Anti – Vivisezione: sai cosa firmi?

il punto di vista di Lucia Pugliese

Supponi di avere un problema alla macchina. Più di 90 meccanici su 100 ti dicono che devi cambiare i freni della tua auto, o rischi un incidente. I rimanenti, coadiuvati da un video su youtube e da tua zia, affermano che puoi guidare tranquillo. A chi dai ascolto?

Più del 90% dei ricercatori biomedici italiani afferma la necessità (non la piacevolezza) della sperimentazione animale (o SA). Tra questi si annovera anche Umberto Veronesi, oncologo e vegetariano convinto: il professore chiarifica la sua posizione sul suo blog. Perchè allora si tende a credere ai restanti, alle foto false di Beppe Grillo e a Michela Brambilla?

Secondo dati Eurispes, l’87,3% degli italiani si dichiara contrario alla “vivisezione”, ma i vegetariani costituiscono solo il 4,9 % della popolazione. La percentuale di vegani è del 1,1%. Insomma ad un sacco di persone va bene allevare, in condizioni più o meno “umane”, gli animali per poi macellarli per mangiare più carne del necessario. Però non usate le mucche per la ricerca scientifica per favore. Certo, possiamo uccidere quanti roditori ci pare per la derattizzazione dei luoghi dove viviamo. Ma guai a sacrificare un topolino per trovare una cura per il cancro.

Insisto sui topi perchè, secondo gli ultimi dati disponibili (2008) costituiscono la maggioranza(59,30%) degli animali impiegati in laboratorio, anche se la recente raccolta firme di Almo Nature, nell’ambito della campagna europea Stop Vivisection, ha come sponsor una più commovente scimmietta(0,08%). La dissezione di animali vivi poi, non viene neanche più praticata: le foto che girano sul web nella maggior parte dei casi sono false o di sessant’anni fa: In difesa della sperimentazione animale riporta alcuni esempi, corredati dalla fonte originale. La ricerca odierna, che mira a trovare cure sia in ambito medico che veterinario, è sottoposta per legge al controllo di un comitato etico: sono previsti precisi protocolli per evitare stress e sofferenza alle cavie, che non sono affatto destinate a morte certa. Occorre l’approvazione di un comitato etico anche per macellare gli agnellini delle scatolette per cani “cruelty free” Almo Nature?

La ricerca con gli animali ha permesso a molti di noi di essere qui. E non solo. Nelle ultime due settimane, ad esempio, grazie solo alla SA sui topi, una donna sterile è riuscita a rimanere incinta grazie ad una tecnica per riattivare le ovaie e un nuovo farmaco potrebbe trovare applicazione nella lotta all’Alzheimer. Negli USA sono stati stanziati 230.000 dollari per ricerche sulla torsione gastrica canina, che uccide moltissimi cani ogni anno. Che cosa ha fatto Almo Nature nel frattempo? E la LAV? Questa vuole essere una richiesta, non una domanda retorica: una sfida ad andare oltre un’etica parziale, che giustamente considera gli animali dei laboratori ma è estranea alle sofferenze di chi è malato (sia umano che animale).

I metodi alternativi alla SA, di cui parlano gli animalisti (quelli che non sono così estremisti da proporre di sperimentare, su esempio di quanto accadeva nei lager nazisti, su carcerati, immigrati, disabili ecc..) esistono: la legge italiana prevede da anni che vengano utilizzati ogni qualvolta sia possibile. Ma, in alcuni casi, allo stato attuale non bastano: non si può sperimentare un pace maker in vitro, nè si conosce così bene la fisiologia umana da poter usare esclusivamente modelli computerizzati. Pro –Test Italia riporta le ragioni dei ricercatori pro SA.

Allora mi chiedo, soprattutto ad Almo Nature,perchè non investite parte dei vostri profitti in un centro di ricerca dedicato allo studio di metodi sostitutivi alla SA, invece di lanciare campagne pubblicitarie che invitano ad andare a firmare(casualmente)nei negozi?