria della coscienza (personale, sociale e politica) del proprio corpo e della relazione possibile e rispettosa con i corpi altrui;
– si rischia di rendere compatibili con questo insegnamento tutta una serie di figure molto più ideologicamente influenzabili rispetto a chi l’educazione sessuale l’ha studiata e la fa da anni (in Italia e in Europa) con ottimi risultati; persone che con la loro attività mettono in luce lacune culturali (e politiche) macroscopiche presenti nel nostro paese.

Vanno usate parole nuove, vanno fatti racconti nuovi, senza ipocrisie e senza retoriche ingannevoli. Si chiama educazione sessuale. Si chiamano studi di genere. “Le parole sono importanti!“.

Lorenzo Gasparrini, lafilosofiamaschia.wordpress.com

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