"E' tempo che Obama esca di scena"

1 Febbraio 2012
Valentina Sanseverino
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Una vittoria schiacciante, travolgente, festosa proprio come piace agli americani quella di Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, che con quasi 2 milioni di schede scrutinate si è aggiudicato tutti e 50 delegati in palio in Florida secondo il principio “Winner-Take-All” (il vincitore prende tutto) per un totale di 84 conquistati fin ora. Confermando pienamente i risultati degli exit poll delle primarie repubblicane Romney ha raccolto il 46,4% delle preferenze contro il 31,9% del suo agguerrito avversario, l’ex speaker della Camera Newt Gingrich e, staccatissimi, Rick Santorum con il 13,4% e Ron Paul e al 7%. Il trionfo nel Sunshine State, che ha ribaltato il successo riscosso il 21 gennaio scorso da Gingrich nel South Carolina, proietta Romney in pole position nella corsa alla convention del Grand Old Party che si terrà proprio in Florida ad agosto e nella quale sarà nominato ufficialmente il candidato che sfiderà Barack Obama alle elezioni del prossimo 6 novembre. E proprio nei confronti del suo possibile futuro avversario Romney ha avuto parole molto critiche “’E’ tempo che Obama esca di scena – ha detto nel corso dei festeggiamenti – Leadership vuol dire assumersi delle responsabilità non cercare scuse. Mr President, lei era stato eletto per guidare, ma ha scelto di non farlo, ora e’ arrivato il momento che si faccia da parte. Io sono pronto a guidare questo partito e il nostro paese”. Il “suo” popolo lo ha accolto al grido “Newt, It’s over” (Newt è finita) e Romney, forte delle preferenze che pendono dalla sua parte nei prossimi stati dove si voterà – Nevada, Maine, Colorado, Michigan – è oggi l’uomo del giorno.

Ma cosa c’è dietro l’incredibile successo del politico-mormone? Innanzitutto un sostanzioso finanziamento di ben 20 milioni di dollari, più altri 17 milioni stanziati dal comitato politico indipendente “Restore Our Future” che si prepara ad altri esborsi sostanziosi per finanziare spot della campagna elettorale del candidato di Detroit. In secondo luogo l’appoggio dei seguaci del cosiddetto Tea Party, il movimento neo-conservatore e ultra-populista americano (41% contro i 37% favorevoli a Gingrich, stando agli exit poll) e di tutti i settori fondamentali dell’elettorato repubblicano. E ancora il suo passato da imprenditore: ex amministratore delegato e poi vicepresidente della società di consulenza Bain & Company e fondatore del fondo di private equity Bain Capital Romney, che già nel 2008 era in corsa per la nomination presidenziale ma poi si ritirò per lasciare spazio a John McCain, è stato a capo dell’organizzazione dei XIX Giochi olimpici invernali a Salt Lake City nel 2002. I suoi programmi dichiaratamente iper-liberistici in economia piacciono a quella fetta di elettorato che ritiene l’economia “il tema più importante di queste elezioni”. Romney, che ha guadagnato il 51% del voto femminile (contro il 29% del suo rivale), ma anche la maggioranza di quello maschile (41% contro 36%) e la maggioranza dei voti dell’elettorato sopra i 65 anni, cattolico ed ispanico (1 elettore su 7 in Florida) è il quarto mormone a correre per la Presidenza degli Stati Uniti d’America, dopo Joseph Smith (indipendente, 1844), George W. Romney (repubblicano, 1968) e Orrin Hatch (repubblicano, 2000) e se arrivasse a sfidare e vincere Obama sarebbe il primo Presidente mormone della storia degli Stati uniti d’America.

Ma la partita è ancora tutta da giocare: “mancano ancora 46 stati” recitavano infatti i cartelli dei centinai di sostenitori che ieri hanno assistito al discorso di Gingrich da Orlando in cui l’ex speaker della camera, riconoscendo la sua sconfitta senza congratularsi con l’avversario, su cui ha solo dichiarato “Votare per lui è come votare per Obama”, ha nuovamente rilanciato il tema delle élites dei media – che tante volte in passato lo avevano già dato per politicamente morto – ha rivendicato il suo essere maverick, cioè “indipendente, fuori del coro, lontano dal suo stesso partito ed espressione delle istanze elettorali più popolari e genuine”, ha insistito sulla sua campagna elettorale “[..] una campagna per il popolo. Non una campagna repubblicana. Non una campagna dell’establishment. Non una campagna finanziata da Wall Street”, E in effetti Gingrich si ritrova, all’indomani della prima grande sconfitta, con i conti in rosso: malgrado l’exploit finanziario dei 5 milioni di dollari raccolti nell’ultimo mese, ad oggi dispone di “appena” di 2,1 milioni di dollari, ma ha 1,2 milioni di debiti e quindi le sue possibilità di rimanere in corsa sono nelle mani di Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas che continua a versare milioni ai gruppi indipendenti che sostengono lo Speaker.

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